Musei Vaticani, il Braccio Nuovo riavrà l’antico colore
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Nei Musei Vaticani, dopo il restauro del Nicchione di Belvedere e dell’antica villa di Innocenzo VIII, che ora, dopo tre anni di lavori, svettano nel cielo di Roma con un colore vicino al bianco avorio come quello originale, entro la fine del 2018 sarà completato anche il restauro del Braccio Nuovo della Galleria Chiaramonti che chiude il Cortile della Pigna dal lato opposto.
Verranno restaurate tutte le facciate del Cortile
Lo assicura l’architetto Vitale Zanchettin, dal 2015 responsabile dell’ ufficio di Sovrintendenza ai beni architettonici della Città del Vaticano, che incontriamo sulla vertiginosa terrazza del Nicchione, ideata da Pirro Ligorio. “Stiamo restaurando tutte le superfici del Cortile che si affacciano verso l’interno”, ci spiega. “Il lavoro, che cambierà il volto di questo Cortile, nasce dall’esigenza di rendere sicuro un luogo dove passano 6 milioni di visitatori ogni anno che aveva avuto problemi di distacco di frammenti”.
Inaugurato nel 1822 da Pio VII Chiaramonti
Il Braccio Nuovo della Galleria Chiaramonti, che divide la lunga prospettiva dell’antico Belvedere, è stato progettato da Raffaele Stern che morì due anni prima dell’inaugurazione, avvenuta il 14 febbraio 1822, regnante Pio VII Chiaramonti. “E’ l’edificio che trasforma il Giardino della Pigna nel Cortile della Pigna – racconta Zanchettin - perché lo chiude sul quarto lato, ed eredita dagli edifici precedenti colori e forme”.
Quel colore che sembrava travertino
Questo spiega la scelta, chiarisce il responsabile della sovrintendenza, “di riportare la colorazione dell’edificio a quello che era il suo assetto originario. Doveva sembrare come se fosse realizzato interamente in pietra. Tanto che il Vasari, a metà del ‘500, lo definisce ‘come se fosse di travertino’”.
Tinte fatte di terra, grassello di calce e latte
Anche la scelta dei materiali è arrivata dopo un attento studio. “Abbiamo visto come invecchiavano le tinte che abbiamo trovato – spiega l’architetto - e volevamo qualcosa che invecchiasse in maniera naturale. Per questo abbiamo voluto limitare al minimo la componente di materiali sintetici, di resine acriliche, e abbiamo utilizzato tinte composte da pigmenti naturali, terre sostanzialmente, grassello di calce e latte scremato, proveniente dalle fattorie di Castel Gandolfo.
Sette strati di pittura, a pennello e con pezze
Maria Rosaria Di Napoli è la restauratrice che coordina chi si occupa di applicare il nuovo colore. “Siamo nella fase della finitura – ci dice - il supporto, già precedentemente consolidato e stuccato, viene abbondantemente bagnato, per favorire la penetrazione all’interno del muro della calce. Perché questa finitura è composta da ben sette strati. I primi due strati sono applicati a pennello, gli altri vengono applicato con l’impiego di pezze. Il tutto è affidato alla sensibilità del restauratore, che gioca sull’alternanza di colori caldi e freddi, per dare alla fine un aspetto che sia quanto più possibile simile al travertino”.
Capitelli fragili con un’anima in ferro
Giuseppe Savina si occupa invece del restauro dei fregi e delle decorazioni dei capitelli che svettano sulle colonne del pronao del Braccio Nuovo. “Il capitello ha un anima in ferro – spiega - e sopra è stata lavorata la malta. Solo la base e la testa sono in travertino. Purtroppo il ferro ossida e questo ha provocato e crepe e distaccamenti che vediamo. Adesso andremo a consolidare superficialmente con prodotti che servono a fermare il degrado, per poi consolidare strutturalmente le varie componenti del capitello. I ferri verranno poi trattati con convertitori per risanare il metallo. Successivamente verranno fatte stuccature e ricostruzioni delle parti mancanti che purtroppo per il tempo sono cadute, sempre e comunque in concomitanza con la struttura in ferro.
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