50.mo "Humanae vitae", Paolo VI e quello sguardo "positivo"
Alessandro De Carolis - Città del Vaticano
Un mercoledì di piena estate, di folla e di un calore che non ha niente a che fare con la temperatura meteo. Paolo VI è a Castel Gandolfo e presiede l’udienza generale nell’Aula del palazzo pontificio. La sua prima frase stimola il fermento. “Le nostre parole - annuncia - hanno oggi un tema obbligato dalla Enciclica, intitolata Humanae vitae…”. È il momento che forse Papa Montini ha assaporato da giorni. Quello di rivolgersi direttamente alla gente e di parlare a cuore aperto di un tema che per anni, e fino a una settimana prima, lo ha assorbito nello sforzo di portare a compimento uno dei documenti più delicati e complessi del suo Pontificato e della Chiesa contemporanea.
L'aggettivo chiave
Poche righe ed ecco il punto nevralgico. “Questo documento pontificio (…) non è soltanto la dichiarazione d’una legge morale negativa, cioè l’esclusione d’ogni azione che si proponga di rendere impossibile la procreazione, ma è soprattutto la presentazione positiva della moralità coniugale in ordine alla sua missione d’amore e di fecondità...”. Le critiche e le riserve al testo, dentro e fuori la Chiesa, sono ben note a Paolo VI. Accade allora che l'abituale incedere del soliloquio, sobrio e solenne insieme, si spezzi. Ascoltando la registrazione di quella udienza generale, la sottolineatura “presentazione positiva” praticamente squilla nel microfono.
Perché quell'aggettivo è come il punteruolo dell'emozione che per una volta incrina la posa di austera compostezza e rivela il cuore dell'uomo, non solo del Papa. Il cuore di chi - al di là del dibattito difficile generatosi attorno all’Enciclica - sente il bisogno di spiegare e spiegarsi. Raccontare che ciò che il Papa ha rivisto personalmente con scrupolo, paragrafo per paragrafo, per trasformarlo in un atto di magistero non è un sorta di pensiero autocratico insensibile e vessatorio, ma la riflessione dettata prima di tutto dall’amore di un padre nei confronti delle famiglie, specialmente di quelle che ogni giorno misurano la vita con la fede.
Studiato e discusso “quanto potevamo”
Lo stesso Papa Montini dichiara alla folla di non voler parlare in quella circostanza del contenuto dell’“Humanae vitae”. A lui, in quell'ultimo giorno luglio, interessa dare spazio ai “sentimenti”. Quelli, sostiene, che gli hanno riempito l’“animo” durante i “quattro anni” della “laboriosa redazione” dell'Enciclica. “Il primo sentimento - confida - è stato quello d’una nostra gravissima responsabilità” che “ci ha fatto anche non poco soffrire spiritualmente (...) Abbiamo studiato, letto, discusso quanto potevamo; e abbiamo anche molto pregato”. L’uso del plurale sembra se possibile dilatare la fatica di un lavoro che Paolo VI non ha intenzione di dissimulare, in quell’aver centellinato l’ascolto e il confronto con tutte le voci competenti in materia.
Speranza negli sposi cristiani
E tuttavia, soggiunge più avanti “un altro sentimento, che ci ha sempre guidato nel nostro lavoro, è quello della carità, della sensibilità pastorale verso coloro che sono chiamati a integrare nella vita coniugale e nella famiglia la loro singola personalità”. E un terzo sentimento ancora, afferma, è quella della “speranza”. Su tutti, la speranza che “saranno gli sposi cristiani - dice - a comprendere come la Nostra parola, per severa ed ardua che possa sembrare, vuol essere interprete dell’autenticità del loro amore, chiamato a trasfigurare se stesso nell’imitazione di quello di Cristo per la sua mistica sposa, la Chiesa” e a “infondere nella famiglia moderna la spiritualità sua propria, fonte di perfezione per i singoli suoi membri e di testimonianza morale nella società”.
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