Fisichella: pena di morte, cambiamento Catechismo in continuità col magistero
Fabio Colagrande – Città del Vaticano
La nuova formulazione del Catechismo della Chiesa Cattolica che considera inammissibile la pena di morte, voluta da Papa Francesco con un Rescritto pubblicato ieri, rappresenta "un vero progresso dogmatico". Ad affermarlo – in un articolo pubblicato da “L’Osservatore Romano” - è stato l'arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, il dicastero che ha la competenza in materia di catechesi. Secondo il presule, il nuovo contenuto - pur “in continuità con il magistero precedente” - mostra come il deposito della fede vada custodito ma anche fatto progredire.
R. – Il nuovo testo del Catechismo mostra un interessante sviluppo perché fino al testo precedente - sia quello del ’92 come quello del ’97 che era l’editio typica - riguardo al tema della pena di morte ne era ammessa ancora la possibilità e la liceità. Adesso, invece, Papa Francesco – in continuità con il magistero di Giovanni Paolo II e di Papa Benedetto – accetta di esplicitare ulteriormente l’argomento facendo compiere un passo ulteriore. E questo passo, come viene detto “alla luce del Vangelo”, fa comprendere che la pena di morte è inammissibile. E quindi ci sono parole chiare, nette, che non lasciano equivoci di sorta su questo insegnamento.
D. – Dunque possiamo parlare di un vero e proprio progresso di un contenuto di fede?
R. – Assolutamente sì! Soprattutto se questo lo si considera nel nuovo contesto che Papa Francesco presenta, vale a dire la dignità della persona. Qui bisogna notare che c’è un cambio da parte del Catechismo. Prima, l’obiettivo era quello di difendere le persone che, a causa di strumenti non ancora messi a punto, potevano subire violenza da parte di un attentatore. Adesso, per il cambio di prospettiva, l’obiettivo non è più la difesa delle persone; non perché questo non rimanga come un principio fondamentale nella morale cattolica ma in quanto è superato dai nuovi sistemi anche di detenzione che hanno a disposizione gli Stati democratici e non. Adesso, la prospettiva è quella della dignità della persona. Quello che Papa Francesco fa compiere è il superamento di una visione restrittiva perché dice che a nessuno può essere tolta la possibilità di una riabilitazione, quindi di una reintegrazione, anche nel tessuto sociale. Ciò comporta, ovviamente, la capacità da parte dello Stato di favorire questa dimensione e quindi da parte anche del colpevole - non dimentichiamo, quando l’autorità legittima emette una sentenza di condanna di morte significa che c’è un reato gravissimo - deve esserci un impegno a riabilitarsi. Questo perché, nonostante il reato gravissimo, ci deve essere sempre, in questa visione, un’apertura che è fonte di speranza, proprio nei confronti della dignità di ogni persona. Non può essere tolta a nessuno la possibilità di incominciare da capo una nuova vita. E noi dobbiamo dire che come ci sono tanti esempi di recidiva nel crimine ci sono ugualmente tanti esempi - e ringraziamo il Signore di questo! - di conversione, di riabilitazione e di riconciliazione tra il colpevole e le vittime o i familiari delle vittime.
D. – Più in generale, questa decisione del Papa dimostra che custodire il depositum fidei non significa, come lei ha scritto, “mummificarlo”…
R. – Assolutamente no! Papa Francesco aveva detto un anno fa, in quel convegno organizzato dal Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione – che, non dimentichiamo, è responsabile del Catechismo della Chiesa cattolica e quindi anche chiamato come suo compito specifico alla promozione del Catechismo, all’utilizzo del Catechismo e quindi anche a fare in modo tale che il Catechismo, pur presentando la dottrina di sempre, corrisponda alle esigenze nuove del contemporaneo - in quel discorso, l’11 ottobre dello scorso anno, Papa Francesco aveva detto che la tradizione non è come una coperta messa sotto naftalina. La tradizione è viva, per sua stessa natura. Questo è l’insegnamento del Concilio. Questa è anche la comprensione della tradizione e che la tradizione dà di sé stessa. C’è una bella espressione inglese: “fly in ambra”, cioè la tradizione non è una mosca che viene inserita nell’ambra, in questa resina che la conserva così. Questo significherebbe distruggere la tradizione. La tradizione, se non è viva, se non è mantenuta viva da un magistero sempre vivo, come insiste la Dei Verbum, la Costituzione dogmatica sulla Rivelazione, non è più la tradizione. Quindi penso che siamo davanti a una considerazione notevole, importante. Si compie un passo veramente decisivo che aiuterà anche l’impegno dei cattolici nella vita sociale e politica dei propri Paesi.
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