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Tragedia di Marcinelle Tragedia di Marcinelle

Tragedia di Marcinelle. Il monito dei Papi su dignità e lavoro

Oggi si celebra la giornata del sacrificio del lavoro italiano nel mondo e si ricorda la tragedia di Marcinelle del 1956. Un’occasione per riflettere, anche attraverso il magistero dei Papi, sulla dignità del lavoro

Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

“Il diritto al lavoro, fondamento della Repubblica italiana, continua a rappresentare il principio cardine intorno al quale ruota il nostro sistema sociale e si esprime il principio di cittadinanza". E’ quanto sottolinea il presidente italiano, Sergio Mattarella, nel giorno in cui si ricorda il sacrificio del lavoro italiano nel mondo. In un messaggio inviato in occasione del 62.mo anniversario della tragedia di Marcinelle, il capo di Stato ricorda, inoltre, che “la promozione dell'occupazione e la tutela piena della salute dei lavoratori costituiscono, oggi come ieri, sfide fondamentali nell'attuale contesto economico europeo  nel quadro del processo di integrazione continentale”.

La tragedia di Marcinelle

La giornata del sacrificio del lavoro italiano nel mondo, istituita nel 2001, si celebra ogni anno l’8 agosto, anniversario della tragedia di Marcinelle: sono passati infatti 62 anni dall’incendio scoppiato nella miniera di carbone di Bois du Cazie e costato la vita a 262 lavoratori. Tra le vittime di quella tragedia, 136 minatori italiani che erano emigrati in Belgio per trovare un lavoro. Per convincere gli operai italiani a trasferirsi, il governo belga promosse una serie di campagne di comunicazione ricordando, in manifesti pubblicitari, benefici legati al lavoro in miniera. Tra questi, salari elevati, viaggi in treno gratuiti e assegni familiari. Ma chi è arrivato in Belgio ha in realtà trovato condizioni di vita e di lavoro proibitive. Per molti è una storia di emigrazione, e anche di discriminazione, che nel 1956 si è drammaticamente saldata alla tragedia di Marcinelle.

Insegnamenti della Chiesa sul lavoro

Il diritto al lavoro, oggi sempre più leso da gravi fenomeni come il lavoro in nero e quello gestito dal caporalato, assume una valenza cruciale anche per la Chiesa. Vari aspetti legati alla dignità del lavoro trovano in particolare, nel magistero dei Papi e negli insegnamenti della Chiesa, numerosi e preziosi riferimenti. “Il lavoro per l'uomo – si legge nel Catechismo della Chiesa cattolica - è un dovere e un diritto, mediante il quale egli collabora con Dio creatore. Infatti, lavorando con impegno e competenza, la persona attualizza capacità iscritte nella sua natura, esalta i doni del Creatore e i talenti ricevuti, sostenta se stesso e i suoi familiari, serve la comunità umana. Inoltre, con la grazia di Dio, il lavoro può essere mezzo di santificazione e di collaborazione con Cristo per la salvezza degli altri”.

Il lavoro nobilita l’uomo

Nell’enciclica del 1891 “Rerum Novarum”, Papa Leone XIII sottolinea che le condizioni di lavoro non possono violare la dignità dell’uomo. “Agli occhi della ragione e della fede – si legge nel documento - il lavoro non degrada l'uomo, ma anzi lo nobilita col metterlo in grado di vivere onestamente con l'opera propria. Quello che veramente è indegno dell'uomo è di abusarne come di cosa a scopo di guadagno, né stimarlo più di quello che valgono i suoi nervi e le sue forze”. “Se con il lavoro eccessivo o non conveniente al sesso e all'età, si reca danno alla sanità dei lavoratori” – si sottolinea ancora nell’enciclica – si deve adoperare “entro i debiti confini la forza e l'autorità delle leggi”. “Non è giusto né umano esigere dall'uomo tanto lavoro da farne inebetire la mente per troppa fatica e da fiaccarne il corpo”. “Non deve il lavoro prolungarsi più di quanto lo comportino le forze”. “Ad esempio - scrive Papa Leone XIII - il lavoro dei minatori che estraggono dalla terra pietra, ferro, rame e altre materie nascoste nel sottosuolo, essendo più grave e nocivo alla salute, va compensato con una durata più breve”.

Sanità fisica

Giovanni XXIII nell’Enciclica del 1963 “Pacem in Terris” sottolinea che “agli esseri umani è inerente il diritto di libera iniziativa in campo economico e il diritto al lavoro”. “A siffatti diritti – si legge nel documento - è indissolubilmente congiunto il diritto a condizioni di lavoro non lesive della sanità fisica e del buon costume, e non intralcianti lo sviluppo integrale degli esseri umani in formazione; e, per quanto concerne le donne, il diritto a condizioni di lavoro conciliabili con le loro esigenze e con i loro doveri di spose e di madri”.

Sviluppo armonioso

Nella lettera enciclica “Populorum Progressio” del 1967 di Paolo VI ricorda il rapporto tra lavoro e libertà: “il lavoro è umano solo se resta intelligente e libero”. Ed è urgente che l’opera da compiere segua un processo di sviluppo equilibrato: “troppi uomini soffrono, e aumenta la distanza che separa il progresso degli uni e la stagnazione, se non pur anche la regressione, degli altri. Bisogna altresì che l’opera da svolgere progredisca armonicamente, pena la rottura di equilibri indispensabili”. Le attività produttive – aggiunge Paolo VI- devono essere orientate ad un continuo processo di miglioramento per il bene dell’umanità: “Nessun popolo può pretendere di riservare a suo esclusivo uso le ricchezze di cui dispone. Ciascun popolo deve produrre di più e meglio, onde dare da un lato a tutti i suoi componenti un livello di vita veramente umano, e contribuire nel contempo, dall’altro, allo sviluppo solidale della umanità”.

Un bene dell’uomo

Nell’Enciclica del 1981 Laborem Exercens Giovanni Paolo II afferma che “il lavoro è un bene dell'uomo - è un bene della sua umanità -, perché mediante il lavoro l'uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, diventa più uomo”. Il lavoro – ricorsa Papa Giovanni Paolo II - è un bene che si può legare anche al complesso fenomeno dell’emigrazione: “L'uomo ha il diritto di lasciare il proprio Paese d'origine per vari motivi - come anche di ritornarvi - e di cercare migliori condizioni di vita in un altro Paese”. “La cosa più importante – si legge ancora nell’enciclica - è che l'uomo, il quale lavora fuori del suo Paese natìo tanto come emigrato permanente quanto come lavoratore stagionale, non sia svantaggiato nell'ambito dei diritti riguardanti il lavoro in confronto agli altri lavoratori di quella determinata società”. “I poveri in molti casi – scrive Giovanni Paolo II - sono il risultato della violazione della dignità del lavoro umano, sia perché ne vengono limitate le possibilità (disoccupazione, sotto-occupazione), sia perché vengono svalutati “i diritti che da esso scaturiscono, specialmente il diritto al giusto salario, alla sicurezza della persona del lavoratore e della sua famiglia“.

Un lavoro decente

Nell’enciclica Caritas in Veritate del 2009 di Benedetto XVI  pone una domanda cruciale: che cosa significa la parola “decente” applicata al lavoro? “Significa un lavoro - si legge nell’enciclica - che, in ogni società, sia l'espressione della dignità essenziale di ogni uomo e di ogni donna: un lavoro scelto liberamente, che associ efficacemente i lavoratori, uomini e donne, allo sviluppo della loro comunità; un lavoro che, in questo modo, permetta ai lavoratori di essere rispettati al di fuori di ogni discriminazione; un lavoro che consenta di soddisfare le necessità delle famiglie e di scolarizzare i figli, senza che questi siano costretti essi stessi a lavorare; un lavoro che permetta ai lavoratori di organizzarsi liberamente e di far sentire la loro voce; un lavoro che lasci uno spazio sufficiente per ritrovare le proprie radici a livello personale, familiare e spirituale; un lavoro che assicuri ai lavoratori giunti alla pensione una condizione dignitosa”.

Impatto ambientale

Nella lettera enciclica del 2015 Laudato si’ Papa Francesco affronta, tra l’altro, il tema del lavoro e le sue ricadute sull’ambiente: “Uno studio di impatto ambientale – scrive il Pontefice - non dovrebbe essere successivo all’elaborazione di un progetto produttivo o di qualsiasi politica, piano o programma. Dev’essere connesso con l’analisi delle condizioni di lavoro e dei possibili effetti sulla salute fisica e mentale delle persone, sull’economia locale, sulla sicurezza”. “È sempre necessario – si legge ancora nell’enciclica - acquisire consenso tra i vari attori sociali, che possono apportare diverse prospettive, soluzioni e alternative. Ma nel dibattito devono avere un posto privilegiato gli abitanti del luogo, i quali si interrogano su ciò che vogliono per sé e per i propri figli, e possono tenere in considerazione le finalità che trascendono l’interesse economico immediato. Bisogna abbandonare l’idea di interventi sull’ambiente, per dar luogo a politiche pensate e dibattute da tutte le parti interessate”.

Il lavoro è una priorità cristiana

La dottrina sociale della Chiesa ha dunque dato sempre priorità al lavoro: si tratta – ha detto Papa Francesco il 27 maggio del 2017 incontrando a Genova il mondo del lavoro “una priorità umana”. “E pertanto – ha aggiunto - è una priorità cristiana”. “L’Italia – ha detto infine il Papa - è una repubblica democratica, fondata sul lavoro”. “In base a questo possiamo dire che togliere il lavoro alla gente o sfruttare la gente con lavoro indegno o malpagato o come sia, è anticostituzionale”.

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08 agosto 2018, 13:56