Sinodo. Mons. Bizzeti: l’icona di Emmaus per incontrare giovani
Antonella Palermo - Città del Vaticano
Mons. Bizzeti ha all’attivo molti anni di accompagnamento dei giovani nelle loro scelte vocazionali e, commentando i lavori dell’Assise, non manca di sottolineare lo scollamento generazionale: “Le nuove generazioni in alcune regioni del mondo sono quasi assenti, soprattutto nei Paesi di più lunga presenza del Cristianesimo. Ci dovrebbe far riflettere, questo, perché i giovani sono una cartina al tornasole: avvertono con la loro sensibilità che su molti argomenti, su modalità di vita, su come ci presentiamo, forse non siamo ancora entrati veramente nella modernità”. E cita il brano biblico di Lc 24 in cui “Gesù si mette seriamente in ascolto di questi due discepoli, lascia che parlino e addirittura va insieme con loro nella direzione sbagliata - loro stanno andando verso Emmaus quando invece è a Gerusalemme che stanno avvenendo i fatti importanti - quindi sono in qualche modo in fuga, si allontanano, però Gesù li accompagna e progressivamente crea le condizioni per cui poi loro decidono di tornare a Gerusalemme”. Spiega come questa sia “l’icona che potrebbe aiutarci a tracciare una modalità nell’accompagnamento: non semplicemente ricordare i sacrosanti principi, perché i giovani in fondo cercano una Chiesa che stia accanto a loro nei tortuosi cammini, d’altra parte inevitabili, perché se si vuole qualcosa di nuovo non si può pensare di ripercorrere strade già conosciute e già battute”.
Come comunichiamo con i giovani?
“Noi viviamo nella civiltà dell’immagine. I nostri vestiti danno un po’ l’idea di una casta. Hanno un senso nelle cerimonie liturgiche e nelle celebrazioni ma è più difficile capirli in un contesto di discussione, di confronto, di una assemblea vuole riflettere e progettare. Forse anche questo è un po’ il retaggio di un mondo passato. Nella gente comune genera curiosità ma denota anche una distanza che si crea. Credo che per la vita di una assemblea come questa sarebbe più semplice portare i vestiti ordinari, il clergyman, perché se è vero che l’abito non fa il monaco, è anche vero che l’abito è il primo messaggio che noi mandiamo. E se questo è difficilmente intellegibile è anche difficile essere avvicinati”. Nel rallegrarsi per l’esperienza di cattolicità che si sta facendo al Sinodo, il presule spera tuttavia in una formula più leggera, forse anche più efficiente, dice, nella condivisione delle testimonianze. “Ascoltiamo centinaia di interventi ma credo che manchi un po’ di metodo”. Spiega che “c’è una specie di ansia di dare delle risposte, anche se si dice tanto che bisogna ascoltare. Ascoltare comporta una certa calma e lentezza nell’analizzare delle situazioni e comprenderne i perché e non semplicemente registrare dei dati di fatto per poi suggerire subito delle soluzioni”.
Le donne e il loro potenziale nella Chiesa
E’ un aspetto, quello delle donne nella Chiesa, su cui Mons. Bizzeti, non nasconde un forte rammarico: “Non si può negare – dichiara - che le donne nella nostra Chiesa ancora non entrano nei processi decisionali se non a volte in modo consultivo. Tutti lo dicono ma non mi sembra onestamente che si stiano facendo molti passi per poter rendere effettiva questa compartecipazione”. E precisa che questo punto non va confuso con il tema del sacerdozio alle donne o cose del genere: “Qui il punto non è la volontà di dividere ogni compito in una versione maschile e in una femminile, cosa che genera timore in una certa parte della Chiesa; il punto è che prendere le decisioni, quel servizio dell’autorità, l’assumersi delle responsabilità, indicare delle mete, dei mezzi… ecco, non si può negare che questo è ancora quasi monopolio di noi uomini”.
Le Chiese non siano sorde verso i giovani profughi senza pastori
L’11 ottobre alla Pontificia Università Gregoriana si terrà un dibattito sui tanti volti della Turchia, crocevia e frontiera, a cui prenderà parte anche mons. Bizzeti. Ma cosa rappresenta il Sinodo per i giovani cristiani in quel Paese? Il pensiero del vescovo va subito al grido di migliaia di giovani cristiani profughi, rifugiati in Turchia che non trovano nessuno che si occupi di loro. Da qui l’amara constatazione che “anche chi aveva cominciato a fare qualcosa, a registrare una presenza, si sta ritirando e questo vuol dire lasciare queste persone che già vivono un dramma perché hanno perso tutto a causa di Cristo, il dramma di sentirsi abbandonati da chi dovrebbe sostenerli in questo
Momento. L’altro dramma è il fatto che i giovani cristiani non capiscono perché le porte dell’Occidente sono chiuse a loro che in fondo hanno perso tutto proprio per difendere i valori della libertà, della propria identità. Come mai l’Occidente – che per altri versi vive una crisi se consideriamo la denatalità – come mai con dei giovani valorosi come questi non è capace di essere accogliente e come mai le Chiese sono un po’ sorde a questo richiamo? Noi qui abbiamo tanti operatori pastorali e come mai allora questa sperequazione? Qui ci lamentiamo che i giovani non vengono – dichiara Bizzeti - là abbiamo migliaia di giovani che desiderano trovare nella Chiesa la loro casa, la loro famiglia, soprattutto in un Paese in cui sono una piccola minoranza e non hanno la possibilità di studiare, di lavorare… desiderano trovare un aiuto anche nell’interpretare la loro difficile situazione. Invece mancano sacerdoti, suore, pastori. Costoro rischiano fortemente. Qui in Europa temiamo una islamizzazione, quando abbiamo dei giovani cristiani che vorrebbero rimanere fedeli alla loro fede e che, se non sono adeguatamente seguiti, finiranno, nel giro di qualche generazione, di assimilarsi con il contesto nel quale sono costretti a vivere”.
Il rischio dei populismi per i giovani
Mons. Bizzeti elogia le parole del Papa che anche nell’incontro con i giovani del 6 ottobre scorso è tornato a parlare del rischio della diffusione dei populismi: “Io credo che sia indispensabile, doveroso che noi come Pastori, e il Papa come Pastore supremo della nostra Chiesa, ci occupiamo di ciò che avviene nella polis e quindi che mettiamo in guardia contro questi movimenti che rischiano di fare la maggiore presa sui giovani impreparati e che rimangono abbagliati da slogan che invece ci portano nel baratro”. Auspica la capacità di collaborare, di tenere unite persone, popoli, giovani di varie estrazioni, perché solo in questa strada “noi abbiamo una speranza di civiltà: questo lo mostra la storia non è ideologia. Ovunque ci sia stata una civiltà fiorente a livello culturale ed economico, noi abbiamo avuto il meticciato, giovani che crescevano insieme, e questa è stata, nonostante le difficoltà che ciò comporta, l’arma vincente”.
Abusi sessuali e la gestione dell’affettività
Nel ricordare che la stragrande maggioranza degli operatori pastorali sono persone seriamente, onestamente, pulitamente impegnate nel loro servizio, Mons. Bizzeti invita a lavorare un po’ di più sulle cause di certe devianze, connesse con una cattiva gestione del potere: “pensare che noi dobbiamo dirigere, comandare… l’atteggiamento di rispetto, umiltà, saper prendere il secondo posto non è quello che più viene naturale in alcuni”, spiega. “Alcuni degenerano per una solitudine affettiva mal gestita, sottovalutata. Per questo alla fine è un problema di tutta la comunità cristiana: è necessario - conclude - che si sentano voluti bene le guide pastorali, che vengano educati a voler bene. C’è tutta una educazione alla sessualità e all’affettività che fino a poco tempo fa non si può che è stato un po’ sottovalutato”.
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