Sinodo. Arcivescovo di Riga: è in atto una crisi della paternità
Barbara Castelli – Città del Vaticano
“Ogni giovane vuole avere una vita bella davanti a sé: vuole amare ed essere amato”, anche se la cultura odierna “propone un modello di amore controverso”, non sempre “concordante con l’ideale cristiano”. Così mons. Zbigņevs Stankevičs, Padre sinodale eletto dalla Conferenza episcopale lettone e arcivescovo di Riga, durante l’intervista concessa a Vatican News. Parlando dell’accompagnamento della Chiesa nella vita dei giovani, il presule ha rimarcato con rammarico che “non di rado, chi vuole sposarsi”, “normalmente già convive” e sono delle “eccezioni le coppie che arrivano in castità al matrimonio”. Una crisi di valori che l’arcivescovo di Riga riconduce anche alle difficoltà familiari in cui i giovani crescono.
La crisi della paternità
Dobbiamo registrare una “crisi della paternità”, una “vera crisi del padre”, ha detto, la cui “figura è cruciale” nella vita di un individuo, nella vita stessa della famiglia. “Questa crisi della paternità”, ha aggiunto mons. Zbigņevs Stankevičs, è collegata anche alla crisi della maternità e dell’identità femminile”. “Un uomo per trovare la propria identità, per maturare in questa identità, deve avere davanti a sé uno specchio che gli mostra chi lui è. Il primo specchio è la parola di Dio, è la persona di Cristo che mostra chi è il vero uomo. Ma un uomo ha bisogno anche di riflettersi in “una donna”, che sia in sintonia “con il piano divino”: “come la Madre di Dio, Maria Santissima”. La sfida oggi per la Chiesa, ha insistito il Padre sinodale eletto dalla Conferenza episcopale lettone, è comunicare in modo chiaro con i giovani, “predicare Cristo” come “ideale per l’uomo” e Maria come ideale per le donne.
Le difficoltà dei giovani in Lettonia
L’arcivescovo di Riga ha, infine, messo a fuoco le problematiche che vivono “i giovani in Lettonia”, per certi versi “simili” a quelle che vivono “anche i giovani in Italia”, con le inevitabili differenze storiche e culturali. In Lettonia, ha detto, sono ancora vive le ferite del comunismo, anche se i giovani mostrano una “maggiore libertà interiore” e “un livello più alto di autostima” rispetto al passato. Quello che preoccupa il presule è soprattutto la “fuga” dei giovani dal Paese. “Tanti nostri giovani purtroppo sono andati via, all’estero – ha concluso – sia per studiare, sia in cerca di un lavoro”: “negli ultimi 28 anni”, “abbiamo perso quasi un terzo della popolazione”.
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