Diritto canonico e legislazione ecclesiastica sui casi di abuso
Manuella Affejee- Città del Vaticano
Alla vigilia dell’Incontro nell’aula nuova del Sinodo, in Vaticano, tra il 21 e il 24 febbraio al microfono di Vatican News Bernard Callebat, specialista di Diritto canonico, insegnante e ricercatore presso la Facoltà di Diritto Canonico dell’Istituto Cattolico di Tolosa, si sofferma su diverse questioni giuridiche inerenti la delicata questione degli abusi su minori in ambito ecclesiatico a partire dal dettato del Diritto Canonico in materia:
R. - In linea generale, non è solo il Codice di diritto canonico, nel suo Libro VI, che condanna gli atti di violenza sessuale, ma è tutta la disciplina ecclesiale che regola i processi di repressione, ieri come oggi. Diverse indagini realizzate in Irlanda (rapporto Murphy e rapporto Ryan) e negli Stati Uniti (John Jay report) avevano lanciato il campanello d’allarme su numerosi scandali. Fino al 2001, i vescovi potevano trattare i casi di abusi compiuti su minori senza darne segnalazione alla Curia Romana. Questa procedura è stata estremamente dannosa, perché ha consentito ad alcuni vescovi di coprire atti di abuso, e di coprire loro stessi. Abbiamo dovuto aspettare il Motu Proprio Sacramentorum sanctitatis tutela di San Giovanni Paolo II per arrivare alla decisione che i vescovi avrebbero avuto il dovere di segnalare i crimini più gravi alla Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF). In un Motu Proprio pubblicato il 4 giugno 2016, Papa Francesco si è spinto ancora più in là prospettando la negligenza dei superiori religiosi che potranno essere dimessi dalle loro funzioni. Oggi è stata istituita una Commissione pontificia al fine di affrontare tutte le questioni legate alla protezione dei minori.
In caso di segnalazione di abusi, qual è la procedura da seguire a livello locale?
R. - Il diritto che si applica è quello essenzialmente previsto dal testo romano del 2001. Ovvero, il vescovo o il superiore religioso, una volta informato del caso, deve innanzitutto esaminare le accuse di abuso sessuale che sarebbe stato commesso (presumibilmente) da parte di un chierico. In questo caso, è necessaria una grande prudenza al fine sia di valutare la sincerità degli accusanti sia di assicurarsi che non ci si trovi di fronte a delle false accuse. Se le accuse appaiono fondate, l’autorità ecclesiastica deve deferire il caso alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Secondo quanto stabilito in alcuni strumenti di diritto civile, la stessa autorità ecclesiastica avrà anche il dovere di deferire il caso al rappresentante giudiziario dell’autorità statale.
Quali sono le pene possibili ?
R. - Occorre verificare la natura del delitto o del crimine commesso. La sanzione può essere di un duplice ordine, ovvero la stessa può essere soggetta alla libera discrezionalità da parte del giudice penale, oppure può concretamente corrispondere ad una definizione già stabilita dalla legislazione penale. Questa doppia ipotesi prevista dal diritto ecclesiastico non differisce dalle modalità di interpretazione e di applicazione delle pene previste in altri ordinamenti giuridici. In linea generale, per gli atti più odiosi, la riduzione allo stato laicale sarà la sanzione più grave. In assenza di un potere coercitivo proprio, qualsiasi cosa possa essere prevista sul piano civile, il carcere non è prospettato. Sul piano ecclesiale, si può immaginare una forma particolare di reclusione in un monastero, una limitazione del ministero pubblico… L’interruzione di atti pubblici religiosi o di alcuni di essi potrà anche accompagnare il processo sanzionatorio. Nell’ipotesi di abusi sessuali esecrabili o di atti gravi commessi contro dei minori, occorre che le sanzioni siano proporzionate alla gravità del riconoscimento sociale del criminale che ha in maniera riprovevole abusato del suo status clericale. La questione relativa ai danni e agli interessi può anche essere trattata nel corso di queste procedure.
Cosa implicano le dimissioni dallo stato clericale? Esse annullano il Sacramento dell’ordine?
R. - La questione è importante perché la scelta delle parole alimenta gravi ambiguità nel pubblico. La dimissione dallo stato clericale si traduce generalmente con una formula, abbastanza impropria, di riduzione allo stato laicale. Certo, il chierico colpevole non può più svolgere il suo incarico, ma non è riportato allo stato precedente la sua ordinazione. Egli è dispensato dai propri obblighi clericali, sebbene non perda in maniera assoluta il diritto di celebrare, in alcuni casi, dei sacramenti, in maniera valida. Infatti lo stesso rimane, su un piano strettamente sacramentale, diacono, prete o vescovo. La dimissione dallo stato clericale differisce dunque da una dichiarazione di nullità dell’ordinazione che invece ha come conseguenza la scomparsa completa del legame diaconale, sacerdotale o episcopale.
E' possibile presentare appello contro le decisioni della Congregazione per la Dottrina della Fede?
R.- In linea di principio, non è possibile ricorrere contro una decisione adottata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Resta comunque il fatto che gli accusanti godono sempre delle due facoltà per mezzo delle quali possono preservare i propri diritti di fedeli: la possibilità di adire il Tribunale Supremo della Segnatura apostolica che, nella sua funzione amministrativa, può verificare se la procedura seguita dal dicastero è stata rispettata. Lo scopo di questa procedura è quello di assicurarsi della conformità formale degli atti compiuti, tuttavia essa non dirime la decisione di fondo; e poi c'è la richiesta di grazia al Sommo Pontefice, sovrano assoluto in materia giudiziaria.
Quale statuto per le vittime, quale ruolo per queste nel processo canonico?
R. -Le vittime devono beneficiare dei diritti propri previsti dai testi sulla protezione dei fedeli, a titolo di spettanti diritto, parti in giudizio e vittime, dal momento in cui queste hanno deciso di avviare una procedura, sia essa una procedura amministrativa canonica o una procedura penale canonica. In via preliminare, le autorità ecclesiastiche avranno ricevuto con discernimento le accuse. A tale titolo, le autorità ecclesiastiche, tanto quelle gerarchiche quanto quelle giudiziarie, si assicureranno che le vittime saranno accompagnate da consiglieri e/o avvocati specializzati durante lo svolgimento delle diverse procedure. In ogni caso, le vittime saranno tutelate durante tutto il corso del processo giudiziario.
Una riforma del diritto canonico è possibile? Prospettabile? Se sì, in che senso?
R. - Per analogia con le procedure di nullità matrimoniale, per quanto concerne le incapacità psicologiche e psichiatriche (can. 1095, 3°), una delle riforme possibili sarebbe quella di dichiarare nulla l’ordinazione episcopale, sacerdotale o diaconale di coloro che hanno compiuto pratiche omosessuali o che hanno commesso violenze sessuali. La procedura esiste già, ma una sua più frequente messa in atto permetterebbe di escludere in maniera definitiva i soggetti maggiormente colpevoli. La questione è la seguente: i disordini dell’affettività dirimono in maniera incontestabile la facoltà di discernimento di coloro che si presentano per ricevere il Sacramento dell’ordine. Questa questione riguarda l’assenza di libertà interiore della cui presenza evidentemente occorre assicurarsi nel giorno dell’ordinazione. Questa riforma sopprimerebbe, lo ripetiamo, l’ambiguità della sanzione attuale, dettata della riduzione allo stato laicale, formula impropria perché il colpevole non è ridotto allo stato laicale: semplicemente esso è sospeso dai suoi doveri clericali, pur conservando il suo status clericale e la facoltà stessa, in caso di necessità o in pericolo di morte, di esercitare ancora un incarico religioso.
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