L'apporto dei laici nella questione abusi: nostra intervista a Linda Ghisoni
Fabio Colagrande e Adriana Masotti - Città del Vaticano
“Credo che insieme, nell'ascolto reciproco e fattivo, dobbiamo impegnarci a lavorare affinché in futuro non desti più tanto clamore un evento come questo meeting, e la Chiesa, Popolo di Dio, si prenda cura, in modo competente, responsabile e amorevole, delle persone coinvolte, di quanto accaduto, affinché la prevenzione non si esaurisca in un bel programma, ma divenga atteggiamento pastorale ordinario”. Così ieri nella sua relazione all’incontro in corso in Vaticano sulla protezione dei minori, la dott.ssa Linda Ghisoni, sottosegretario per la Sezione per i fedeli laici del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita.
Il "rendere conto" ha radici nella natura stessa della Chiesa
La docente di Diritto Canonico, che ha svolto varie funzioni nei Tribunali Ecclesiastici della diocesi di Roma e presso la Curia Romana, ha chiarito qual è il nesso tra dimensione della Chiesa come comunione, come popolo di Dio, e il “rendere conto” della propria responsabilità in caso di abusi, tema della giornata di ieri. Nell’intervista a Radio Vaticana Italia, il sottosegretario ritorna su questo tema.
Tutte le componenti del popolo di Dio sono corresponsabili
Un altro aspetto messo in luce nell’intervista è il ruolo dei laici corresponsabili con i vescovi nella prevenzione agli abusi anche attraverso la loro partecipazione a consigli che potranno costituirsi nelle diocesi, nelle parrocchie. Infine un riferimento personale: preparando il mio intervento, dice Linda Ghisoni, ho pensato alla mia realtà ordinaria anche come donna: “Io non sono la Chiesa, ma io mi sento Chiesa".
R. - Il rendere conto, l’accountability, non è solo un’esigenza di carattere sociale: è proprio un’esigenza che si situa là nel modo di intendere la Chiesa, come mistero di comunione, come popolo di Dio in cammino. Dunque se noi lo comprendiamo in questi termini, l’accountability, il render conto, non è uno sforzo volontaristico, non è un controllo che si pone da fuori, ma è un corrispondere alla natura della Chiesa.
Eppure molte persone, anche laici, dicono che parlare degli abusi in qualche modo è screditare la Chiesa. Lo ha ricordato nella sua relazione …
R. - Certo, perché anche io come ho detto nella relazione, parlo quotidianamente con persone, alcune elle quali dicono: “meglio non parlarne, perché così perdono valore tutti i gesti buoni e stanti che per esempio viviamo nelle parrocchie. Ma io mi chiedo se sia più scandaloso o non piuttosto il fatto che siano abusi sessuali, di potere, di coscienza. Questi sì macchiano la Chiesa, questi sì feriscono il corpo di Cristo che è la Chiesa procurando a questo corpo ferite forse mai rimarginabili. Dunque non si tratta di parlare solo di questo, per quello io nella mia relazione ho ringraziato coloro che vivono il sacerdozio proprio come un “lavare i piedi”, però non possiamo non parlare di quello che c’è nella Chiesa per assumercelo tutti quanti come popolo di Dio e per far sì che delitti così gravi non abbiamo mai più a compiersi a danno dei minori. Ciascuno di noi può pensare ai nostri figli.
Lei ha dato alcuni suggerimenti pratici. In particolare come vede il ruolo che possono avere laici in questa responsabilità comunionale del rendere conto?
R. - I laici proprio in virtù del Battesimo e di questo loro esser chiamati ad essere membra vive del popolo di Dio con diversi doni e ministeri, possono concorrere, per esempio, nell’andare a formare dei consigli ai vari livelli: diocesani, regionali, nazionali; non si tratta di contesti che poi andrebbero a giudicare il vescovo; il vescovo li dovrebbe vedere come degli alleati che proprio con uno spirito ecclesiale e in base a quelle che sono le competenze richieste, lo aiutano ad un rendere conto che fa sì che sia viva un’esperienza ecclesiale per il vescovo stesso, ma anche fa sì che si possano prevenire abusi di qualunque genere.
Dopo la sua relazione il Santo Padre ha detto che gli era sembrato di sentire la Chiesa parlare della Chiesa; Chiesa in quanto madre che parla di se stessa, sottolineando il fatto che a parlare era stata una donna ….
R. - Devo dire che mi sono commossa nel sentire queste parole del Santo Padre, perché ho pensato subito alla mia realtà ordinaria, quella di moglie, di madre di due figlie, di vita in parrocchia. Effettivamente io non sona “la Chiesa”, ma io mi sento Chiesa. dunque a questa mia appartenenza devo tantissimo e sono contenta di restituire con il limite della mia vita e delle mie parole tutto quello che è possibile.
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