I novant’anni dei Patti Lateranensi tra le mura di casa Pacelli
Eugenio Bonanata e Cecilia Seppia – Città del Vaticano
Il lavoro, lo studio, la famiglia. Francesco Pacelli, classe 1874, era un uomo dai valori nobili e dai pensieri complessi. Meticoloso, austero, con la passione per la pittura e per il mare, fratello maggiore di quell’Eugenio poi divenuto Papa con il nome di Pio XII. Docente universitario, giurista, grande mediatore, fu lui il vero protagonista nascosto dei Patti Lateranensi. Lui, che a partire dal 1926 per volontà di Pio XI, fu incaricato di condurre i negoziati con lo Stato italiano, felicemente culminati nell’accordo siglato l’11 febbraio del 1929.
Via Boezio 19
Per celebrare il 90esimo dei Patti siamo entrati oggi in casa sua, accolti da Giorgia Carolei Pacelli, moglie del nipote di Francesco, che ancora vive nel villino di famiglia, immerso nel quartiere romano di Prati. Il suo mondo, le sue cose, le sue passioni emergono dai tanti oggetti custoditi in casa: l’antica sedia della sua scrivania, le foto, il campanello del portone, dal suono impertinente, fino agli acquerelli dipinti a Santa Marinella nei brevi ritagli di tempo libero.
Oltre i Patti
“La Santa Sede deve molto a lui”, dice Giuseppe Dalla Torre presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano. E non solo per la faticosa trattativa, ma anche per l’impegno successivo. “Tutto il lavoro di costruzione dell’ordinamento interno della Città del Vaticano - aggiunge Dalla Torre - può essere ancora riportato alla mano di Francesco Pacelli”. Per questa attività Pacelli chiese e ottenne di avvalersi della collaborazione del giurista ebreo fiorentino Federico Cammeo, a cui era legato da profonda stima e amicizia. I due definirono lo schema delle prime leggi del nuovo Stato, che vennero emanate il 7 giugno 1929. È lo stesso giorno della ratifica dei Patti Lateranensi sancita dalla pubblicazione degli Acta Apostolicae Sedis, la ‘Gazzetta Ufficiale’ della Santa Sede.
L’impegno, la salute e il diario
La signora Giorgia ce lo ripete spesso fino anche a confidarci che la salute di Francesco Pacelli, già malato di cuore, risentì parecchio di quegli anni intensi passati a studiare, pensare e definire i contorni della Città del Vaticano così come li conosciamo oggi. Tutti i suoi passi, i momenti della giornata, gli appuntamenti, gli incontri con le gerarchie vaticane e gli esponenti del governo Mussolini, sono stati annotati da Pacelli nel ‘Diario della Conciliazione’. Un documento intimo, pubblicato nel 1959, che offre una sorta di backstage dei Patti facendo emergere in parallelo l’anima dell’avvocato scaltro, ma timorato di Dio, nel quale il Papa riponeva piena fiducia.
Il lasciapassare di Pio XI
Dai cassetti dei mobili, inaspettato, viene fuori anche il lasciapassare che testimonia proprio questa fiducia. “L’avvocato Francesco Pacelli - c’è scritto sul prezioso cartoncino con lo stemma pontificio - può sempre domandare di avere udienza presso il Sommo Pontefice Pio XI”. Sempre. Di giorno, di notte se fosse stato necessario, perché si portasse a compimento il progetto dello Stato con i suoi confini, le sue strutture, i suoi organismi e tutta una serie di servizi di cui ancora oggi usufruiscono cittadini e dipendenti.
Lo stemma di famiglia
Di quel periodo è rimasto anche l’assiduo e privato carteggio con il fratello Eugenio Pacelli, all’epoca un giovane monsignore chiamato a fare il nunzio in Germania, poi segretario di Stato e infine Papa, al quale confidava le speranze, le paure, gli ostacoli della lunga trattativa. La nobile tenacia di Francesco Pacelli, sorretta dalla fede, è impressa anche nell’insegna di famiglia. Al suo interno figura infatti anche lo stemma della Santa Sede: una concessione esclusiva proprio a causa dell’impegno del giurista nella stesura dei Patti che gli valse la nomina a consigliere generale dello Stato della Città del Vaticano e il titolo ereditario di marchese.
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