Card. Cupich: la Chiesa sia 'Pietà' e madre amorevole per le vittime di abusi
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
La Chiesa deve diventare madre addolorata per coloro “che sono stati schiacciati dall’abuso del clero”, essere “veramente 'Pietȧ', spezzata nella sofferenza, consolante nell’amore avvolgente, costante nell’indicare la divina tenerezza di Dio tra le sofferenze della desolazione” in chi ha subito violenza. Per questo “noi capi della Chiesa dobbiamo ancorare tutti i nostri provvedimenti “al dolore penetrante di coloro che sono stati abusati e delle famiglie che hanno sofferto con loro”. L’ arcivescovo di Chicago, il cardinale Blase Joseph Cupich, che è presidente della commissione per la protezione dei minori della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, è il secondo relatore del secondo giorno di lavori dell’Incontro su “La protezione dei minori nella Chiesa” in corso in Vaticano. E apre il suo intervento su “Sinodalità: responsabilità condivisa”, nella giornata dedicata all’accountability, cioè “il dover rendere conto”, invitando i partecipanti, presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo e membri della Curia romana, ad una forte empatia con gli abusati, i loro genitori e i fedeli in generale.
Quando la Chiesa copre l’abuso per proteggere l’aggressore
Perché a volte, spiega il cardinal Cupich, questi vedono “la poca attenzione data ai bambini abusati, o anche peggio, quando l’abuso viene coperto per proteggere l’aggressore o l’istituzione”. E si chiedono: “Se i capi della Chiesa possono agire con così poca cura nel prestare attenzione pastorale a casi tanto ovvi di molestie sessuali verso un bambino, questo non rivela quanto siano distaccati da noi genitori, approfittando dei nostri figli, luce della nostra vita?”. E ancora: “Possiamo davvero aspettarci che i nostri pastori si preoccupino per noi e per i nostri figli nelle normali circostanze della vita, se hanno risposto in modo così insensibile a casi che avrebbero allarmato qualsiasi persona ragionevole?”
La madre addolorata della bimba morta 60 anni fa
Questa, commenta l’arcivescovo di Chicago, “è la fonte della crescente sfiducia nella nostra leadership, per non parlare dell’oltraggio alla nostra gente”. Per questo la Chiesa deve diventare come la madre addolorata che il cardinale racconta di aver incontrato prima della Messa commemorativa per i 92 bambini e le tre religiose vittime del devastante incendio della scuola cattolica elementare Nostra Signora degli Angeli a Chicago, 60 anni fa, nel dicembre 1958.
Il sacro legame di un genitore con il figlio violato
Novantacinque anni, immigrata italiana, madre di una piccola scolara morta nell’incendio, “mi ha detto in italiano – ricorda il cardinal Cupich - che il dolore della sua perdita era ancora straziante come il giorno in cui la figlia di nove anni era morta”. La storia di questa “moderna Pietà”, spiega l’arcivescovo statunitense ci mette in contatto “con il sacro legame che un genitore ha con suo figlio”. Credo, aggiunge, che “questo spazio sacro della vita familiare debba essere il punto di riferimento in cui trovare la nostra motivazione” per “modificare radicalmente il nostro approccio alla salvaguardia dei minori”.
Solo una visione sinodale può aiutare la difesa dei più deboli
Affrontando poi il tema della sua relazione, “Sinodalità, responsabilità condivisa”, Cupich ricorda che per sinodalità “si intende la partecipazione di tutti i battezzati a ogni livello – parrocchie, diocesi, realtà nazionali e regionali – attraverso un discernimento e una riforma che penetra in tutta la Chiesa”. E sottolinea che “Solo una visione sinodale, fondata su discernimento, conversione e riforma a ogni livello, può portare nella Chiesa un’azione globale in difesa dei più deboli in mezzo a noi” alla quale Dio ci chiama.
Non basta cambiare politiche, serve la conversione
Un discernimento vitale per la Chiesa, spiega l’arcivescovo di Chicago, che porterà “ad elementi di verità, penitenza e rinnovamento delle culture, essenziali per adempiere al mandato di proteggere i giovani all’interno della Chiesa e, a sua volta, all’interno della più ampia società”. Perché non basta cambiare politiche, ma “dobbiamo cercare la conversione di uomini e donne nella Chiesa intera – genitori e sacerdoti, catechisti e religiosi, parroci e vescovi – e la conversione delle culture ecclesiali in ogni continente”.
I quattro orientamenti per una riforma
Per una Chiesa che “cerca di essere una madre amorevole di fronte all’abuso sessuale del clero”, Cupich elenca quattro orientamenti, radicati nella sinodalità, “che devono plasmare ogni riforma strutturale, legale e istituzionale”. Il primo è un atteggiamento di “ascolto radicale” e totale “per capire l’esperienza svilente di coloro che sono stati sessualmente abusati dal clero”. E’ quindi indispensabile “mettere da parte la distanza istituzionale e i paraocchi relazionali che ci impediscono di metterci di fronte alla cruda distruzione delle vite dei bambini e delle persone vulnerabili che hanno subito abusi sessuali dal clero”.
Uno: ascolto radicale di chi è abusato
L’ascolto non può essere passivo, in attesa che siano gli abusati a “raggiungerci”, ma attivo, “cercando coloro che sono stati feriti per tentare di aiutarli”. Il nostro ascolto, prosegue l’arcivescovo di Chicago “deve essere disposto ad accogliere la sfida, il confronto e persino la condanna per i fallimenti passati e presenti della Chiesa”. E “deve avere la volontà di affrontare errori gravi e insensibili del passato di alcuni vescovi e superiori religiosi nell’affrontare i casi di abusi sessuali del clero”. Serve discernimento per rendere conto “per questi massicci fallimenti”.
Due: coinvolgere testimoni laici
Il secondo fondamento deve essere “la testimonianza dei laici, soprattutto madri e padri con grande amore per la Chiesa”, perché è questa che ha sottolineato con forza “che la commissione, l’insabbiamento, la tolleranza del clero e l’abuso sessuale sono gravemente incompatibili con l’essenza e il significato stesso della Chiesa”. Questa testimonianza “non rappresenta una sfida conflittuale alla Chiesa”. “Madri e padri ci hanno chiamato a rendere conto – denuncia Cupich - semplicemente perché non riescono a capire come noi, vescovi e superiori religiosi, siamo stati spesso ciechi di fronte alla portata e ai danni degli abusi sessuali sui minori”. Serve quindi “uno sforzo incessante per sradicare gli abusi sessuali del clero” ma anche “il rifiuto della cultura clericale che tanto spesso ha generato quell’abuso”. Quindi qualsiasi percorso che escluda “la prospettiva unica di uomini e donne laici, madri e padri” deformerà “inevitabilmente la Chiesa”.
Tre: collegialità e comunicazione a tutti i livelli
Il terzo orientamento dev’essere la collegialità, come già indicato prima di Cupich, dal cardinal Gracias. Se talvolta “il problema dell’abuso sessuale può far sentire ciascuno di noi isolato o sulla difensiva”, è indispensabile “uno scambio reciproco di mutua conoscenza, nella Curia Romana, nelle Conferenze Episcopali, nelle Sedi Metropolitane, tra ognuno di loro allo scopo di discernere”. Perché “anziché operare isolatamente, dobbiamo comunicare gli uni con gli altri in uno spirito di fiducia”. L’esperienza di questi anni ci ha insegnato, per l’arcivescovo di Chicago, che i fallimenti nel riconoscere la responsabilità dei chierici negli abusi commessi, “sono dovuti in gran parte ai difetti del modo in cui interagiamo e comunichiamo gli uni con gli altri nel collegio dei vescovi, in unione con il successore di Pietro”.
Non lasciare da solo chi deve prendere decisioni
Come il Papa ha ricordato “nessuno può avere in mano tutto”. Per una corretta accountability, ricorda Cupich, serve quindi “una rete concreta di orientamento, grazia e sostegno che non lascia il singolo leader solo nelle situazioni difficili né si affida alla falsa impressione che la Santa Sede debba trovare tutte le risposte”.
Quattro: accompagnare con compassione chi cerca giustizia
L’ultimo principio che deve orientare efficaci strutture che realizzino il dovere di “rendere conto”, è “la chiamata all’accompagnamento”. Una solidarietà e un accompagnamento “davvero compassionevole”. Quindi ogni struttura di “segnalazione, indagine e valutazione delle affermazioni di abuso”, per l’arcivescovo di Chicago, deve essere elaborata “con la comprensione di ciò che i sopravvissuti subiscono quando si avvicinano alla Chiesa e cercano giustizia”. Ogni sopravvissuto agli abusi che si avvicina alla Chiesa “che stia cercando conforto, giustizia, punizione o pace”, è per noi “un invito affinché la Chiesa sia veramente Pietȧ, contraddistinta da tenerezza ed empatia”. Tali strutture, chiarisce il cardinal Cupich, devono quindi imporre “sanzioni per proteggere le persone vulnerabili, se l'accusato è colpevole, e dichiarazioni di innocenza quando l’imputato è innocente”.
Nessuna immunità nel clero per le accuse di abuso
Vanno per questo rigettati “categoricamente gli insabbiamenti o il consiglio di prendere le distanze dai sopravvissuti agli abusi per ragioni legali e per paura dello scandalo”. E servono “strutture e disposizioni giuridiche per sancire esplicitamente il dovere di proteggere i giovani e le persone vulnerabili, come primo e principale obiettivo”. Per rispondere infine alla chiamata all’accompagnamento, vescovi e superiori religiosi devono rifiutare “una visione del mondo clericale che vede le accuse di abuso sessuale del clero proiettate su uno sfondo di status e immunità per coloro che sono nello stato clericale”.
Gli 11 principi base per le strutture di accountability
L’arcivescovo di Chicago dedica poi al seconda parte della sua relazione ai principi che devono guidare la creazione di strutture istituzionali e legali specifiche, per un’ autentica accountability. Ancorate “alla giustizia e alla sensibilità che Gesù ha mostrato”, quando, come scrive Papa Francesco nell’Amoris Laetitia “provava compassione di fronte alla sofferenza della gente”. La guida che già abbiamo, ricorda Cupich, è la Lettera Apostolica Come una madre amorevole, scritta come motu proprio dal Papa nel giugno 2016, che indica “procedure che riguardano, tra l'altro, i vescovi che gestiscono male i casi di abuso”. Francesco, sottolinea Cupich, scrive che un vescovo o un superiore di ordine religioso “può essere rimosso se la sua mancanza di diligenza a tale riguardo è grave, anche se non vi è alcun serio errore intenzionale da parte sua”. “Abbiamo bisogno – commenta il cardinale statunitense - di leggere e rileggere questa lettera”.
In caso di rimozione di vescovi è urgente intraprendere azioni
Infine Cupich indica le procedure da attuare “per la rimozione dall’incarico di un vescovo, eparca o superiore religioso”, come definito nel motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela , scritto nell’aprile 2001 da San Giovanni Paolo II, e nel motu proprio Come una madre amorevole . Sono procedure che permettono ad ogni Conferenza Episcopale di valutare “se i vescovi sono coinvolti in cattive condotte e maltrattamenti”. Perché anche se ci sono, nelle Chiese locali “differenze nella cultura, nelle leggi civili e canoniche”, bisogna esser consapevoli “dell'urgenza di intraprendere azioni decisive senza indugio”.
Stabilire degli standard per le indagini dei vescovi
Quindi l’arcivescovo di Chicago raggruppa sotto tre titoli le sue osservazioni. Il primo: stabilire degli standard per le indagini dei vescovi. In questo caso le Conferenze episcopali “dovrebbero coinvolgere e consultare esperti laici in accordo con il diritto canonico e fare riferimento al Metropolita, visto il suo ruolo tradizionale nell'ordinare la vita ecclesiale”. Il tutto “senza pregiudizio per l'autorità della Santa Sede”. E se il diritto civile richiede “la segnalazione di abusi sui minori, tale legge deve essere seguita”.
Segnalare le accuse, al telefono o con un portale web
Tutti i meccanismi “per presentare denuncia di abusi o maltrattamenti nei confronti di un vescovo – chiarisce Cupich - dovrebbero essere trasparenti e ben noti ai fedeli”. Andrebbero creati meccanismi di segnalazione indipendenti, come “una linea telefonica dedicata e/o un servizio di portale web per ricevere e trasmettere le accuse direttamente al Nunzio Apostolico, al Metropolita[1] del vescovo accusato o, se necessario, al suo sostituto e a qualsiasi esperto laico previsto dalle norme stabilite dalle Conferenze episcopali”. Il coinvolgimento di esperti laici, insiste l’arcivescovo statunitense, “diventa necessario per il bene del processo e il valore della trasparenza”. E vanno stabiliti altri requisiti e procedure per permettere a “membri del clero che siano a conoscenza della cattiva condotta di un vescovo” di riferire alle apposite autorità ecclesiastiche.
Passi procedurali concreti
In accordo con le leggi universali della Santa Sede sul tema, come il motu proprio Come una madre amorevole, secondo Cupich le Conferenze Episcopali “dovrebbero prendere in considerazione l'adozione di norme speciali per rispondere alle esigenze particolari di ogni Conferenza”. Norme che dovrebbero rispondere a 11 principi che l’arcivescovo elenca. Innanzitutto trattare con dignità e rispetto le vittime e le loro famiglie, offrendo loro “un'adeguata assistenza pastorale” e “consulenza psicologica” e altro sostegno, “finanziato dalla diocesi del vescovo accusato”.
Nessuna ritorsione verso chi accusa un vescovo
Due: la segnalazione di un reato non dovrebbe essere ostacolata dalle regole “di segretezza o riservatezza”. Tre: nessuna persona che presenta un’accusa contro un vescovo alle autorità ecclesiastiche dovrebbe essere discriminata o vittima di ritorsioni. Quattro: nel processo, dall’inizio alla fine, vanno incluse donne e uomini laici competenti, con esperienza, per rispetto di principi di accountability e trasparenza. Cinque: In qualsiasi momento durante l'indagine, il Metropolita dovrebbe essere in grado di raccomandare alla competente congregazione romana che siano adottate misure precauzionali appropriate, incluso il ritiro temporaneo e pubblico dell'accusato dal suo ufficio.
In caso di accusa verosimile, chiedere di poter indagare subito
Sei: se l'accusa ha parvenza di verità, che il metropolita dovrebbe determinare con l'aiuto di esperti laici, il metropolita stesso “può chiedere alla Santa Sede l'autorizzazione a indagare. La natura esatta dell'indagine, sia essa penale o amministrativa, dipenderebbe dalle accuse”. Una richiesta che per il cardinale “deve essere inoltrata senza indugio e la congregazione dovrebbe rispondere immediatamente”.
Rispetto della privacy ma anche informazione ai fedeli
Sette: dopo l’autorizzazione, il Metropolita “dovrebbe rapidamente raccogliere tutte le informazioni pertinenti, in collaborazione con gli esperti laici, per assicurare l'esecuzione professionale e rapida delle indagini e la loro veloce conclusione”. Otto: l’ indagine va condotta “con il dovuto rispetto per la privacy e il buon nome di tutte le persone coinvolte”, ma la Conferenza episcopale può “informare i fedeli delle accuse contro il vescovo in qualsiasi fase del processo”, accordando però all’accusato “la presunzione di innocenza durante l'inchiesta”.
Un fondo comune per i costi delle indagini sui vescovi
Nove: Inoltrare tutti gli atti dell’inchiesta, con il voto del Metropolita, alla Santa Sede. Dieci: istituire un fondo comune nazionale, regionale o provinciale, per coprire i costi delle indagini dei vescovi. E infine undici: la Santa Sede prende in considerazione il caso di un vescovo a fini di risoluzione con un procedimento amministrativo o penale o altra disposizione, oppure può restituire il caso al metropolita con ulteriori istruzioni su come procedere.
Lavorare instancabilmente per giustificare la fiducia dei fedeli
In conclusione, il cardinale Cupich chiede che queste nuove leggi e strutture per la accountability, cioè il dover rendere conto, dei vescovi, suppliscano “con una nuova anima alla realtà istituzionale della disciplina della Chiesa sull'abuso sessuale”. Con l’augurio finale di lavorare instancabilmente in questi giorni per giustificare la fiducia e onorare la fede tanto grande di fedeli come l’anziana madre addolorata di Chicago.
“Quella madre che mi ha affidato la figlia morta 60 anni fa”
Al termine della Messa commemorativa, racconta ancora l’arcivescovo della metropoli statunitense, ancora col santino della figlia morta in mano, “mi ha fermato per dirmi quanto fosse confortata dalla celebrazione, consolata che la Chiesa non avesse dimenticato sua figlia. Poi ha fatto qualcosa di straordinario e molto simbolico. Ha messo il santino nelle mie mani, affidando la figlia alla Chiesa che ha riconosciuto come Pietȧ, madre amorevole”.
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