Radio Vaticana, 88 anni di una signora dal volto nuovo
Eugenio Bonanata – Città del Vaticano
“L’eccezionale dinamismo e lo zelo apostolico di Giovanni Paolo II d’ora in poi scandiranno, giorno per giorno, ora per ora, il ritmo della sua Radio, che ne seguirà ogni passo”. Quando scrive queste parole, Fernando Bea non può immaginare il carico di profezia che contengono. Negli primi anni Ottanta Bea è una firma prestigiosa dei resoconti dell’emittente pontificia e la sua frase è in chiusura del libro, pubblicato nell’81, che ne racconta i primi 50 anni di vita. L’autore intuisce che il dinamismo del giovane Pontefice polacco avrà riflessi sul lavoro della Radio Vaticana ma non può immaginare quale rivoluzione porterà il Papa “venuto di un Paese lontano”.
Subito nell’arena
Non che nel suo primo mezzo secolo la Radio del Papa avesse vivacchiato in una dorata esistenza all’ombra del Cupolone. Il volume di Bea racconta con dovizia di informazioni e aneddoti gli esordi dell’emittente vaticana, costretta fin da subito a mostrare muscoli da “influencer” piuttosto che limitarsi a fornire alla Santa Sede un efficiente e più tranquillo servizio di radiotelegrafia, creato da Marconi per Pio XI. La propaganda fascista e poi nazista, che tanto della loro presa basavano su un uso moderno e spregiudicato della radio, portano la Radio Vaticana a controbilanciare con gli insegnamenti del Papa, o con informazioni di prima mano in arrivo dagli episcopati europei, le ideologie liberticide che in molti Paesi stavano imbavagliando la Chiesa. E quando tutto precipita verso il conflitto, il celebre “nulla è perduto con la pace, ma tutto può esserlo con la guerra” di Pio XII resta, anche se inascoltato, un baluardo di ragionevolezza contro la follia distruttiva che avvelena il resto dell’etere.
Microfono amico
Ed è sempre il libro di Bea a ricordare il tante volte citato – impossibile non farlo ancora – servizio umanitario svolto dalla Statio Radiophonica Vaticana durante gli anni del secondo conflitto mondiale, il milione e 240 mila messaggi trasmessi dall’Ufficio Informazioni tra il ’40 e il ’46 che aiutano tante donne ad avere notizie sulla sorte di mariti, fratelli e fidanzati dispersi o prigionieri di guerra. La rinascita del Dopoguerra per la Radio Vaticana si traduce in un salto esponenziale con l’inaugurazione, nel 1957, del Centro Trasmittente di Santa Maria di Galeria, che supporta a livello tecnologico lo sforzo editoriale messo in campo negli anni del Concilio. Il Vaticano II è un banco di prova giornalistico senza precedenti per l’emittente che nel frattempo ha “imparato” a parlare in 30 lingue e che riesce a raccontare tutte le fasi dell’assise con 3 mila ore di trasmissione e 300 mila km di nastro magnetico.
Radio d’opinione
Paolo VI è un giornalista e vuole che la “sua” Radio offra chiavi di lettura cristiane dei fatti del mondo. Vuole giornalisti che smuovano le coscienze non solo tecnici che facciano funzionare la macchina. Lo fa capire a chiare lettere il 30 giugno del ’66 quando, circondato dai macchinari del Centro di S. Maria di Galeria, spiega di voler migliorare la Radio Vaticana perché, dice, “a nulla servirebbe avere un magnifico strumento, se poi non lo sapessimo magnificamente adoperare”. Per questo dal 1970 fa progressivamente sgomberare le stanze di Palazzo Pio, occupati da varie sigle cattoliche, per far spazio a redazioni e regie. Poi arriva l’Anno dei tre Papi, 72 giorni di fuoco che sconvolgono i ritmi abbastanza compassati dell’emittente di allora, che – per fare un esempio – aveva seguito i primi viaggi all’estero di Papa Montini con pochi cronisti e ancora meno dirette. Lo tsunami che cambia tutto è il primo Papa polacco della Chiesa.
Voce dei silenzi
Quando Giovanni Paolo II infrange il protocollo e parla alla folla nel giorno della sua elezione, il gesto è premonitore dell’impeto con cui la Radio Vaticana deve rompere schemi e abitudini consolidati. Karol Wojtyla è di casa al Programma polacco della Radio. Non c’è volta che superi la Cortina di ferro per venire a Roma che non venga a parlare al microfono con la sua magnifica voce da baritono. E sa, il Pontefice di Wadowice, che i programmi europei dell’emittente hanno ingaggiato fin dal Dopoguerra una lotta serrata contro il totalitarismo comunista, tenendo accesa con creatività la fede nei clandestini del Vangelo. È la Radio che parla al posto della Chiesa del silenzio, che porta il catechismo a bambini condannati all’ateismo, che trasforma un tavolo di cucina in un altare nascosto da dove ascoltare la Messa.
Vecchio e nuovo
Il Pontificato di Papa Wojtyla è narrato nel secondo dei due volumi, pubblicati nel 2011 dalla Libreria Editrice Vaticana, che sintetizzano i primi 80 anni di storia della Radio Vaticana. Autore della seconda parte è Alessandro De Carolis, che segue la cronaca vaticana dal Giubileo del Duemila. E proprio l’Anno Santo, con le sue 6 mila ore di trasmissione, segna un ideale spartiacque tra la Radio pre-Internet e quella successiva che dovrà cambiare più volte pelle per stare al passo con i condizionamenti imposti all’informazione dalla tecnologia e dai mutamenti del web e dei social, ovvero quell’“aeropago della comunicazione moderna” come lo definisce Benedetto XVI in visita alla Radio il 3 marzo 2006. In questo aeropago Papa Francesco ha indicato con il Motu proprio del 2015 una nuova direzione, quella della riorganizzazione dei media vaticani sotto un unico dicastero. Una sfida tuttora aperta, che parla le mille lingue dell’interattività, che richiede la massima attendibilità propria di un medium istituzionale da mostrare nel breve segmento consentito dal “tempo reale”. Il tutto regolato dai dettami del “Search Engine Optimization” e lontano 90 anni dai trasmettitori di Marconi. Ma talvolta per far funzionare un nuovo motore ci vuole il cuore di una vecchia valvola.
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