Santa Sede all’Onu: per superare conflitti sia ascoltata la voce delle donne
Giada Aquilino - Città del Vaticano
Un ruolo speciale per dire “no alla violenza e alla miseria e sì alla pace e allo sviluppo”. È quello delle donne nella ricerca e nel mantenimento della pace in contesti che vivono o hanno vissuto violenze e conflitti armati. Lo ha messo in risalto l’arcivescovo Bernardito Auza, Osservatore permanente della Santa Sede all’Onu, intervenendo ieri a New York al dibattito sulle operazioni Onu di mantenimento della pace, dedicato al tema: “Women in Peacekeeping”.
La risoluzione 1325
Il nunzio apostolico ha ricordato come, quasi vent’anni fa, la risoluzione 1325 adottata dalle Nazioni Unite il 31 ottobre 2000 invocasse per le donne un ruolo più rappresentativo a livello decisionale nei processi di pace e nella prevenzione, nella gestione e nella risoluzione dei conflitti, chiedendo inoltre che fossero protette dalla violenza in situazioni di guerra e che partecipassero attivamente come agenti di cambiamento nell’ottica di una pace duratura.
Più donne nelle missioni di pace
Partendo da quanto affermato da Jean-Pierre Lacroix, segretario generale aggiunto a capo del Dipartimento Onu delle operazioni di pace, che ha sottolineato come il mantenimento della pace funzioni “efficacemente” quando le donne svolgono ruoli significativi e quando esse nelle comunità interessate sono “direttamente impegnate”, l’arcivescovo Auza si è soffermato su due aspetti. Il primo è quello delle donne che partecipano alle missioni di pace delle Nazioni Unite, il cui numero è “in aumento”, in linea con le priorità delineate dal segretario generale, António Guterres. Si tratta di “figlie, sorelle, mogli e madri” che alla professionalità uniscono “una sensibilità speciale” che permette loro di impegnarsi in modo particolare ed efficace “con le popolazioni locali”, valutando le reali necessità sul campo e offrendo l’opportunità di “condividere” le preoccupazioni sul futuro.
Ricostruzione della fiducia
Il secondo aspetto messo in luce dall’osservatore permanente, soffermandosi sulle donne che vivono in zone di conflitto o che hanno sperimentato personalmente il “trauma” della guerra, è il “ruolo essenziale” nella “ricostruzione della fiducia” per favorire la riconciliazione. Alcune di loro, nota l’arcivescovo, hanno responsabilità politiche e sono state “attori chiave” negli accordi di pace. È “incoraggiante”, afferma, constatare che un maggior numero di donne è coinvolto nei “processi democratici emergenti”, rafforzando lo Stato di diritto e “dando voce a chi non ha voce”. Sono donne che hanno visto le loro famiglie e comunità “lacerate”, i loro villaggi e le loro case “distrutti selvaggiamente”, la loro dignità “violata” e i loro “cari” scomparsi, eppure hanno “la capacità di seminare speranza, aprire nuove prospettive e riunire le persone”. La loro presenza al tavolo dei negoziati e in ogni fase dei processi di pace “è - evidenzia mons. Auza - una necessità e un beneficio inestimabile”: “è della massima importanza garantire che le loro voci siano ascoltate”.
Dialogo e apertura all’altro
L’Osservatore permanente della Santa Sede all’Onu si sofferma poi sul ruolo delle donne nelle realtà d’ispirazione religiosa, che in situazioni di crisi “per la loro apertura all'altro”, per i valori e la fede “eccellono” nel cammino “del dialogo”, “della collaborazione” e “della non violenza”, soprattutto nell’ottica di prevenire eventuali ricadute nei conflitti. L’esortazione è a “non trascurare un contributo così valido” e a sviluppare tali sforzi specialmente dove “la religione è stata manipolata per incitare alla divisione o impedire che i processi di pace” progrediscano efficacemente.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui