Card. Sandri: la Passione di Cristo sia occasione di carità per la Terra Santa
Barbara Castelli – Città del Vaticano
“La Passione di Cristo, la Settimana Santa, è impossibile viverla restando soltanto in una specie di dialogo di noi con Gesù. Questo si deve trasformare anche in aiuto concreto, in carità: dalla comunione con Cristo sorge la vita e l’aiuto a tutta la comunità cristiana”. Con queste parole, ai microfoni di Vatican News, il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, spiega quale è il senso della colletta per la Terra Santa, raccolta tradizionalmente il Venerdì Santo. Nel 1974, alla vigilia del Giubileo e nel clima del rinnovamento postconciliare della Chiesa, Papa Montini invitò i cattolici di tutto il mondo a porre aiuti concreti per le chiese in Terra Santa, con l’Esortazione apostolica Nobis in animo: una forma di carità ecclesiale che unisce l’intero corpo ecclesiale. Dopo il pellegrinaggio nei luoghi santi nel 1964, Paolo VI non si era mai stancato di aiutare le popolazioni e le chiese per un rinnovato percorso di pace e di prosperità: umana, sociale, economica e politica.
Un aiuto che profuma di speranza
Il porporato spiega che questa solidarietà si concretizza in tanti modi, specialmente per l’istruzione e la formazione, con i sussidi alle scuole cattoliche in Terra Santa. La colletta porta sostegno anche alla presenza dei cristiani, purtroppo sempre meno numerosi nei luoghi che hanno visto i passi dell’esistenza di Gesù. “Non possiamo fare che la Chiesa rimanga nella Terra Santa come una specie di museo o monumento di pietre morte – precisa il cardinale Leonardo Sandri – perché Cristo vive, vive adesso Risorto, vicino al Padre del Regno, ma anche nella Chiesa che sono i fedeli, le membra vive del corpo di Cristo”.
Nella Settimana Santa riviviamo gli accadimenti che hanno cambiato la storia dell’uomo, e proprio il Venerdì Santo è raccolta la colletta per la Terra Santa, dove tutti i giorni i cristiani tengono vivi i luoghi dell’esistenza di Gesù. Come vengono impiegati in modo concreto i soldi raccolti?
R. – Inviamo attraverso i vescovi, le circoscrizioni della Terra Santa, i sussidi necessari soprattutto per le scuole cattoliche in Terra Santa, e per tutte le opere sociali di aiuto ai cristiani in Palestina e in tutto Israele. Ovviamente, la nostra principale presenza è attraverso il Patriarcato latino di Gerusalemme: il seminario che c’è in Palestina, tutte le opere che loro hanno, in particolare per l’educazione e anche per la promozione sociale. E cito, in particolare, un ente che dipende dalla nostra Congregazione, che è l’Università di Betlemme, ma ci sono tante opere assistenziali, specialmente nella parte educativa. E quindi noi cerchiamo di dare questi aiuti concreti, per la promozione dell’uomo, soprattutto per la formazione cristiana della gioventù, attraverso i vescovi locali.
In un mondo di sprechi e cose futili, cosa vuol dire fare una colletta? Destinare qualcosa per qualcuno che probabilmente non si conoscerà mai…
R. – Lì sta proprio l’essenza della comunione tra i cristiani, uniti tutti nell’amore a Cristo, nel servizio ai fratelli, anche sconosciuti, ma che rappresenta un fatto concreto: andare incontro a quelli che più hanno bisogno. E lei ha giustamente accennato a tutte le cose futili, superflue, che noi purtroppo, con l’andazzo della vita, portiamo avanti anche per i bambini e per i più giovani. La Passione di Cristo, la Settimana Santa, è impossibile viverla restando soltanto in una specie di dialogo di noi con Gesù. Questo si deve trasformare anche in aiuto concreto, in carità: dalla comunione con Cristo sorge la vita e l’aiuto a tutta la comunità cristiana.
I cristiani in questi luoghi purtroppo sono sempre meno numerosi: cosa rappresenta invece la loro presenza in queste terre? È anche casa loro…
R. – Certamente rappresenta qualche cosa di insostituibile. Non possiamo fare che la Chiesa rimanga nella Terra Santa come una specie di museo o monumento di pietre morte, che sì rappresentano tutta la vita di Gesù e la sua presenza nel mondo, ma Cristo vive, vive adesso risorto, vicino al Padre del Regno, ma anche vive nella Chiesa che sono i fedeli, le membra vive del corpo di Cristo. E quindi, se noi non aiutiamo questi nostri fratelli a vivere proprio come Chiesa si rischia di trovarsi in una Terra Santa che ha tante belle mostre della presenza di Gesù, dell’arte, della storia, ma senza le pietre vive che sono i discepoli di Gesù che conformano la sua Chiesa.
Da quando Paolo VI ha istituito la colletta “Pro Terra Sancta” nel 1974 purtroppo sul Medio Oriente si sono spesso addensate tenebre di guerra. Oggi quali sono le speranze di pace?
R. – Le speranze di pace mai devono essere cancellate dalla nostra azione e dalla nostra vita cristiana. Noi siamo figli di Dio, per la pace in Cristo abbiamo ricevuto questa pace e la dobbiamo promuovere e vivere ogni giorno. Però certamente non è facile perché per la pace bisogna partire dall’umiltà, dal riconoscimento dell’altro, della sua identità e della sua personalità e dal servizio degli altri, che è il più grande gesto di carità che possiamo fare: annunciare Cristo con la parola e con la nostra vita.
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