Card. Krajewski: ho riattivato la luce per la sopravvivenza di famiglie e bambini
Amedeo Lomonaco e Antonella Palermo – Città del Vaticano
Dopo essere stato a Lesbo per portare la solidarietà di Papa Francesco ai migranti dei campi profughi dell’isola greca, l'Elemosiniere apostolico, il cardinale Konrad Krajewski, è stato informato della grave situazione in cui si trovavano oltre 400 persone, tra cui numerosi bambini, in un palazzo romano occupato. Da giorni lo stabile era senza corrente elettrica e acqua calda. Tali servizi erano stati sospesi dalla società che fornisce l’energia per un problema di morosità. Il porporato ha sentito il dovere di compiere un gesto umanitario ed ha così provveduto personalmente a riattivare la corrente elettrica all’edificio. Il cardinale ha compiuto questo gesto consapevole delle possibili conseguenze a cui può andare incontro, nella convinzione che fosse necessario farlo per il bene di queste famiglie.
Un gesto disperato
“Sono intervenuto personalmente – ha detto l’Elemosiniere apostolico all’agenzia di stampa Ansa - per riattaccare i contatori. È stato un gesto disperato. C’erano oltre 400 persone senza corrente, con famiglie, bambini, senza neanche la possibilità di far funzionare i frigoriferi”. In una intervista rilasciata al Corriere della Sera, il porporato ha riferito di conoscere da tempo le grandi difficoltà delle persone che vivono in quel palazzo. “Dal Vaticano – ha detto – mandavamo l’ambulanza, i medici, i viveri. Stiamo parlando di vite umane”.
Famiglie abbandonate
“La cosa assurda - ha sottolineato l'Elemosiniere apostolico al quotidiano italiano – è che siamo nel cuore di Roma. Quasi cinquecento persone abbandonate a sé stesse”. “Sono famiglie – ha aggiunto il porporato – che non hanno un posto dove andare, gente che fatica a sopravvivere”. Il primo problema, ha sottolineato, non è quello dei soldi. Dopo aver ricordato che tra le persone del palazzo ci sono molti bambini, il porporato invita a porsi queste domande: “Perché sono lì, per quale motivo? Come è possibile che delle famiglie si trovino in una situazione simile?”. L’elemosiniere apostolico ha ribadito infine che si assume tutta la responsabilità: “Dovesse arrivare, pagherò anche la multa”.
Nel palazzo occupato Alessandro Guarasci ha raccolto le voci di alcuni abitanti :
R. - È una settimana che siamo tutti al buio qui dentro. Qui ci sono più di cento bambini disperati, impauriti, terrorizzati e ammalati. È venuto davvero a ridare la luce in un posto di questo tipo, dove si vive sempre con il terrore di essere messi fuori di notte o di giorno. Non è poco ciò che ha fatto il cardinale Krajewski; è stato veramente un gesto umanitario, ma anche concreto, perché c’era di mezzo la vita delle persone.
Si può avviare adesso un dialogo con le istituzioni, secondo lei?
R. - Noi ce lo auguriamo. Aspettiamo che vengano all’interno di questa occupazione, come di tante altre occupazioni. Qui il trenta per cento delle persone è italiano; famiglie che hanno perso casa e lavoro. Cosa è cambiato? È ritornata la luce, quindi è ritornata la linfa di questo posto. Questo vuol dire che continuerà a riprendere il lavoro di rigenerazione di questo spazio, perché in questa settimana è stata tolta quella che può essere veramente la luce, ma non soltanto per chi vive qui, ma anche per le attività che in questi anni si sono sviluppate, non solo per chi vive qui ma anche per il territorio.
Come è finito in questo palazzo? Qual è la sua storia?
R. - Diciamo che sono finito qui come la stragrande maggioranza – credo – degli italiani, anzi ne sono certo. Avevo un percorso normale di vita: un lavoro, una stabilità economica relativa. Perdo il lavoro, siamo andati avanti con la causa per un anno, ma ovviamente la morosità è quello che è, e al momento dello sfratto con la forza pubblica “Action” mi ha dato l’opportunità di avere un piccolo spazio qui dentro, perché sono rimasto solo. Avendo moglie di nazionalità straniera e un figlio, abbiamo ritenuto opportuno che lei andasse via, nonostante avesse qui la sua eredità sociale, quindi la famiglia, quindi un sostegno.
'Medicina Solidale' in difesa del card. Krajewski
“Certamente l’Elemosiniere del Papa non ha bisogno della nostra difesa - dichiara Lucia Ercoli, direttore dell’associazione ‘Medicina Solidale’, l’associazione di medici volontari che si prende cura delle persone più deboli e più fragili di Roma - ma dobbiamo sottolineare che da sempre è al fianco di chi si occupa degli invisibili nella nostra città. Centinaia di bambini, donne e anziani che vivono dimenticati dalle istituzioni e se gli va bene, in stabili di cemento, altrimenti sotto baracche di cartoni e di lamiera. Medicine, cibo, vestiario e denaro – aggiunge la dott.ssa Ercoli – che ogni giorno ci arrivano dall’Elemosineria per i più fragili che incontriamo nei quartieri di Roma e nei nostri ambulatori di strada e nelle occupazioni. Questo certo non significa sostenere l’illegalità, ma aiutare chi soffre ed è più debole”. In proposito, l’intervista a Radio Vaticana Italia di Lucia Ercoli.
R. – Intanto, cominciamo a dire che queste persone sono delle persone che possiamo definire come “vulnerabilissime” perché private di diritti fondamentali che sono, il primo, quello ad una casa: molti di questi ospiti nel palazzo sono cittadini italiani, alcuni dei quali gravemente malati; in questo palazzo vivono 98 minori, la maggior parte dei quali nati in Italia e che frequentano le nostre scuole. Lasciare i bambini sette giorni al buio: di che cosa ha paura un bambino se non del buio? Questo configura secondo me un atto di violenza inaudita nei confronti di questi bambini, e per di più perpetuata nel tempo. Durante la settimana noi siamo stati più volte lì proprio per portare sollievo ai malati, alcuni dei quali segregati nelle loro stanze perché l’interruzione della corrente ha comportato il fatto che non fosse più utilizzabile l’ascensore e i presidi elettro-medicali di cui avevano bisogno. Ecco, lasciare i bambini in questa condizione per sette giorni ha spento sui loro visi il sorriso, la voglia di giocare, questa paura incombente che da un momento all’altro potessero perdere quel poco, e ripeto, quel poco che resta loro come diritto all’infanzia. E francamente non c’è stato nessuno che si sia schierato dalla parte dei bambini, che sia andato semplicemente a vedere come stavano. E quindi secondo me noi ci siamo trovati di fronte ad una gravissima violazione dei diritti umani. Lasciare i bambini al buio potrebbe significare trovarsi al buio davanti a Dio nel momento del giudizio, e questo per me è chiarissimo. E la Chiesa – ma direi chiunque ha incontrato nella sua vita Gesù di Nazareth – non può avere dubbi su da che parte stare.
Dottoressa, come continuerà il vostro impegno con Medicina Solidale nella città di Roma?
R. – Come sempre. Noi abbiamo fatto nostro l’appello di Papa Francesco e ci rechiamo soprattutto da chi non è visibile nelle periferie nascoste, che sono tante a Roma, dove vivono migliaia di persone senza un’alternativa. E noi cerchiamo di farci presenti sia come intervento medico sia come sostegno umanitario, portando quel poco che è nella nostra possibilità. E lo faremo, continueremo a farlo, perché questo è un impegno che abbiamo preso davanti a loro e a Dio, e non verremo meno alla nostra promessa.
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