Sinodo Amazzonia, al centro l’evangelizzazione
Debora Donnini – Città del Vaticano
Una Chiesa “coraggiosa nell’annuncio profetico del Vangelo, in difesa del creato e delle popolazioni indigene, è l’orizzonte verso il quale ci incamminiamo”. Così dipinge lo scenario che il Sinodo dovrà affrontare, il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei vescovi, alla presentazione dell’Instrumentum laboris per l’Assise sinodale, che si terrà in Vaticano dal 6 al 27 ottobre di quest’anno. Un documento che costituisce la base della discussione durante le Congregazioni generali del Sinodo e ha lo scopo di presentare la situazione pastorale delle Chiese locali e avviare nuovi cammini per una più incisiva evangelizzazione e, allo stesso tempo, per un’ecologia integrale, in un territorio minacciato dallo sfruttamento ambientale e fra popolazioni vulnerabili, come i Popoli Indigeni in Isolamento Volontario (PIAV), che si calcola siano fra i 110 e i 130, ma non solo.
Al Sinodo prenderanno parte tutti i vescovi residenziali e gli ordinari equiparati secondo il Diritto, appartenenti alle 9 circoscrizioni ecclesiastiche Panamazzoniche in Bolivia, Brasile, Ecuador, Perù, Colombia, Venezuela, Guyana francese, Guyana e Suriname; i presidenti delle 7 Conferenze episcopali coinvolte nella Regione; alcuni capi Dicastero della Curia romana particolarmente interessati alla vita della Chiesa in quest’area; la presidenza della Rete Ecclesiale Panamazzonica (REPAM) e i membri del Consiglio pre-sinodale nominati dal Papa. Ancora, 15 religiosi originari, agenti pastorali in Amazzonia, e i membri nominati dal Papa fra vescovi, sacerdoti, religiosi, in virtù della propria competenza. Fra gli altri partecipanti anche una ventina di indigeni.
Se la prima parte del Documento si incentra sulla realtà dell’Amazzonia, la seconda si focalizza sul grido della terra e dei popoli che la abitano e punta l’attenzione sulla necessità di una conversione ecologica. Su questa parte si è concentrata la riflessione di padre Humberto Miguel Yáñez. Sulla missione profetica della Chiesa in Amazzonia e sui nuovi cammini si parla invece nella terza parte, illustrata da mons. Fabio Fabene, sotto-segretario del Sinodo dei Vescovi. Oltre alla questione di un’inculturazione che si apre all’interculturalità, alla presentazione ci si è soffermati anche sulla valorizzazione del ruolo dei laici, anche delle donne, e sull’importanza di promuovere vocazioni autoctone. Nel Documento si legge anche: “Affermando che il celibato è un dono per la Chiesa, si chiede che, per le zone più remote della regione si studi la possibilità di ordinazione sacerdotale di anziani, preferibilmente indigeni”, “sebbene possano avere già una famiglia costituita e stabile, al fine di assicurare i Sacramenti che accompagnano e sostengono la vita cristiana”. Di questo Documento, che appunto raccoglie il materiale giunto dalla consultazione del Popolo di Dio in Amazzonia e i risultati di alcuni incontri, e del Sinodo per la Regione Panamazzonica, abbiamo parlato con lo stesso cardinale Lorenzo Baldisseri:
R. - Il Santo Padre ha voluto un Sinodo speciale sull’Amazzonia perché riconosce che l’Amazzonia è un territorio vastissimo che ha delle problematiche uniche e che possono essere di riferimento ad altre simili. In oltre 500 anni di storia del cristianesimo in America Latina, i popoli amazzonici sono stati quelli che hanno avuto meno possibilità di ricevere, proprio per la configurazione geografica. Quando sono entrati i missionari ovviamente hanno predicato il Vangelo e lì c’è stata la prima evangelizzazione. A distanza di tanti secoli, ci siamo resi conto che la pastorale dell’Amazzonia deve avere la sua specificità, ecco perché c’è questo Sinodo. Il Papa ha voluto che se ne occupasse soprattutto la Chiesa in America Latina, ma in particolare per dare un impulso ancora maggiore a quello che già esiste. Con la Conferenza di Aparecida i vescovi latinoamericani riuniti per una conferenza hanno cercato di mettere l’accento sull’evangelizzazione dell’Amazzonia. Lì si costruisce già una Commissione, anche da un punto di vista istituzionale.
C’è anche un punto di cui si parlato, ovvero la necessità di poter celebrare l’Eucaristia per questi popoli indigeni proprio perché il territorio è molto vasto e gli spostamenti non sono così semplici …
R. – Per poter raggiungere una popolazione, un paesino all’interno dell’Amazzonia, poiché non ci sono strade, non ci sono aerei, ci sono solo fiumi, molte volte occorre una settimana di canoa. Noi abbiamo informazioni precise - non solo dei missionari - che possono visitare solo una volta o due volte l’anno i fedeli che si trovano nella loro circoscrizione ecclesiastica. Occorre trovare un criterio, i mezzi, i modi per poter sopperire a questa necessità. Nell’Instrumentum laboris si affronta questo tema in quanto c’è una richiesta molto forte dalla base, cioè da quello che noi abbiamo raccolto, da parte delle popolazioni che ci dicono: “Noi vogliamo l’Eucarestia. Vogliamo la Confessione, che le persone che sono vicino alla morte siano accompagnate dal Sacramento”. Questo è ciò che loro ci chiedono. Qual è la risposta? La prima, lo abbiamo sottolineato, è quella di formare e quindi avere vocazione autoctone e che “si studi” con criteri ben precisi, la possibilità che ci sia l’Eucarestia e quindi la Confessione, cioè quello che è il munus sanctificandi per le persone che hanno anche già una famiglia, come è stato posto qui nell’Instrumentum laboris.
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