Aeroporti, ”zona franca” con fragilità ma anche occasioni di incontro con Dio
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Sono più di novanta e vengono da tutti gli aeroporti del mondo: sono i protagonisti del XVII seminario mondiale dedicato ai cappellani e degli agenti pastorali dell’aviazione civile in corso a Roma fino al 13 giugno. Dopo l’udienza con Papa Francesco, lunedì 10 giugno, i lavori sono entrati nel vivo a Villa Aurelia, coordinati dal prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, il cardinale Peter K.A. Turkson, che ricorda come il seminario voglia favorire lo scambio di riflessioni ed esperienze per rafforzare una visione comune dei compiti e delle competenze degli operatori pastorali coinvolti. “L’apostolato aeroportuale – sottolinea il cardinal Turkson - vuole assicurare la testimonianza cristiana, la proclamazione del Vangelo e la presenza fraterna per chiunque transita o lavora negli aeroporti”.
Card. Turkson: i cappellani sostengono il peso di tante fragilità
Al cardinal Turkson chiediamo di ripartire dalle parole del Papa, che nell’udienza ai partecipanti, ha sottolineato come gli aeroporti abbiano bisogno della testimonianza di Cristo, il solo capace di leggere nel cuore di ogni uomo, per essere trasformati da “periferie esistenziali” in “porti”.
R. – Il riferimento all’ aeroporto come nuova periferia è legato all’ esperienza delle persone, che a motivo dei viaggi, subiscono situazioni di vulnerabilità. Per loro i cappellani e gli operatori laici sono una specie di Cristoforo, che li aiutano a portare i loro pesi. Per alcuni sono il buon samaritano che porta simpatia, sostegno, aiuto, assistenza. Poi c’è chi approfitta della presenza dei cappellani per confessarsi dopo anni di niente. Poi, conosco anche situazioni dove le persone sono sfidate dalla presenza di un pastore. Un sacerdote portava una statua di Padre Pio negli Stati Uniti. In aereo, l’ha messa sulla sedia, è arrivato qualche passeggero e ha chiesto chi fosse. Questa domanda ha dato l’occasione a questo sacerdote di presentare la vita di Padre Pio. Alla fine, il passeggero ha chiesto di confessarsi. Questa conferenza è utile per rafforzare la fede di questi cappellani, per stimolare la carità sulla base della quale rendono tutti questi servizi, e per sapere anche legare tutto ciò che fanno con la testimonianza della Chiesa stessa.
Per esempio, a Fiumicino c’è questa esperienza dell’aeroporto che diventa luogo di rifugio anche per i senzatetto e i migranti …
R. – Parecchi, nel viaggio, diventano fragili. Chi viaggia con documenti falsi viene poi fermato in aeroporto e poi non ha più niente. Chi viaggia senza visto d’ingresso. C’è poi chi è fragile perché viaggia per andare ad assistere a un funerale, o hanno ricevuto qualche notizia brutta. E grazie al Signore qui a Roma abbiamo avuto questa buona iniziativa del vescovo che accoglie queste persone in difficoltà: può dare qualche sostegno mentre si cerca di sistemare e risolvere i problemi che hanno.
Don Martello (Linate): da un incontro in cappella un nuovo cammino
Nel corso della tre giorni i partecipanti si stanno confrontando sui ruoli, le funzioni e le competenze dei cappellani e degli agenti pastorali religiosi e laici e sulle modalità di azione della pastorale aeroportuale. Si parla anche della possibile collaborazione con le amministrazioni aeroportuali, la Chiesa locale, le caritas locali e con enti e rappresentanti di altre Chiese cristiane e altre religioni, per dare risposta alle tante povertà che ruotano attorno al mondo degli aeroporti: migranti, persone senza fissa dimora, rifugiati politici, detenuti.
Con don Fabrizio Martello, cappellano degli aeroporti milanesi di Linate e Malpensa, parliamo dell’aeroporto come “zona franca”, come l’ha definito il Pontefice, “dove la persona nell’anonimato riesce ad aprire il proprio cuore, iniziando un processo di guarigione e di ritorno alla casa del Padre”.
R. – Ci sono persone che prendono l’aereo al volo; se il volo è alle 5, arrivano alle 4 e corrono e quindi va bene, non ce la fanno. Ma magari gente che arriva o è abituata a viaggiare o arriva un pochino prima, nel suo girare per perdere un po’ di tempo in attesa di potersi imbarcare, scopre che c’è la cappella, la cappella è un luogo tranquillo, un luogo silenzioso, un luogo di pace dove c’è magari un po’ di musica di sottofondo … cosa succede? Che la gente entra, si ferma, magari ricarica il telefonino perché c’è una presa elettrica e lì avvengono incontri meravigliosi, magari con noi, sacerdoti o laici impegnati nella pastorale dell’aviazione civile, ma poi l’incontro è più grande, quindi è l’incontro con il Signore. E da cosa nasce cosa.
I suoi parrocchiani sono più i lavoratori aeroportuali o i viaggiatori?
R. – I nostri primi soggetti di attenzione pastorale sono le persone che in aeroporto lavorano. Contiamo che questa gente non ha la possibilità, tante volte, di aderire alle proposte delle parrocchie per motivi di turni e di lavoro: passano in aeroporto metà della loro vita. Quindi, l’idea che in aeroporto ci sia un prete con una chiesa è un po’ un modo di dire: “Tranquillo, anche sul tuo posto di lavoro la Chiesa ti è vicina”. E così, da lì nascono tutte le relazioni. Noi, a Linate, per esempio, abbiamo una comunità molto, molto, molto bella, cresciuta nel tempo che continua ad allargarsi … Ovvio: cappella in area pubblica, ufficio aperto, il passeggero passa … “potrei confessarmi?” – “certamente sì, volentieri!”, e c’è la Messa annunciata dagli speaker e chi è in transito, oltre alla comunità stabile, si aggiunge e vive l’esperienza della comunità. Qualcuno ritorna, qualcuno magari non lo vediamo più.
Una storia che ci può raccontare?
R. – Abbiamo iniziato a celebrare una Messa feriale per i dipendenti tutti i mercoledì all’una: abbiamo iniziato in due, io e un’altra persona. Due sono diventati quattro; quattro, otto … adesso questa è una realtà nella quale 50, 60 a volte 80 persone rinunciano alla pausa pranzo e vengono a Messa. Io cerco di non celebrare Messe troppo lunghe in modo tale che poi loro abbiano il tempo per andare a mangiare un boccone … Ma un dirigente, che appartiene a un movimento ecclesiale e quindi tutti lo sanno, a un certo punto mi dice: “Don, ti devo dire una cosa: io devo ringraziarti perché ci hai – a noi cristiani, e la gente sa che lo siamo – ci hai obbligati ad esporci sul luogo di lavoro. All’inizio dicevamo: andiamo a mensa, e di nascosto venivamo a Messa. Adesso che la comunità si è formata, diciamo a tutti: andiamo a Messa, e magari portiamo i colleghi”.
E invece una storia di un viaggiatore incontrato?
R. – Una viaggiatrice che è passata in cappella molto sorpresa, l’ho vista … abbiamo incominciato a parlare del più e del meno e disse: “Guardi, io non sono particolarmente credente: non sapevo che ci fosse una chiesa in un aeroporto! Sono rimasta molto stupita!”. Abbiamo fatto una bellissima chiacchierata, ha voluto l’indirizzo di posta elettronica, è una viaggiatrice frequente, un frequent traveller, e cosa fa? Ogni volta che arriva in un aeroporto e scopre che c’è una cappella, mi manda una e-mail: “Ne ho trovata una anche qui!”. Siamo molti di più di quelli che la gente pensa che siamo …
E’ importante avere incontri come questi, anche per fare rete tra voi cappellani?
R. – Una delle cose che a me piace, al di là degli approfondimenti teologici, canonistici, pastorali che possiamo avere in queste occasioni: è bello conoscerci tra di noi e io l’anno scorso ho visitato due delle cappellanìe europee – sono stato a Varsavia e a Francoforte – ho invitato i colleghi a venire a trovare noi; adesso ho ricevuto inviti dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti … sono occasioni per arricchirci delle reciproche differenze. Ogni Conferenza episcopale ha le sue caratteristiche, anche nazionali, se vogliamo: gli inglesi hanno delle caratteristiche loro, noi italiani abbiamo le nostre, gli Stati Uniti le loro … E’ bello arricchirci delle reciproche differenze, magari importando anche qualche cosa. A me capita di viaggiare: se vedo una cosa fatta bella in un aeroporto del mondo, da un’altra parte, cerco di portarla a casa. Poi magari funziona: se funziona, continuiamo, se non funziona, ne troviamo un’altra …
Don Sanges (Nizza): quell' assistente di volo che aveva perso il marito...
Dell’aeroporto come “porta” dell’incontro con Dio, parla a Vatican News anche don Frederic Sanges, cappellano nei due aeroporti di Nizza, in Francia.
R. – In aeroporto, ogni tanto, la gente ha tempo: ha tempo, perché l’aereo è in ritardo; succede abbastanza spesso che un viaggiatore, quando vede un collo romano, realizza che aveva messo Dio da parte o che aveva messo la religione al di là della sua vita. Le confessioni vanno direttamente allo scopo: non è che stanno per raccontare tutta la loro vita. Vanno direttamente allo scopo. Questo permette di ripartire in modo molto più allegro, molto più sollevato per continuare a vivere e a lavorare. Dal punto di vista degli attentati, a Nizza stessa, nell’aeroporto non si sente più questa tensione. Magari si sente ancora sulla Promenade des Anglais, quando si parla un po’ con i commercianti che hanno vissuto in diretta gli attentati del 2015. La situazione comunque oggi è molto più tranquilla: il viaggiatore è sereno. Abbiamo due terminali, a Nizza: quello piuttosto internazionale e quello nazionale. Nizza, essendo molto ben collegata via aereo, la gente prende l’aereo praticamente come l’autobus, per spostarsi in Francia: è molto più rapido, è molto più economico prendere l’aereo che prendere il treno. Dal punto di vista dei voli internazionali, stanno aumentando in maniera molto conseguente. A Nizza abbiamo una popolazione piuttosto internazionale che è pure comunque abituata a viaggiare e non ha più, veramente, questa paura del viaggio; ma ogni tanto è vero che, soprattutto per i viaggi che sono un po’ più intercontinentali, un certo tipo di popolazione preferisce o chiede comunque la benedizione.
Come parrocchiani ha da una parte i lavoratori dell’aeroporto, dall’altra parte i viaggiatori che passano poche ore. Ci racconti una storia del suo rapporto con loro …
R. – Alcuni mesi fa, un assistente di Air France ha perso il marito in un incidente aereo, in Svizzera. Dopo aver fatto tutti gli incontri con lo psicologo, si è resa conto che ci voleva qualcosa di più, che le mancava qualcosa. Magari le parole dello psicologo avevano una fine limitata. Il fatto di ascoltarla parlare e di parlarle di Dio le ha permesso di ritrovare una brezza di speranza e di attaccarsi alla fede e comunque a continuare a vivere pure per suo figlio.
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