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Cardinale Koch: per l'ecumenismo serve obiettivo comune

Il presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani interviene all’incontro Ccee dei vescovi orientali cattolici d’Europa in corso a Roma. La "piena comunione ecclesiale", afferma, "non è stata ancora raggiunta e occorrerà probabilmente molto più tempo di quanto immaginato"

Emanuela Campanile - Città del Vaticano

Quattro sono i punti su cui si costruisce l'intervento del cardinale Kurt Koch sui Modelli per il Rinnovamento dell'Unità della Chiesa. In occasione dell’incontro Ccee di ieri dei vescovi orientali cattolici d’Europa, il presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani ha proposto un'analisi dell'attuale "situazione ecumenica" a 50 anni di distanza dal Concilio Vaticano II.

1.La necessità e il carattere controverso dell’obiettivo ecumenico

Pur "provando gratitudine per tutto quello che è stato finora conseguito", il cardinale Kock mette in luce cosa "non può essere però taciuto":

"Il vero e proprio obiettivo del movimento ecumenico, ovvero la ricomposizione dell’unità visibile della Chiesa, la piena comunione ecclesiale, non è stato ancora raggiunto e occorrerà probabilmente molto più tempo per conseguirlo di quanto si fosse immaginato cinquant’anni fa. Questa mancanza ha un peso ancora maggiore se consideriamo che il Decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano Secondo, Unitatis redintegratio, individua proprio nell’unità visibile della Chiesa l’obiettivo di tutti gli sforzi ecumenici e lo legittima con la convinzione teologica fondamentale secondo cui Cristo ha voluto una Chiesa una e unica"

Una situazione "dolorosa", prosegue il  presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, "dovuta al fatto che l’interpretazione dell’obiettivo stesso dell’ecumenismo rientra nei temi più controversi del contesto ecumenico attuale". Da qui, la necessità "di una ‘visione comune’, poiché" - avverte Koch - ci allontaneremo ulteriormente gli uni dagli altri", con il pericolo che "l'obiettivo del movimento ecumenico diventi sempre più confuso":

"Se infatti, nell’ecumenismo, i vari partner non hanno davanti agli occhi un obiettivo ecumenico comune, ma interpretano in modo molto diverso il concetto di unità della Chiesa, vi è il forte rischio che si incamminino in direzioni divergenti per scoprire in seguito di essersi allontanati ancora di più gli uni dagli altri. Questo pericolo non si è assolutamente ridotto negli ultimi tempi, poiché finora tra le varie Chiese e Comunità ecclesiali non è stato possibile raggiungere alcun solido consenso sull’obiettivo del movimento ecumenico e sono stati addirittura messi in discussione alcuni consensi parziali che nel passato erano stati conseguiti al riguardo. Nel corso del tempo, l’obiettivo del movimento ecumenico è diventato dunque sempre più confuso e tutt’oggi non esiste un consenso su quale sia l’unità della Chiesa che si vuole ricostituire."

Come causa del "carattere controverso dell’obiettivo ecumenico", il cardinale identica una serie di ragioni che sembrano comporre un complesso gioco di scatole cinesi: 

"La questione dell’unità della Chiesa non può porsi in maniera astratta o neutra, ma è sempre influenzata da antistanti posizioni confessionali. Queste dipendono a loro volta dall’esistenza di cause e di origini diverse alla base delle divisioni nella Chiesa. Facendo il percorso inverso, ciò significa che i modi in cui l’unità della Chiesa potrà essere ripristinata devono tenere conto dei fatti storici che hanno condotto nella storia alle divisioni nella Chiesa e alla perdita dell’unità".

2. Mantenere sveglia la ricerca dell’unità della Chiesa

Nel secondo punto del suo intervento, il cardinale Koch riconosce che essendo "le cause e le origini delle divisioni nella Chiesa" "molto diverse", è "necessario individuare modi diversi per ritrovare e per ricomporre la perduta unità". Una ricerca che "potrà progredire soltanto sulla via dell’apprendimento reciproco":

"In tal senso, la Chiesa cattolica dovrà ammettere di non avere ancora sviluppato nella sua vita e nelle sue strutture ecclesiali quel grado di sinodalità che sarebbe teologicamente possibile e necessario, e che noi cattolici, come ha sottolineato Papa Francesco nella sua esortazione apostolica Evangelii gaudium, nel dialogo con i fratelli ortodossi abbiamo l’opportunità di imparare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro esperienza della sinodalità”.

Da parte loro, prosegue ancora il cardinale, "le Chiese ortodosse potrebbero comprendere che un primato anche al livello universale della Chiesa non è solo possibile e teologicamente legittimo ma necessario, che anche alla luce delle tensioni e dei conflitti intraortodossi si impone una riflessione su un ministero dell’unità a livello universale, e che questo non è in alcun modo contrario, ma compatibile con l’ecclesiologia eucaristica come continua a ricordarci il Metropolita John D. Zizioulas, ex co-presidente della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse. Poiché noi cattolici comprendiamo il primato del Vescovo di Roma come un dono del Signore alla sua Chiesa, vi ravvisiamo anche una possibilità offerta a tutta la cristianità sulla via della riscoperta dell’unità e della vita nell’unità.

3. Le varie dimensioni della ricerca ecumenica dell’unità della Chiesa

E' dalla "preghiera di congedo di Gesù, in cui l’invocazione al Padre per l’unità dei suoi discepoli occupa un posto speciale", che per il cardinale Kurt Koch inizia la ricerca dell'unità della Chiesa, "promessa come dono" e "affidata come compito": 

"Se l’unità dei discepoli rappresenta il desiderio centrale della preghiera di Gesù, l’ecumenismo cristiano non potrà essere altro che l’unirsi dei cristiani a questa preghiera, facendo proprio ciò che a Gesù stava a cuore. Se l’ecumenismo non è semplicemente filantropico e interrelazionale, ma trova realmente il suo fondamento e la sua motivazione in Cristo, in ultima analisi esso non potrà essere altro che partecipazione alla preghiera sacerdotale di Gesù".

La preghiera

Cinque, spiega ancora il cardinale, le dimensioni della preghiera di Gesù “che tutti siano una sola cosa”. La prima, mostra "che Gesù non comanda l’unità ai suoi discepoli, né la esige da loro, ma prega per essa. Dunque, "Senza preghiera, non può dunque esserci nessuna unità, come non si stanca di sottolineare Papa Francesco: L’impegno ecumenico risponde, in primo luogo, alla preghiera dello stesso Signore Gesù e si basa essenzialmente sulla preghiera".

L'unità invisibile

La seconda è, invece, "La dimensione somatica: l'unità invisibile" di cui molto si è occupato Benedetto XVI confrontandosi ecumenicamente con l'esegeta protestante Rudolf Bultmannanche: 

Tanto Benedetto XVI concorda con l’esegeta protestante sul fatto che l’unità dei discepoli non può venire dal mondo, tanto egli ne contesta la conclusione, ovvero l’affermazione che l’unità è, di conseguenza, “invisibile”. Anche se l’unità non è un fenomeno mondano, lo Spirito Santo opera pur sempre nel mondo. L’unità dei discepoli deve dunque essere di una qualità tale da permettere al mondo di riconoscerla e di giungere alla fede tramite essa, come sottolinea esplicitamente Papa Benedetto XVI: Ciò che non proviene dal mondo può e deve essere qualcosa che sia efficace nel e per il mondo e sia anche percepibile da esso. La preghiera di Gesù per l’unità ha di mira proprio questo, che mediante l’unità dei discepoli la verità della sua missione si renda visibile agli uomini. Papa Benedetto XVI si spinge fino ad affermare che attraverso l’unità dei discepoli che non proviene dal mondo e che è anche umanamente inspiegabile ma è visibile nel mondo viene legittimato Gesù stesso: Diventa evidente che Egli è veramente il ‘Figlio'".

L'unità nella pluralità

Quale è l'aspetto concreto che questa unità deve avere? E' la domanda che Koch usa per introdurre il terzo orientamento della preghiera sacerdotale di Gesù, la dimensione trinitaria:

Gesù stesso individua il più profondo fondamento dell’unità dei discepoli proprio nell’unità d’amore trinitaria tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, nella vita intra-divina. Il Dio uno e trino, che è in sé comunione vivente nell’unità relazionale originaria dell’amore, è il modello più cristallino di unità ecumenica. Alla luce del mistero d’amore trinitario, la Chiesa si mostra come lo spazio della salvezza offerto dal Dio uno e trino o, come ha affermato il Concilio Vaticano Secondo, come un popolo che deriva la sua unità dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. L’unità della Chiesa si fonda in ultima analisi sulla comunione trinitaria.

La dimensione missionaria 

Mettendo in luce come "La divisione all’interno del cristianesimo" risultasse "il maggiore ostacolo alla missione mondiale della Chiesa", come ricordato anche da Papa Francesco nella Evangelii gaudium, il relatore focalizza il proprio discorso sulla "testimonianza credibile e dunque ecumenicamente comune, di Gesù Cristo nel mondo odierno":

"Una testimonianza credibile, e dunque ecumenicamente comune, di Gesù Cristo nel mondo odierno è possibile soltanto se le Chiese cristiane riescono a superare le loro divisioni e se riescono a vivere in un’unità nella diversità riconciliata. L’ecumenismo e la missione sono pertanto indissociabili. Se la missione consiste essenzialmente nel rendere testimonianza dell’amore di Dio, che egli ci ha rivelato nel suo Figlio, e, attraverso questa testimonianza, nel portare Dio agli uomini e gli uomini a Dio, allora al centro della missione cristiana deve esserci l’annuncio di Dio, che noi oggi dobbiamo proclamare ecumenicamente e che è visto da Papa Benedetto XVI come il compito ecumenico prioritario".

L'unità testimoniata con la vita

La fede cristiana è la religione più perseguitata nel mondo e il martirio oggi ha una dimensione ecumenica: 

"Oggi i cristiani non sono perseguitati perché cattolici o ortodossi, protestanti o pentecostali, ma perché cristiani. Il martirio è oggi ecumenico, tanto che si deve parlare di un vero e proprio ecumenismo dei martiri30, come osservava già il santo Papa Giovanni Paolo II con parole incisive nella sua Lettera apostolica Tertio millennio adveniente del 1994". E poichè "la sofferenza di così tanti cristiani costituisce un’esperienza comune nel mondo odierno, l’ecumenismo del sangue è per Papa Francesco addirittura il segno più convincente dell’ecumenismo di oggi.

La dimensione escatologica

"La ricerca cristiana dell’unità ecumenica significa - sottolinea Koch - vivere fin da ora nella luce del Cristo della parusia", cioè nella luce della venuta di Gesù alla fine dei tempi, "coscienti che la forma migliore della ricerca dell’unità della Chiesa consiste nel vivere secondo il Vangelo:

"Vista in questa luce escatologica, la ricerca ecumenica dell’unità significa, in modo elementare ma fondamentale: quando siamo in cammino insieme verso il Cristo della parusia, siamo anche in cammino verso l’unità tra di noi e possiamo, sebbene ancora divisi, essere già una cosa sola nella fede comune in Gesù Cristo: “Più ci avviciniamo a Cristo convertendoci al suo amore, più ci avviciniamo anche gli uni agli altri.”, come sostenuto da Benedetto XVI.

4. La responsabilità ecumenica particolare delle Chiese cattoliche orientali

Nutrendo la speranza già espressa nel 1968 dal Patriarca Ecumenico Athenagoras: “È giunta l’ora del coraggio cristiano. Ci amiamo gli uni gli altri; professiamo la stessa fede comune; incamminiamoci insieme verso la gloria del sacro Altare comune, per compiere la volontà del Signore, affinché la Chiesa risplenda, il mondo creda e la pace di Dio venga su tutti.”, il presidente Koch apre l'ultima parte del suo intervento:

"Al servizio del ripristino della Chiesa una e indivisa in Oriente e in Occidente, che troverà il suo compimento nel recupero della comunione eucaristica, un compito particolare spetta soprattutto alle Chiese cattoliche orientali, come sottolinea il Decreto conciliare Orientalium ecclesiarum, che certamente non a caso fu adottato nello stesso giorno del Decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio, e più precisamente alla fine della terza sessione del 21 novembre 1964: Alle Chiese orientali aventi comunione con la Sede apostolica romana, compete lo speciale ufficio di promuovere l’unità di tutti i cristiani, specialmente orientali, secondo i principi del decreto sull’ecumenismo promulgato da questo santo Concilio".

E dato che "questa responsabilità compete soprattutto alle Chiese cattoliche orientali" - conclude - il fatto che i Vescovi Orientali Cattolici in Europa riflettano in questo simposio sul tema della missione ecumenica delle loro Chiese è un segno incoraggiante per il quale desidero esprimere il mio riconoscente apprezzamento".

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13 settembre 2019, 15:00