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Le "Riflessioni d'alta quota" di monsignor Sapienza

Presentato ieri sera alla Pontificia Università Lateranense il libro "Riflessioni d'alta quota" a cura di monsignor Leonardo Sapienza. Il libro, una sorta di album spirituale con le immagini delle Dolomiti dei fotografi Loris De Barba e Giacomo De Donà, invita a riflettere e suscita nel lettore, il desiderio della contemplazione. L'intervento del Segretario di Stato cardinale Pietro Parolin

Francesco M. Valiante – Città del Vaticano

Non c’è bisogno di essere alpinisti per lasciarsi stregare dal fascino della montagna. Padre Leonardo Sapienza alpinista non è — lui stesso lo confessa senza imbarazzo — ma la magia dell’«alta quota» lo ha incantato fin dagli anni del seminario, quando sentiva spesso ripetere da uno dei suoi educatori: «La vera conquista è l’uomo, non la vetta». Perché, alla fine, «non sei tu che conquisti la montagna, è la montagna che conquista te».

Nasce da questo “antico amore” il volume Riflessioni d’alta quota, del quale il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin — intervenuto alla presentazione svoltasi nella serata di ieri alla Pontificia università Lateranense — ha sintetizzato il senso ricorrendo a quel motto «Verso l’Alto» (con la A maiuscola) tanto caro a Piergiorgio Frassati e spesso utilizzato anche da Giovanni Paolo II per descrivere l’attrazione interiore verso le vette montuose, dove fin da giovane il futuro Pontefice cercava ristoro alla sua «ansia di trascendenza e di infinito».

«È stato bello lasciarmi condurre ad alta quota dalle fotografie e dalle parole del libro, che intendono spingerci verso l’alto» ha riconosciuto il porporato descrivendo il percorso ideale proposto da un’opera che — ha spiegato il rettore della Lateranense Vincenzo Buonomo — adopera «le immagini come narrazione» (di grande impatto espressivo le splendide fotografie di Giacomo De Donà e Loris De Barba) e «la narrazione come immagine», grazie al corredo di citazioni e pensieri (tratti soprattutto dal magistero dei Papi e da meditazioni di santi) commentati dal religioso rogazionista, reggente della Prefettura della Casa pontificia, che ha curato il volume. Ne scaturisce una sorta di album spirituale che invita a riflettere e che suscita prepotente nel lettore «il desiderio della contemplazione», come ha evidenziato il cardinale vicario di Roma, Angelo De Donatis, gran cancelliere dell’università, introducendo l’incontro.

Se dunque la montagna «può rappresentare la parabola della vita protesa verso l’infinito», ha rimarcato nel suo intervento il cardinale Parolin, allora acquista ancor più senso la considerazione che «le grandi vette si raggiungono solo con il sacrificio». Lo dimostra, a tacer d’altro, l’arte della diplomazia, alla quale per esperienza personale ha fatto riferimento il segretario di Stato ricordando che «i buoni traguardi si conseguono quasi sempre attraverso un cammino fatto di varie rinunce e molta pazienza». E solo quando si è giunti in cima si può comprendere veramente il senso di tanta fatica: dall’alto, infatti, «si rivede il sentiero percorso da un’altra prospettiva» e «si capisce che non si sarebbe potuto percorrerne nessun altro».

Così è per la vita: «solo custodendo una prospettiva alta — ha sottolineato il porporato — si può dare un senso unitario alle fatiche che il cammino di ogni giorno richiede; solo attraverso i tornanti dei sacrifici, la forza di volontà nel proseguire insieme, l’incoraggiamento vicendevole e la pazienza quotidiana di avvicinarsi al Cielo, si arriva, passo dopo passo, a toccare con mano l’infinito per cui siamo stati creati». Del resto, non è senza significato che i momenti salienti della storia abbiano come teatro naturale i monti: «pare che Dio per rivelarsi abbia dato appuntamento all’umanità in alto — ha commentato il cardinale — perché solo staccandosi dal vivere terreno, orizzontale, l’uomo ritrova basi di vita davvero stabili, fondate in cielo più che in terra, radicate nelle cose di lassù piuttosto che in quelle di quaggiù, più nella sete dell’infinito a cui aspiriamo che nelle cose finite per cui ci affanniamo».

Osservando come il “filo rosso” del volume sia costituito dall’enciclica di Papa Francesco Laudato si’, Parolin non ha mancato di rivolgere uno sguardo all’attualità. E ha evocato in particolare le scioccanti immagini delle devastazioni — provocate di recente da eventi meteorologici sempre più estremi — di alcuni dei più caratteristici boschi del Trentino e del Veneto, per invitare a riflettere «sulle cause profonde degli squilibri climatici ai quali sempre più sovente assistiamo». Spesso, ha denunciato, «è la cieca avidità di denaro a impedire di vedere al di là dei guadagni immediati, facendo cadere nell’oblio l’avvenire delle generazioni future, e, pensando alle montagne, le nefaste conseguenze legate allo scioglimento dei ghiacciai e all’abbattimento selvaggio degli alberi: basti pensare al dramma della deforestazione amazzonica».

In questa ottica le Riflessioni d’alta quota, ha assicurato il cardinale, «potranno aiutare il lettore a elevarsi, anche provocandolo a comprendere come sia compito suo salvaguardare il creato, che non è semplicemente qualcosa di esterno alla vita, ma, in un certo senso, la ripresentazione del nostro mondo interiore, con la sua bellezza da coltivare e custodire e le sue opacità da prevenire e contrastare».

D’obbligo, ma non per questo di semplice circostanza, l’intervento conclusivo di monsignor Sapienza. Il quale, ai doverosi ringraziamenti rivolti agli ideatori, agli editori e ai collaboratori del progetto da cui è nato il libro, ha unito una piccola e densa riflessione sul senso del camminare verso l’alto. «Quando si cammina in montagna — ha spiegato — ci si rende conto che siamo tutti malati di stanchezza»: non di «stanchezza da affaticamento» ma «da troppo riposo, da sedentarietà assoluta». L’uomo moderno «si annoia, si stanca, e poi si stanca di essersi stancato”», rendendosi così responsabile di «un peccato» tipico della vita delle nostre città: «siamo stanchi di camminare, rimaniamo fermi, inceppati, chiusi nelle nostre auto in mezzo al traffico che avvelena le città».

In realtà, ha ricordato il religioso, «le gambe ci sono state date per la strada, non per il letto; per camminare, non per vivacchiare sul divano». E così «il mondo va sempre più in fretta ma non progredisce, perché noi non camminiamo»: insomma, «se ci fermiamo, anche il mondo si inceppa definitivamente». Da qui l’auspicio e la speranza di padre Sapienza: «Personalmente mi sentirò soddisfatto se, ammirando queste immagini e meditando questi testi, nascerà in qualcuno il gusto della strada, della montagna». Allora vorrà dire che «il “mal di strada” avrà lasciato il posto al “gusto della strada”».


 

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19 settembre 2019, 15:30