Premio Ratzinger 2019 al filosofo canadese Taylor e al teologo africano padre Béré
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Con il “Premio Ratzinger”, fiore all’occhiello della Fondazione Vaticana J. Ratzinger – Benedetto XVI, in questa nona edizione “si è voluta privilegiare la filosofia nella sua riflessione sulla fede nel mondo contemporaneo” e “mettere in evidenza la teologia africana, con la sua missione importantissima per l’inculturazione del Vangelo e l’evangelizzazione nel continente africano”. Così padre Federico Lombardi, presidente del consiglio di amministrazione della Fondazione, nata nel 2010 per promuovere studi e pubblicazioni sull’opera e sul pensiero del Papa emerito, spiega ai giornalisti nella Sala Stampa della Santa Sede, le motivazioni che hanno portato a premiare il filosofo canadese Charles Margrave Taylor e il teologo africano Paul Béré. Saranno premiati da Papa Francesco il 9 novembre, nel Palazzo apostolico.
Charles Taylor, il filosofo che ha studiato la secolarizzazione
Nato a Montréal nel 1931, Taylor ha studiato prima alla locale McGill University e poi in Inghilterra, all’Università di Oxford, dove ha conseguito il dottorato in filosofia. Oltre alla storia della filosofia si è dedicato alla filosofia politica e delle scienze sociali. I suoi contributi più noti riguardano le aree del comunitarismo, del cosmopolitismo e dei rapporti fra religione e modernità, in particolare la tematica della secolarizzazione, di cui è considerato uno degli studiosi più autorevoli. Fra le sue opere più note “Sources of the Self” (1989), “A Secular Age” (2007) e “The Language Animal” (2016).
Paul Béré, il teologo esperto in comunicazione della Parola
Originario del Burkina Faso, ma nato nel 1966 in Costa d’Avorio, Paul Béré è entrato nella Compagnia di Gesù nel 1990, e ha completato i suoi studi con il dottorato all’Istituto Biblico di Roma. Dal 2007 ha insegnato Antico Testamento e lingue bibliche al Biblico e all’Istituto teologico dei Gesuiti ad Abidjan (Costa d’Avorio) e ha condotto progetti importanti per lo sviluppo della teologia in Africa. Ha collaborato come esperto a diversi Sinodi dei Vescovi, come consultore della Segreteria generale del Sinodo. Dal 2018 è membro dell’Arcic, Commissione internazionale per il dialogo con la Chiesa anglicana e di diverse associazioni di teologi.
Il cardinal Ravasi e le figure dei due premiati
Ecco come il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura e membro del comitato scientifico della Fondazione, presenta a “Vatican news” i due premiati:
R . - “Il Premio Ratzinger ha voluto introdurre, ormai già da alcuni anni, anche una dimensione ulteriore rispetto alla teologia, rappresentata da figure che appartengono all’arte, alla scienza e alla filosofia. In questo caso abbiamo la figura imponente di Charles Taylor, che ha studiato in maniera particolare il fenomeno della secolarizzazione, centrandolo soprattutto sulla dimensione del risultato del soggettivismo, che è una delle grandi linee nelle quali si sviluppa ormai la società contemporanea. Bene e male, etica e verità, natura umana sono affidate non più ad un dato oggettivo, ma piuttosto sono frutto quasi del respiro delle persone o comunque delle onde che la società ha. E’ quindi uno studioso significativo all’interno della ricerca che ha condotto e del magistero di Papa Benedetto, soprattutto riguardo al tema del relativismo o comunque delle novità che introduce il mondo nel quale siamo immersi.
Nel tradizionale campo della teologia, eminenza, viene premiato per la prima volta uno studioso africano, che ha un’attenzione particolare alla trasmissione orale della Parola di Dio…
R. - Riguardo alla teologia, rimane certamente fondamentale la figura di uno studioso, in questo caso del mondo africano, padre Béré, un gesuita, che si interessa in maniera molto attenta al fenomeno della comunicazione della Parola di Dio all’interno delle culture. Padre Béré è uno specialista di un libro molto circoscritto come il Libro di Giosuè, che è il VI della Bibbia, ma si è anche interessato al fatto che, come avveniva agli inizi nella comunicazione stessa del Vangelo, non solo nell’Antico Testamento, la Parola detta, la Parola che passa come un fiume all’interno delle comunità, nella proclamazione della liturgia, della catechesi, soprattutto della vita della comunità cristiana, che è molto sentita nei villaggi africani, che sono ancora, molte volte, legati ad una matrice orale, possa essere il terreno sul quale far risuonare la Parola di Dio. Cioè la Parola di Dio dev’esser annunciata secondo tanti diversi canali di comunicazione.
Padre Béré: i leader africani imparino da Giosué
Abbiamo raggiunto telefonicamente padre Paul Béré a Nairobi. Ecco la sua prima reazione al riconoscimento ricevuto per i suoi studi.
R. – Sono veramente sbalordito: non me l’aspettavo. Capisco che non sono io a essere onorato, ma piuttosto l’Africa. Questo è il mio primo sentimento.
Come teologo africano, sente anche la responsabilità – come ha detto padre Lombardi nella conferenza stampa – della sua missione per l’inculturazione del Vangelo e per l’evangelizzazione, nel continente africano?
R. – Sì: questa settimana sono a Nairobi proprio perché avevamo un incontro su “La missione in Africa, evangelizzazione del futuro”. Questa è la nostra preoccupazione. E’ importante che il lavoro che facciamo da vari anni venga riconosciuto da questo Premio e dalla Fondazione e quindi dalla Chiesa di Roma.
Il cardinale Ravasi, invece, alla conferenza stampa l’ha presentata come un teologo biblico, un biblista che ha concentrato i suoi studi soprattutto sul VI Libro della Bibbia, il Libro di Giosuè, della conquista della Terra Promessa. Cosa può dirci di questi suoi studi?
R. – Per me, lo studio della figura di Giosuè nel campo biblico è stato importante perché non è soltanto la conquista della terra – questo è importante – ma il rapporto tra la Torah e la terra, da un lato, e dall’altro la relazione tra Mosè e Giosuè, cioè: come fare per tramandare da una generazione all’altra la missione del Signore, ed è una problematica molto importante nel contesto africano, sia a livello della Chiesa sia a livello politico. Noi dobbiamo imparare serenamente a tramandare quello che abbiamo ricevuto dal Signore come missione a un’altra generazione. E’ uno studio mirato a capire quello che il Signore si aspetta da noi, nel nostro contesto storico e geografico.
Cosa aspetta il Signore in questo momento dalla Chiesa africana?
R. – Io penso che siamo in un periodo di transizione, sia a livello della Chiesa, sia a livello politico … tutta questa violenza che vediamo sul nostro territorio è proprio una chiamata del Signore a impegnarci per creare un po’ di pace. Per esempio, la figura di Giosuè mi ha sempre insegnato che il leader è la persona che si impegna totalmente per il popolo e non prende niente per se stesso. Alla fine del racconto, è stato il popolo a dare a Giosuè un pezzo di terra perché anche lui potesse insediarsi. Questa è una lezione importante per la nostra terra: i leader devono impegnarsi per il benessere del popolo, non per se stessi. Le risorse naturali ci sono: ma perché abbiamo tanti problemi, tanta emigrazione? Perché i leader non cercano di impegnarsi per il popolo …
Il cardinale Ravasi ricordava che lei ha studiato la cultura della parola in Africa, e quindi anche la trasmissione attraverso la tradizione orale che avviene in Africa …
R. – Quello che mi ha colpito nel mio studio della Sacra Scrittura è il fatto che al tempo biblico pochi avevano accesso al testo scritto: ricordatevi Gesù nella Sinagoga: arriva e riceve il testo, poi legge e tutti ascoltano. Questa struttura la ritrovo oggi, nel nostro contesto. I nostri popoli vivono nel contesto della comunicazione orale e quindi il testo che abbiamo deve essere comunicato a un popolo che deve ascoltarlo; e la cultura dell’oralità per me è importante per ricavare un certo livello del senso del testo biblico. L’Occidente da tanti secoli è ormai in un’altra cultura, la cultura dello scritto. Quindi tutta la dinamica di comunicazione è diversa, anche a livello dei valori. Per esempio, nel nostro contesto tradizionale la parola ha un’importanza particolare, perché non si parla senza badare all’impatto della parola sull’altro e quindi non si dice una cosa e poi si fa un’altra. Questo è un valore che va protetto per capire l’importanza della Sacra Scrittura – perché non è uno scritto, è una parola che va riattivata perché possa essere accolta come parola.
Il IX simposio internazionale a Budapest, l' 8 e 9 ottobre
Nel corso della conferenza stampa, padre Lombardi presenta anche le prossime iniziative della Fondazione Ratzinger, a partire dal IX simposio internazionale, che quest’anno si terrà a Budapest, l’8 e il 9 ottobre in collaborazione con l’Università cattolica ungherese “Pázmány Péter”. In occasione del 30° anniversario della caduta del Muro di Berlino, il tema scelto è “La situazione economica, sociale e spirituale dei Paesi dell’Europa centrale alla luce della dottrina sociale della Chiesa”. La prima relazione fondamentale sarà tenuta dal cardinale Péter Erdö, arcivescovo di Esztergom-Budapest.
Il 19 ottobre un seminario legato al Sinodo per l'Amazzonia
Altra iniziativa imminente, un seminario inserito nel contesto del Sinodo per l’Amazzonia, che si terrà nel pomeriggio di sabato 19 ottobre in Vaticano, intitolato “Le sfide della regione panamazzonica: cooperazione necessaria tra gli Organismi internazionali e la Chiesa cattolica e leadership etica”. L’ obiettivo, spiega il presidente della Fondazione, è quello di “fare incontrare alti funzionari della Fao e dell’Ifad con i membri del Sinodo, in modo da approfondire il ruolo delle organizzazioni internazionali nel far fronte ai problemi dell’Amazzonia”. L’iniziativa è organizzata d’accordo con la Segreteria del Sinodo, ma anche in collaborazione con l’Osservatore della Santa Sede presso le Organizzazioni internazionali presenti a Roma, e gode dell’appoggio della Fondazione Templeton.
La terza edizione del Premio "Ragione aperta"
Lombardi da’ inoltre notizia dei vincitori del Premio “Razón abierta – Ragione aperta”, in collaborazione con l’Università spagnola Francisco de Vitoria, giunto quest’anno alla terza edizione e di cui è già stata lanciata la quarta per il prossimo anno. La cerimonia, dopo i primi due anni a Roma, si è svolta il 19 settembre a Madrid, e ha visto tra i premiati anche l’italiana Maria Bertolaso, ricercatrice del Campus Biomedico di Roma, con uno studio su “Filosofia del cancro. Una visione dinamica e relazionale”. Una ricerca originale sulla necessità di una visione unitaria e integrale della persona umana per una comprensione corretta della malattia e della sua cura.
A febbraio il nuovo Premio "Ratio et spes" a Toruń, in Polonia
Il presidente della Fondazione annuncia infine l’istituzione di un nuovo premio, intitolato “Ratio et spes – Ragione e speranza”, in collaborazione con l’Università Nicolò Copernico di Toruń, in Polonia. In questo caso, sottolinea Lombardi, “l’università con cui si collabora non è cattolica, ma statale, al cui interno vi è una Facoltà di teologia”. “Tenendo conto della buona esperienza realizzata con il Premio “Razón abierta” – spiega l’ex direttore della Sala Stampa Vaticana, di Radio Vaticana e del Centro Televisivo Vaticano - si è quindi voluta avviare un’iniziativa analoga come spirito, cioè favorire il dialogo fra scienze, filosofia e teologia, ma con modalità proprie, concordate specificamente con il rettorato dell’Università di Toruń. Il Premio riguarderà infatti ogni anno un campo specifico diverso. In questo primo anno sarà lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e delle sue applicazioni, le possibilità ma anche gli interrogativi che esso pone per l’umanità di oggi”. Il Premio verrà assegnato il 19 febbraio, in occasione della festa dell’Università Nicolò Copernico, a Toruń, che è anche la Giornata della scienza in Polonia.
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