Briefing sul Sinodo. La Chiesa dal volto indigeno parte dai ministri della Parola
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
La Chiesa dal volto indigeno è protagonista del quarto briefing per i giornalisti in Sala stampa vaticana, tenuto dopo la prima mattinata di lavori dei circoli minori per i partecipanti al Sinodo dei vescovi per la regione panamazzonica. Ne parlano due vescovi di diocesi amazzoniche come monsignor Wilmar Santin, della diocesi di Itaituba, nello Stato brasiliano di Parà, e monsignor Medardo de Jesùs Henao Del Rio, vicario apostolico di Mitù, in Colombia.
Il Papa sogna un sacerdote indigeno in ogni villaggio
Il carmelitano monsignor Santin, che dal dicembre 2010 è pastore tra gli indigeni Munduruku, più di 11 mila anime in una diocesi di 175 mila km quadrati, che occupa la gran parte dello Stato di Parà, ricorda quanto gli riferì il cardinal Hummes, presidente della Repam, la Rete ecclesiale panamazzonica. “Papa Francesco ha un sogno: vedere in ogni villaggio amazzonico un sacerdote indigeno”, e davanti alle difficoltà, racconta Santin, ha chiesto di “cominciare con quello che la Chiesa vi permette già: il diaconato permanente”.
Santin: abbiamo già 48 ministri della Parola munduruku
“Abbiamo fatto un piano - prosegue il vescovo di Itaituba - e ci siamo resi conto che era meglio iniziare a creare ministri della Parola, prima di quelli dell’Eucaristia. Perché nel nostro clima umido equatoriale l’ostia consacrata non si può conservare per molto tempo”. Così nel 2017 sono stati istituiti i primi 24 ministri della Parola munduruku, 20 uomini e 4 donne, “che hanno iniziato a celebrare nelle loro lingue e a predicare la Parola di Dio”. E quest’anno, annuncia monsignor Santin, “ne abbiamo istituiti altri 24, 19 uomini e 5 donne, cosicchè oggi ci sono 48 ministri della Parola munduruku che possono dire, come i popoli che ascoltarono i discepoli dopo la Pentecoste: ‘Li udiamo parlare delle grandi cose di Dio nelle nostre lingue’”.
Presto anche ministri del Battesimo e del Matrimonio
Presto, conclude il vescovo brasiliano, “istituiremo ministri del Battesimo e del Matrimonio, perché i munduruku, che in gran parte sono battezzati, ci tengono a battezzare i propri figli e a sposarsi in Chiesa, e cercheremo di averli in ogni villaggio. Vedremo poi quando sarà possibile ordinare diaconi indigeni”. “Dobbiamo arrivare in tempo dove ci sono le persone”, conclude il vescovo, raccontando di un cattolico che è diventato evangelico in un villaggio dove la Chiesa non era arrivata. “Dobbiamo cambiare la struttura della Chiesa, affinché sia più snella, non più così lenta nelle decisioni, e non dipenda più solo dal sacerdote, per riuscire a portare la Parola di Dio in tutti i luoghi”.
Henao Del Rio racconta l'ordinazione di un diacono indigeno
Accanto a lui, monsignor Medardo de Jesùs Henao Del Rio, vicario apostolico di Mitù, in Colombia, missionario saveriano di Yarumal, racconta invece di aver già ordinato un diacono indigeno, di uno dei 27 gruppi presenti nella sua diocesi, in un territorio di 57 mila km quadrati, con una popolazione diffusa di 44 mila abitanti. “Lo ho ordinato nel rito romano e nel rito indigeno – spiega – ma non ho certo ordinato uno stregone. Siamo entrati nel contesto della cosmogonia degli indigeni. Cosa ho fatto? Ho celebrato il rito dell'ordinazione di un diacono fino al momento della consegna del Vangelo”. "Dopodichè i leader indigeni - racconta Henao Del Rio - hanno posto una corona sulla testa del diacono, segno di un uomo che acquisisce saggezza all’interno della comunità e che guiderà la comunità. Non è stata recitata nessuna preghiera, è solo un segno distintivo. Quindi il diacono è stato accolto dalla comunità: ha attraversato tutta la chiesa portando il Libro dei Vangeli, che è la massima saggezza, e danzando. La comunità lo ha applaudito e il rito di ordinazione si è concluso con l’abbraccio di pace”.
Il servizio del diacono è vicino alla tradizione indigena
Non è stato un mescolare, chiarisce il vicario di Mitù, ma "assimilare alcuni valori delle comunità indigene che sono coerenti coi valori cristiani. Non possiamo certo sacralizzare tutto quello che è indigeno, ma nemmeno ‘satanizzarlo’. Bisogna studiare tutti i loro riti, quello che significano per loro e quelli che sono in comunione con il servizio alla Chiesa”. Il diacono è un servitore della comunità, conclude il vescovo colombiano, “e questo ministero è molto in consonanza con la tradizione indigena. C'è, ad esempio, un rito indigeno che viene celebrato quando una comunità ha abbondanza di cibo e lo condivide con un'altra comunità, che lo riceve e ringrazia con una festa. Così, nell'Eucaristia, le stesse comunità danzano davanti all'altare e poi collocano ai piedi dell'altare i prodotti della terra che si sono scambiati come offerta. Si tratta di riti, di situazioni, all'interno della loro celebrazione che per loro sono molto compatibili con la propria cultura e anche con il loro essere cristiani. Non accogliamo tutto quello che è indigeno per assimilarlo a ciò che è cristiano, ma elementi, situazioni e celebrazioni che hanno ‘semi del Verbo, semi di Dio’, come direbbe sant’Ireneo”.
Suor Echeverri: la Chiesa è madre, ma oggi soprattutto sorella
“Al Sinodo siamo 40 donne, ma dietro ogni donna ci sono tante altre donne, come quelle che hanno partecipato al processo di ascolto pre-sinodale”, fa notare nel suo intervento suor Gloria Liiana Franco Echeverri, dell’Ordine della compagnia di Maria Nostra Signora, presidente della Clar, la Confederazione latino americana dei religiosi. E rispondendo ad un domanda sul ruolo della donna oggi nella Chiesa, sottolinea che “non è una questione di potere, ma di partire dal servizio, dal dono di sé. La Chiesa ha un volto femminile, è madre, è maestra, ma in questo tempo è fondamentalmente sorella e discepola. Abbiamo tutto un cammino da percorrere, nel quale non siamo le protagoniste. La Chiesa è in discernimento, e il culmine non sappiamo se sarà questo tempo o un altro: continuiamo come fratelli e sorelle, perché il volto delle donne nella Chiesa possa essere sempre più nitido”.
Donne vittime di tratta e violenza in casa
Solo da quella prospettiva, spiega la religiosa, si può “riconoscere e valorizzare il ruolo speciale di noi donne nella Chiesa, come teologhe, catechiste, animatrici”. Interpellata sul tema della violenza contro le donne, suor Gloria Liliana Franco Echeverri sottolinea che: “Non c’è un popolo che ne sia esente”. E in Amazzonia, le forme di violenza più diffusa sono “la tratta delle persone, molto legata al tema delle migrazioni e allo sfruttamento sessuale delle donne; la violenza tra le mura domestiche, legata ad esempio all’alcolismo; la negazione del diritto, della possibilità di studiare e dell’accesso ad una sanità efficiente”. C’è, infine, il tema dell’uccisione delle donne, come le religiose assassinate “perché hanno abbracciato la causa della difesa dei poveri e delle popolazioni indigene. Sono donne, religiose, martiri, che hanno fecondato la terra amazzonica con il loro sudore e il loro sangue”.
Ruffini: l'ecologia, il nuovo paradigma e come essere Chiesa
Tutta la discussione nelle congregazioni generali, riassume Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione, "è ruotata intorno a tre grandi temi, che si sono intrecciati tra loro e tutti legati all'Amazzonia: la questione ecologica, con i rischi di uno sviuluppo predatorio, la necessità di cambiare paradigma, attravesro l'inculturazione del Vangelo, e il modo di essere Chiesa in Amazzonia, con nuovi ministeri ordinati e l'attenzione ai sacramenti per tutte le comunità”.
Il programma del Sinodo: i lavori dei 12 circoli minori
I lavori del Sinodo, spiega padre Giacomo Costa, segretario della commissione per l’informazione, dopo i primi tre giorni dedicati agli interventi in aula, sono ora alla fase del confronto nei circoli minori. I padri sinodali, gli esperti e gli uditori sono stati divisi in 12 circoli linguistici, 5 in lingua spagnola, 4 in portoghese, 2 in italiano e 1 in inglese e francese. I lavori dei circoli proseguiranno anche domani, mentre sabato 12 ottobre riprenderanno le congregazioni generali, che proseguiranno fino a martedì 15. Quindi ci saranno altri due giorni dedicati ai circoli minori e la sera di giovedì 17 i relatori presenteranno le 12 relazioni, che saranno raccolte in una relazione unica che verrà pubblicata da “L’Osservatore Romano” e sul sito www.vatican.va. L’ultima settimana, infine, sarà dedicata a discutere il progetto del documento finale, che verrà votato il pomeriggio di sabato 26 ottobre.
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