Briefing sul Sinodo: la forza del perdono in Amazzonia
Debora Donnini – Città del Vaticano
“Si va delineando un quadro in cui effettivamente tutto è connesso” e la Laudato si’ si vive concretamente. Così, in Sala Stampa vaticana, padre Giacomo Costa, segretario della Commissione per l’Informazione, dipinge la 9.a Congregazione Generale del Sinodo per l’Amazzonia, apertasi stamani con la preghiera del Papa per l’Ecuador, come informa il prefetto del Dicastero per la Comunicazione, Paolo Ruffini.
Ricche le testimonianze di “come la Chiesa in uscita sia già realtà” con le comunità che difendono la vita, il lavoro in équipe, racconta padre Costa, evidenziando come questo faccia riflettere sulle sfide dei vari ministeri e sulla liturgia inculturata. Centrale anche il tema della conversione ecologica integrale e la “pressante richiesta di un’alleanza con la Chiesa” per la difesa dei diritti. Le vittime per la tutela della terra esigono un intervento urgente che potrebbe portare a un osservatorio ecclesiale internazionale sulle violazioni dei diritti umani delle popolazioni. Si potrebbe perorare una governance in cui le popolazioni sprovviste di potere negoziale possano essere ascoltate. Si è parlato anche di modelli circolari di economia, di diritti ambientali, ma anche di una crescita della cultura comunicativa nella Regione Panamazzonica con la valorizzazione di media cattolici e la formazione di “comunicatori autoctoni” per rafforzare narrazioni sul territorio.
La necessità di portare questa difesa delle popolazioni indigene nei luoghi ufficiali è stata messa in luce da Josianne Gauthier, segretaria generale CIDSE (Alleanza Cattolica Internazionale di Agenzie di Sviluppo) che sostiene da oltre 50 anni le comunità in difesa dei loro diritti. “Uno dei nostri ruoli al Sinodo - dice - è quello di ascoltare”.
Dell’esperienza fra questi popoli parla diffusamente monsignor José Ángel Divassón Cilveti, già Vicario Apostolico di Puerto Ayacucho, in Venezuela, con riferimento al gruppo etnico degli Yanomami che vivono nella zona di foresta fra il Venezuela a il Brasile. Noi, racconta, siamo presenti come Salesiani dal 1957, poi dopo il Concilio si è iniziata una nuova tappa per portare avanti questa opera evangelizzatrice, per accompagnare questi popoli. Il criterio è diventato il condividere la vita delle comunità, consapevoli che a loro spetta prendere in mano le redini. Li abbiamo aiutati con dei progetti affinché non dovessero dipendere da altri. Centrale, nella sua esperienza, che si dovesse portare Gesù Cristo partendo però da loro, bisognava conoscere le loro vite non arrivare come colonizzatori. Quindi, c’è stata una preparazione al Battesimo. Monsignor Cilveti spiega come sia iniziata a sorgere una Chiesa che aiuta questi popoli, perché senza dubbio “il Vangelo porta cose nuove” come il perdono e queste popolazioni hanno “iniziato a riconoscere il valore di questo valore: la capacità di perdonare li ha aiutati a risolvere certi problemi, sono riusciti a superare tanti conflitti. Nella foresta amazzonica siamo stati testimoni di questi cambiamenti”.
Viene da una nuova diocesi vicino alla foce sul Rio delle Amazzoni, istituita 14 anni fa: 1.100 villaggi, pochi i sacerdoti. Monsignor Carlo Verzeletti, vescovo di Castanhal, in Brasile, parla delle difficoltà di celebrare la Messa correndo da un punto all’altro per l’ampiezza del territorio. Nel suo intervento si sofferma fra l'altro sull’ordinazione di uomini sposati perché l’Eucarestia, osserva, possa diventare realtà più vicina alle nostre comunità. Non sacerdoti di seconda categoria ma “persone preparate che abbiano una vita esemplare” e che potrebbero fare un lavoro straordinario, afferma, aggiungendo anche che saprebbe già chi indicare. Senz’altro centrale, per lui, il dialogo come quello che porta avanti da anni invitando i sindaci e andando nelle parrocchie perché non bisogna distruggere oltre l’Amazzonia.
A dare voce, in prima persona, a chi abita da sempre questo polmone verde della terra, è sicuramente José Gregorio Díaz Mirabal, che rappresenta oltre 400 popoli amazzonici. Indigeno curripaco del Venezuela, è il presidente del Congresso delle Organizzazioni Indigene Amazzoniche (COICA), che è presente da 36 anni nei Paesi amazzonici. Il suo è prima di tutto un “grazie” a Papa Francesco che l’anno scorso a Puerto Maldonado si è ricordato dei popoli indigeni e un “grazie” alla Repam per il lavoro che sta facendo. Il suo è anche un “grido” perché finisca “l’invasione” dei grandi progetti di sviluppo, società idroelettriche, attività estrattive, monocoltivazioni, furti di terre. Tanti di noi vengono assassinati, racconta, chiedendo che i governi dell’Amazzonia si siedano a parlare con loro e che si possa “rafforzare il legame fra la Chiesa e i popoli indigeni”.
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