Newman e le statuette gettate nel Tevere
ANDREA TORNIELLI
Il furto e il successivo lancio nel Tevere delle tre statuette di legno della tradizione amazzonica raffiguranti una giovane donna incinta, costituiscono un episodio triste, che si commenta da sé. Colpiscono alcune delle reazioni a un gesto violento e intollerante: “giustizia è fatta” ha titolato entusiasticamente un sito web italiano, dopo che le immagini della “bravata” erano state divulgate nel circuito dei social media. In nome della tradizione e della dottrina si è buttata via, con disprezzo, un’effigie della maternità e della sacralità della vita. Un simbolo tradizionale per i popoli indigeni che rappresenta il legame con la nostra “madre terra”, definita così da san Francesco d’Assisi nel suo Cantico delle Creature.
Ai nuovi iconoclasti, passati dall’odio attraverso i social media all’azione, potrebbe essere utile rileggere quanto affermato da uno dei nuovi santi canonizzati pochi giorni fa, il cardinale John Henry Newman. Nel suo Essay on the Development of Christian Doctrine, pubblicato nel 1878, a proposito dell’adozione da parte della Chiesa di elementi pagani, Newman scriveva: “L'uso dei templi, e di quelli dedicati a santi particolari, e decorati a volte con rami di alberi, incenso, lampade e candele; le offerte ex voto in caso di guarigione dalle malattie; l’acqua santa, l’asilo; le festività e le stagioni liturgiche, l'uso dei calendari, le processioni, le benedizioni sui campi, i paramenti sacerdotali, la tonsura, l'anello usato nel matrimonio, il rivolgersi ad est, e in un momento successivo anche le immagini, forse pure il canto ecclesiastico e il Kyrie Eleison: tutti sono di origine pagana, e sono stati santificati dalla loro adozione nella Chiesa”.
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