Sinodo. Reyes Sequera (Venezuela): gli indigeni vedono la Chiesa come alleata
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Tra i primi ad intervenire nell’aula del Sinodo, nel corso della seconda congregazione dell’Assemblea speciale per la Regione panamazzonica, monsignor Jonny Eduardo Reyes Sequera, vicario apostolico di Puerto Ayacucho, nell’Amazzonia venezuelana, salesiano, sottolinea a “Vatican News” il valore delle assemblee pre-sinodali tenute nella sua vastissima diocesi, 184 mila chilometri quadrati.
R.- Questo Sinodo ha avuto una preparazione molto bella, che ci ha permesso di ascoltare le comunità. Qui dobbiamo quindi essere rappresentanti di quello che loro ci hanno detto, di quei sogni, di quelle aspettative, di quelle problematiche che ci hanno descritto. E allora noi vescovi, qui, dobbiamo sentirci proprio – come diceva proprio il cardinale Hummes – rappresentanti di queste persone che non sono state mai ascoltate e piuttosto sono state messe da parte dalla società e che ne soffrono.
Nel suo intervento di ieri, quali punti ha toccato?
R. – Ho fatto un intervento piuttosto metodologico; ho chiesto di non mettere tanto l’accento sulla prima parte della situazione dell’Amazzonia, perché su quella abbiamo tante informazioni e possiamo leggerne tanto in internet. Piuttosto, approfondire i problemi pastorali: l’evangelizzazione, la scarsità delle vocazioni, la vocazione ai ministeri laicali all’interno delle comunità, la situazione anche di vita, di vita piena delle nostre comunità … Quelli sono problemi veramente molto forti.
Cosa le ha chiesto la comunità della sua diocesi e quali sono le aspettative che hanno su questo Sinodo?
R. – Come sapete, io vengo dall’Amazzonia del Venezuela: la mia diocesi è un territorio molto grande, 184 mila chilometri quadrati. E’ stata bella, la preparazione del Sinodo perché abbiamo fatto parecchie assemblee pre-sinodali e, come ci ha chiesto il Papa, noi abbiamo soltanto ascoltato la gente. Ed è stato molto bello, perché quello che noi abbiamo raccolto è proprio il sentire della nostra gente. In primo luogo, la Chiesa ha dato l’opportunità perché loro potessero parlare, esprimere tutto quello che vivono; in secondo luogo, per noi è una sfida veramente grande di potere ascoltare. Sembra semplice, ma non sempre noi missionari siamo disposti ad ascoltare, a fare silenzio e ad ascoltare l’altro, soprattutto la nostra gente, la gente povera, i nostri indigeni. Lì abbiamo dato attenzione e preso a cuore le preoccupazioni e i problemi: problemi di violenza, problemi di guerriglia, problemi di carattere economico. In Venezuela, la situazione che stiamo vivendo è veramente molto grave, con scarsità di medicinali e di cibo; questa stessa situazione nell’attività mineraria, e dei gruppi irregolari che lavorano nei posti di frontiera. Noi dobbiamo quindi farci eco di queste situazioni e condividere tra tutti noi dell’Amazzonia queste preoccupazioni e cercare di capire quel compito di cui noi, come Chiesa istituzionale dobbiamo farci carico. E’ interessante, infatti, che le comunità ci vedano come il migliore alleato nella lotta per i loro diritti.
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