Spreafico: Sinodo per l'Amazzonia è profezia per il mondo
Fabio Colagrande - Città del Vaticano
Nella sua diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino, nel Lazio, il vescovo Ambrogio Spreafico ha organizzato a settembre un’assemblea sul tema “Il Creato: armonia di differenze”, dedicata alle responsabilità dei cristiani nei confronti della terra e dei poveri. In questa intervista rilasciata a Radio Vaticana Italia, come padre sinodale, il presule racconta la sua esperienza all’assemblea speciale sull’Amazzonia, ne ribadisce il carattere profetico nell’era della globalizzazione e denuncia i ritardi nella pastorale della salvaguardia del Creato e nel dialogo interculturale.
R. – Io parlerei di uno spirito, che qui si vive: lo spirito di una regione particolare – nove Paesi, diverse Conferenze episcopali – che condivide con me che sono italiano, come con altri padri sinodali di altri Paesi e con tutti i partecipanti a questo Sinodo, i problemi, le sofferenze ma anche le speranze, come dice Papa Francesco, per un nuovo cammino della Chiesa in Amazzonia. Questa è la prima cosa molto bella: la condivisione sinodale ci fa capire come, a partire da un territorio che vive ora una situazione particolarmente difficile e anche il desiderio di un’evangelizzazione impostata con uno spirito nuovo, noi possiamo imparare che anche in Europa dobbiamo forse ripensare il nostro modo di vivere la Chiesa.
Si parla di violenza sulla terra, sulla natura, di violazioni gravi dei diritti umani, in Amazzonia. Perché questi sono temi che interessano la Chiesa?
R. – Perché la Chiesa è interessata da sempre a come vivere nel mondo, nella società e ha uno sguardo sulle sofferenze dei popoli e della terra. Pensiamo alla “Laudato si’” di Papa Francesco, dove parla chiaramente del grido della terra, del grido dei poveri. Allora, la Chiesa è da sempre interessata alle sofferenze e alle ingiustizie. Oggi direi che ha una coscienza più chiara di come le ingiustizie non siano solo ingiustizie nei confronti dei popoli. Penso alle tante sofferenze dell’Amazzonia: dall’accaparramento delle risorse, all’estrattivismo, alle multinazionali, la distruzione dei popoli indigeni, la privazione della terra e tutto quello che da ciò consegue. Ci sono tante sofferenze, ma c’è anche un problema che riguarda la Terra, il Creato, perché noi viviamo nel Creato. Questa è una coscienza nuova, che Papa Francesco ci ha mostrato con molta chiarezza nella “Laudato si’” e che io vedo in Italia ancora non è entrata in maniera forte, robusta, nella pastorale, nella preoccupazione di un vescovo, di una diocesi, di una Chiesa, come in passato invece sono entrati tutti i temi dell’ingiustizia sociale.
Fin dall’esordio di questo Sinodo a Puerto Maldonado, in Perù, Papa Francesco ha sottolineato quanto noi abbiamo da imparare dalle culture indigene. In questo senso, questo Sinodo è un’esperienza molto importante per voi vescovi europei …
R. – Senza dubbio. Innanzitutto, è un’esperienza di ascolto. Io credo che noi, qui, siamo soprattutto per ascoltare i racconti, le proposte, le idee e le suggestioni che vengono dalle parole dei membri del Sinodo e anche degli uditori. Ci sono anche tante donne ed è molto bello ascoltarle. Tante volte sono storie di sofferenza, però, sono anche storie di donne e uomini che vogliono lottare, lavorare perché il mondo sia migliore. E poi, direi che l’Amazzonia mostra come si può vivere l’armonia nella differenza. Quest’armonia, tante volte, viene distrutta, viene confinata in piccoli gruppi dimenticati e questo oggi emerge come un argomento di riflessione per la Chiesa. Io credo che Papa Francesco, quando ha indetto questo Sinodo, abbia avuto una visione profetica. Questo Sinodo è profezia per il mondo, non solo per l’Amazzonia, e per la Chiesa, in questo tempo di globalizzazione. La globalizzazione distrugge le differenze, omologa tutto: noi siamo in una zona del mondo, in un territorio con oltre 100 lingue, tanti popoli indigeni, grandi differenze che però devono provare a vivere insieme e anche a dare un messaggio di speranza per il mondo, per il Creato e anche per la Chiesa universale.
Lei si occupa particolarmente di dialogo. In questo Sinodo dialoghiamo con culture diverse dalla nostra. Non le sembra che si rischi di perpetrare un atteggiamento colonialista, un po’ di superiorità, rispetto a culture che riteniamo primitive? Penso anche al gesto con cui certe statuette lignee sono state gettate nel Tevere. Abbiamo forse difficoltà a entrare in dialogo con culture cattoliche diverse dalla nostra?
R. – C’è una difficoltà perché tante volte, è vero, noi abbiamo un senso di superiorità rispetto ad altre culture. Ma io credo che non esistano culture primitive: esistono culture. Ma la Chiesa, nella sua storia, ha sempre annunciato il Vangelo, comunicato il Vangelo dentro alla cultura dei popoli, ed è anche riuscita a recepire elementi – potremmo dire con le parole conciliari “semi del Verbo” – nelle culture di tutti i popoli e a renderle dentro alla sua storia, alla sua tradizione e al Vangelo che Gesù ci ha annunciato. In questo senso dobbiamo vivere il dialogo: incomincia dall’ascolto e poi diventa incontro e poi diventa possibilità anche di cambiare elementi della cultura che talvolta sono non in linea con il Vangelo. Questa credo che sia una domanda per loro e credo che la recepiscano – si vede in questi giorni – ma è una domanda anche per noi. Cosa vuole dire oggi, la Chiesa, in Italia e in Europa, di fronte a una globalizzazione che talvolta ci rende più individualisti? Dovremmo essere, invece, il segno della Chiesa che è comunità, comunione, proposta al mondo che si può vivere insieme con gli altri, per gli altri e non contro gli altri, come tante volte avviene.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui