Le onde oltre il Muro: la Radio del Papa e il 9 novembre '89
Alessandro De Carolis - Città del Vaticano
La profezia sulla sua morte il “Mauer” la portava scritta da tempo su un breve tratto della sua infamia. Una striscia di lettere tremolanti, spruzzate con la vernice rossa, lunga cinque o sei metri – segmento da nulla rispetto ai suoi infiniti 150 km – stesa frettolosamente da qualcuno come un epitaffio anzitempo, storto e insieme nitidissimo, al di sopra dei graffiti sottostanti: “Prima o poi ogni muro cade”.
La Radio Vaticana contro il totalitarismo
Quella che l’ignoto autore aveva impressa come una speranza sul cemento del Muro di Berlino – quando ancora per i tedeschi e un intero continente la parola libertà era scritta col filo spinato e crivellata dai mitra – nelle redazioni della Radio Vaticana è stata coltivata come una certezza dall’alba della Guerra Fredda fino a quella incredibile sera di 30 anni fa. Una certezza basata su una convinzione di fede – l’amore di Dio supera l’odio di qualsiasi totalitarismo – e galvanizzata dall’energia di una stagione di lotta durissima vissuta con piglio militante per almeno quattro decenni, con i giornalisti vaticani, specie quelli dell’Europa orientale, impegnati a lanciare giorno dopo giorno aliti di Vangelo ai polmoni della Chiesa oltrecortina, costretti dai regimi a una drammatica apnea.
La libertà ritrovata
Così quello che il 9 novembre 1989 il resto del mondo osserva sbigottito come un evento incredibile, quasi sbucato dal nulla – le ruspe contro il Muro, i lastroni sollevati dalle gru, le picconate e gli strattoni a mani nude, e poi la marea dilagante che con le lacrime agli occhi passa da est a ovest, dal terrore al sollievo, al grido di “Freiheit!”, “Libertà!”, sfilando davanti alle uniformi immobili e per una volta innocue dei terribili “Vopos” – nelle stanze della Radio del Papa, le stesse lacrime di gioia salutano quella notte attesa e meravigliosa come una vittoria nella vittoria, una sorta di intima promessa realizzata.
Perché per la Radio Vaticana il Muro di Berlino non è crollato improvvisamente, quasi colpito da una fulminea fatiscenza, come qualche frettolosa lettura “storica”, figlia della cronaca emotiva del momento, azzarda a caldo. Al primo piano di Palazzo Pio, dove sono ubicate le redazioni delle lingue est-europee, regna piuttosto l’atmosfera esausta della quiete dopo un’interminabile battaglia. Quello che nella sede della Radio del Papa si coglie sulle facce ebbre di gioia inquadrate tra i rottami del Muro è il contorno sfumato di un altro e più grande viso, il volto felice della “Chiesa del silenzio”, che finalmente, grazie alla forza degli eventi innescati due lustri prima dalla tempra di Giovanni Paolo II, può finalmente strapparsi di dosso il dolore e la crudeltà di un vergognoso bavaglio.
La voce di Karol
La storiografia contemporanea annovera ormai il Papa “venuto di un Paese lontano” tra gli artefici principali della caduta del blocco comunista, dalla prima “crepa” che il figlio della Polonia vi apre nel 1979, in occasione del suo primo ritorno in patria, fino alle macerie di Berlino di dieci anni dopo. Molto meno gli storici sanno quanto e cosa abbia fatto la Radio Vaticana, a servizio di Papa Wojtyla e prima di lui, per tenere puntellata non solo la fede dei cristiani di là del Muro, ma anche impedire che la sete di libertà di tutta un’area del pianeta inaridisse nel deserto di un’utopia irrealizzabile.
La crepa nel Muro
La Radio sfrutta il tallone d’Achille della grande barriera. Nel momento della sua massima impenetrabilità, il Muro è altro circa tre metri e mezzo ma per le onde radio ha la consistenza di un oceano visto dal satellite: una macchia. Onde medie e corte lo valicano senza problema, portando con sé le centinaia di migliaia di messaggi lanciati quotidianamente dalla Radio Vaticana a sostegno dei cattolici che in questo modo, senza problemi di fuso orario, possono ascoltare parole del Papa, celebrazioni liturgiche, brani di magistero, pagine di Bibbia e Sacramenti, vite di Santi, catechesi per adulti e per bambini, informazioni ecclesiali di vario tipo, ma anche insegnamenti su diritti umani, giustizia, disarmo, cultura, arte.
Un massaggio cardiaco su cuori che la propaganda vorrebbe battessero per altro. Una disputa serrata, metro dopo metro, sul terreno brutalmente arato dall’ateismo di Stato e pazientemente riseminato da voci che, con ritmo e inventiva radiofonica, parlano di Cristo e della Chiesa e lo fanno in russo e ucraino, ungherese e romeno, lituano, ceco e slovacco, croato e lettone, sloveno e bulgaro, bielorusso, armeno, albanese. Cosicché, quel corpo che avrebbe dovuto essere smembrato e annichilito, alla resa dei conti – e proprio la Polonia lo dimostrerà con plastica evidenza – ha ancora unità e forza sufficiente per reagire.
Sfida a colpi di microfono
Dunque, molto tempo prima che il socialismo reale scopra il valore politico della “glasnost”, la Radio Vaticana lavora per rendere trasparente – cioè udibile, fruibile – ai clandestini della fede un palinsesto che amplifica lo spirito che altri soffocano e che col tempo finisce per conquistare un target ben più vasto di quello di riferimento. Perché oltre alle testimonianze delle Chiese locali, le scarne lettere che in quegli anni arrivano a Roma sfidando le censure raccontano ad esempio di ortodossi russi che ascoltano attenti la Radio del Papa, di atei croati che preferiscono le sue trasmissioni agli indottrinamenti, di musulmani albanesi informati con puntuali programmi sulle parole e i viaggi di Giovanni Paolo II – così da controbilanciare nel mondo islamico, la propaganda di Tirana che dichiarava a ogni piè sospinto la morte della Chiesa.
Una contesa a colpi di microfono, che si riverbera in migliaia di case dove può capitare che la paura sia vinta da una radio posta al centro del tavolo, sintonizzata sulle frequenze vaticane e tutt’intorno i membri della famiglia in ginocchio ad ascoltare la Messa e a cibarsi di una comunione fatta di fiducia, coraggio e megahertz proibiti.
Onde "telluriche"
È passato alla storia il botta e risposta di Papa Wojtyla con la folla di Assisi, dove il neoeletto Pontefice era salito da Roma per affidare a San Francesco il ministero appena cominciato. A chi gli gridava “Non dimenticarti della Chiesa del silenzio!”, Giovanni Paolo II replicò: “Non c’è più la Chiesa del silenzio, adesso parla per bocca del Papa”. Era il 5 novembre del 1978 e quel giorno un invisibile calcinaccio rotolava a terra davanti ai chekpoint di Berlino est. Cominciava il conto alla rovescia verso la spallata finale a un Muro che una generazione di onde “telluriche”, prodotte della Radio del Papa, aveva contribuito a scardinare.
(Articolo aggiornato dall'archivio storico della Radio Vaticana)
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