Cure palliative, l’impegno comune delle tre religioni abramitiche
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Le religioni e la spiritualità in generale hanno un grande potenziale nel promuovere il benessere e una migliore qualità della vita nei pazienti anziani, e nell’affrontare il delicatissimo tema dell’accompagnamento del fine vita. E’ quanto è emerso nella prima giornata di lavori del simposio internazionale “Religione ed etica medica: cure palliative e salute mentale durante l’invecchiamento”, organizzato dalla Pontificia Accademia per la Vita e dalla musulmana Wish (World Innovation Summit for Health) del Qatar, che si tiene all’Augustinianum di Roma e si conclude il 12 dicembre.
Parolin: sostegno alla dignità contro scarto e abbandono
In apertura è stato letto il messaggio del cardinale segretario di Stato vaticano Pietro Parolin, nel quale il porporato auspica che la cooperazione ecumenica e interreligiosa sia sempre più feconda su questi temi e che non prevalga l'atteggiamento di "scarto" o di "abbandono" nei confronti della fragilità e della vulnerabilità delle persone bisognose di cure palliative e di altri tipi di cure. "Da qui l'urgente necessità - sottolinea il cardinale - di trovare un solido sostegno alla dignità e al valore della loro dignità donata da Dio nella visione etica e spirituale condivisa dalle varie religioni".
Ghaly (Qatar): cure palliative ed etica islamica
Dopo il saluto introduttivo dell’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, e di Sultana Afdhal, chief executive officer di Wish, Mohammed Ghaly, direttore accademico del Centro di ricerca per la legislazione ed etica islamica dell’Università Hamad Bin Khalifa del Qatar, ha presentato il rapporto Wish 2018 “Cure palliative ed etica islamica” e una panoramica sulle cure palliative in Qatar e nella penisola arabica, comparate al contesto occidentale.
Per l'Islam, la vera morte è cerebrale
Le diverse culture e fede religiosa, ha spiegato Ghaly, “influiscono sul modo con il quale interpretiamo le cure mediche. Non abbiamo a che fare con un paziente ma con una persona a tutto tondo, che reagisce in modo diverso legato anche alla propria cultura, e questo è fondamentale per le cure palliative, al dolore e all’esperienza della morte”. Per l’Islam, ha chiarito il docente del Qatar, “la morte cerebrale è la vera morte, e quando ad una persona che soffre molto, vengono somministrati farmaci per ridurre il dolore, questa spesso perde anche coscienza e non riesce più a pregare, soprattutto nella sedazione piena e permanente”. Con il paziente morente, per comunicargli la sua situazione, ha concluso l’esperto di Wish, “vanno usate parole adatte alla sua sensibilità culturale e religiosa. Non può esserci una bioetica universale se non c’è comunicazione tre le diverse religioni e culture”.
Per la Chiesa le cure palliative sono forma privilegiata di carità
Per presentare la visione cattolica sulle cure palliative e il lavoro sul questo tema della Pontificia Accademia per la Vita, è intervenuto lo spagnolo Carlos Centeno, specialista in cure palliative della Clinica universitaria di Navarra, che ha ricordato le parole di Papa Francesco all’Accademia per la Vita, con le quali ha raccomandato la medicina palliativa a medici e studenti in medicina, “che ha incoraggiato a specializzarsi nelle cure palliative. Queste non salvano vite ma sono altrettanto importanti”. Il catechismo della Chiesa Cattolica, al numero 2279, le definisce “una forma privilegiata della carità disinteressata” che a questo titolo “devono essere incoraggiate”.
Il progetto Pal-Life della Pontifica Accademia per la Vita
Centeno ha presentato il progetto Pal-Life della Pontificia Accademia per la Vita, per promuovere le cure palliative nel mondo. Un gruppo di consulenti professionisti, cattolici ma anche ortodossi e musulmani, ha realizzato il “Libro Bianco per la promozione e la diffusione delle cure palliative nel mondo”, presentato al simposio. Il palliativista spagnolo ha spiegato che tutto è cominciato con Cicely Saunders, infermiera, medico e filosofa britannica, anglicana, scomparsa nel 2005, che ha dato vita alla diffusione degli Hospice, sottolineando l'importanza delle cure palliative nella medicina moderna, assistendo i malati terminali fino alla fine della loro vita nel modo più confortevole possibile. “La presenza cristiana nelle cure palliative inizia col lei, e prosegue oggi quindi con uno stile ecumenico”.
Dignità è morire con qualcuno che si prende cura di noi
I valori cristiani legati alle cure palliative, ha chiarito Centeno, sono dignità, compassione e umiltà. Vivere la morte con dignità, “non consiste nello scegliere noi il momento della morte, ma accettare il momento naturale”. E’ indegno morire da soli, nel dolore, senza sollievo, senza sapere che si sta per morire, senza qualcuno che si prenda cura di noi. “Così chi sta morendo si sentirà miserabile, invece se riceve cura e attenzione, una persona non avrà voglia di abbandonare la vita”. Come diceva la Saunders ai suoi malati, e Centeno l’ha citata: “Sei importante perché sei tu, ci occuperemo di te fino all’ultimo momento della tua vita”. Il fondamento è Gesù e la sua parabola del Buon Samaritano.
Centeno: educo alla compassione tutti gli studenti di medicina
La compassione è al centro della medicina, perché “come persone sentiamo il dolore degli altri e da professionisti agiamo. La insegniamo a tutti gli studenti, anche a quello che non studiano cure palliative, che però sono fondamentali per imparare la compassione. Gli insegniamo a guardare nel profondo della persona malata, a come parlarle, come ascoltarla e come toccarla. E l’importanza della presenza”. Il fondamento, per il medico spagnolo, è Gesù, il più compassionevole di tutti. “La sofferenza resta un mistero, perché Lui che ha dato sollievo ad ogni persona che incontrava, per sè ha scelto la Croce. E’ un mistero della fede, ma guardare la croce aiuta il malato. Ricordo un giovane malato che non voleva cambiare il crocifisso rotto, perché, diceva: ‘Io sono il braccio rotto di Cristo’”. L’umiltà, infine. Per Centeno “Noi medici non siamo la persona più importante, dobbiamo scomparire, perché il centro è il malato, la cura va incentrata su di lui, deve essere lui a decidere se vuole essere consapevole o meno. E lasciare spazio alla famiglia. Il segreto è poter incontrare Gesù in ogni paziente”.
Di Segni: è sempre proibito per un ebreo togliere la vita
L’ultimo intervento della mattinata è stato di Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, che è anche medico, e sulla base della sua esperienza medica e religiosa, ha spiegato come l’ebraismo affronta le questioni etiche legate alle cure palliative.” La nostra fede - ha chiarito - ci dice che la vita ci è data in dono e non possiamo buttarla via. E’ proibito per un ebreo togliere la vita, anche in condizioni drammatiche”, come insegna l’episodio biblico del mancato suicidio di re Saul, che sopravvive ma viene finito, su sua richiesta, dall’amalecita, che crede di essere stato compassionevole e invece, per questo, viene giustiziato dal re Davide.
Per combattere la sofferenza, non si elimina il sofferente
“La valutazione negativa sul suicidio si è attenuata – ha proseguito Di Segni - preferiamo lasciare il dubbio. Perché una persona non può essere giudicata per la sua sofferenza: una decisione, come il suicidio, presa nella sofferenza, è una decisione forzata, non propria”. La sofferenza, nell’ebraismo, ha concluso il rabbino capo di Roma “ha valore di purificazione ed espiazione, ma non bisogna desiderarla, e quindi non è sano andarsela a cercare. Anzi va contrastata, perché se non lottiamo contro la sofferenza siamo ‘impassibili di fronte al sangue versato da qualcuno’. Ma la cultura oggi dominante ci dice che per combattere la sofferenza, non si elimina la sofferenza ma il sofferente. Forse lo facciamo per essere misericordiosi con noi, perché non sopportiamo il grido di chi soffre”.
Cancelli: chi è accompagnato, non chiede di morire
La mattinata conclusiva del simposio, il 12 dicembre, prevede la relazione di Ferdinando Cancelli, medico palliativista della Fondazione Faro di Torino, membro della Pontificia Accademia per la Vita. A Vatican News parla del tema del suo intervento, le cure palliative come approccio interdisciplinare “per alleviare i sintomi e “offrire un supporto psicosociale e spirituale”.
R. - È un tema di grande attualità, perché la popolazione in generale invecchia e con la condizione anziana sempre di più saranno i percorsi di malattia che riguardano l'anziano, non solo le malattie neoplastiche - quindi il tumore - ma malattie neurologiche importanti e molto invalidanti, come la demenza, il morbo di Parkinson, la sclerosi multipla. Queste malattie necessitano una particolare attenzione dal punto di vista palliativo sia per il controllo dei sintomi fisici - e quindi un'applicazione rigorosa dei principi della farmacologia, della medicina - sia dei sintomi psichici e spirituali, in quanto l'approccio al malato deve essere un approccio globale che tiene presenti tutte le dimensioni della malattia. Tutto questo diventa importante nella nostra società che - anche Papa Francesco lo ha detto - effettivamente tende a far sentire inutili le persone anziane, ancora di più se malate, in quanto non produttive. Quindi il compito del medico in cure palliative tende ad allargarsi anche a queste dimensioni. Preservare la salute mentale dell'anziano vuole anche dire circondarlo di tutte quelle attenzioni che lo possono portare lontano da quelle logiche che invece, purtroppo, la società tende a promuovere con sempre maggior forza, che sono le logiche all'opposto delle cure palliative, cioè quelle dell’abbreviamento della vita, la logica dell'eutanasia e la logica del suicidio assistito. Il convegno affronta anche il tema del suicidio che è importante - e soprattutto nell'anziano e si tende a dimenticarlo -, ma direi che è fondamentale proporre all'anziano un approccio completo di cure palliative perché, se effettivamente il paziente viene seguito in modo completo, professionale ed umano, la richiesta di morire, in pratica, viene meno. E questo è un dato molto interessante
Non si tratta però solo di ridurre il dolore, ma anche di dare motivazioni per continuare a lottare al malato …
R. - Assolutamente sì, un accompagnamento totale del malato e della sua famiglia, in modo da garantire un fine vita libero da sintomi per il più possibile e circondato da un amore umano e una grande professionalità.
Ed è importante che le religioni facciano fronte comune su questa difesa della vita che può finire in maniera umana e dignitosa?
R. - Direi che è fondamentale, perché se da un lato la nostra società, soprattutto occidentale, tende a dimenticare sempre più questa dimensione spirituale e religiosa, invece chi lavora con i malati si accorge che alla fine della vita questi temi spesso ritornano anche per quei malati che magari non si dicono più credenti e avvicinandosi alla fine dei loro giorni spesso riscoprono una presenza. Direi che l’unione delle grandi religioni su questi temi, mi sembra fondamentalmente un grandissimo passo avanti per l’umanità.
E poi anche per voi medici, avere una conoscenza anche dell'etica e della spiritualità di religioni differenti in un mondo globale in cui vi troverete sicuramente anche a curare migranti di fede musulmana, è importante …
R. – Certo. Mi sono trovato, a Torino, ma anche quando ho lavorato in Svizzera e in Francia, molte volte in famiglie di fede islamica, di fede ebraica, oltre che naturalmente di fede cristiana. Ho sempre notato che la conoscenza delle loro tradizioni religiose, anche se diverse dalle nostre, aiuta moltissimo nel lavoro e permettere di non commettere errori anche alla fine. Faccio l'esempio del trattamento della salma, della vicinanza alla famiglia, del modo di pregare …. Questo ci permette anche, spesso, di metterci in contatto con gli assistenti religiosi di altre religioni. Ho parlato spesso con gli imam di Torino, i rabbini e i sacerdoti che mi aiutano nel lavoro in nome di quell’approccio totale e globale al malato che deve contraddistinguere le cure palliative, ma che dovrebbe far parte di tutta la medicina.
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