Riservatezza e dovere di denuncia
Mons. Juan Ignacio Arrieta
È stato pubblicato oggi un Rescritto ex audientia, concesso dal Santo Padre al Sostituto della Segreteria di Stato lo scorso 6 dicembre e a firma del Cardinale Segretario di Stato, che promulga una Istruzione Sulla riservatezza delle cause. Questa Istruzione intende precisare il grado di riserva con cui devono essere gestite le notizie o le denunce concernenti abusi sessuali compiuti da chierici o persone consacrate contro minori e altri soggetti qui determinati, nonché quelle eventuali condotte di autorità ecclesiastiche che tendessero a silenziarle o coprirle. Come si vedrà, lo scopo della nuova Istruzione è di cancellare in questi casi la soggezione a quello che viene chiamato “segreto pontificio”, riconducendo invece il “livello” di riservatezza, doverosamente richiesta a tutela della buona fama delle persone coinvolte, al normale “segreto d’ufficio” stabilito dal can. 471, 2° CIC (can. 244 §2, 2° CCEO), che ogni Pastore o il titolare di un pubblico ufficio è tenuto a osservare in modalità distinte a seconda si tratti di soggetti che hanno diritto a conoscere dette notizie e di chi, invece, non è in possesso di alcun titolo per averle.
Il documento vuole dare certezza sul modo di comportarsi in queste situazioni che, in alcuni casi, particolarmente per i ministri sacri, possono sfiorare irrinunciabili doveri morali di segretezza. L’Istruzione dà pure seguito ad altri provvedimenti adottati di recente dalla Santa Sede, particolarmente dopo la riunione dei Presidenti delle Conferenze Episcopali tenuta a fine dello scorso mese di febbraio. Anche la Penitenzieria Apostolica è intervenuta in questi argomenti con una Nota dello scorso 29 giugno sull’importanza del foro interno e l’inviolabilità del sigillo sacramentale, nel cui contesto è da inquadrare anche l’Istruzione ora promulgata.
Infatti, pur senza fare diretta menzione del segreto pontificio, il motu proprio La tutela dei minori, del 30 marzo 2019, e l’art. 3 della contestuale Legge vaticana n. CCXCVII sulla protezione di minori e persone vulnerabili, del 26 marzo 2019, hanno imposto all’intero della Santa Sede l’obbligo di denuncia di questo genere di reati perpetrati da impiegati o comunque avvenuti nel territorio vaticano, salvo unicamente – com’è ovvio – il sigillo sacramentale che sempre deve rispettare il sacerdote che confessa (art. 3 §§1, 3 Legge n. CCXCII). Successivamente, il 7 maggio 2019, il motu porprio Vos estis lux mundi, che nemmeno fa cenno al segreto pontificio e neanche – per considerarlo evidente – al sigillo sacramentale, ha allargato l’obbligo di denuncia rispetto a condotte illecite di chierici o consacrati, includendo gli atti sessuali con adulti realizzati con abuso di autorità e il silenzio colpevole su condotte di questo genere nel corso di inchieste ecclesiastiche avviate nei confronti dei responsabili di tali crimini. Vos estis lux mundi ha imposto ai chierici e ai consacrati di tutta la Chiesa l’obbligo di denunciare eventuali notizie su condotte di questo genere, precisando che in nessun caso tale segnalazione sarebbe stata considerata come “violazione del segreto d’ufficio” (art. 4 §1).
Questi provvedimenti pontifici andavano ben oltre la competenza esclusiva concessa alla Congregazione della Dottrina della Fede nel motu porprio Sacramentorum sanctitatis tutela, del 30 aprile del 2001 e varie volte modificato di seguito, che limitava il compito del Dicastero agli abusi contro minori e incapaci commessi esclusivamente da chierici. L’obbligo di denuncia prescritto da queste norme richiedeva, per esigenze di coerenza normativa, un attento esame dalla prospettiva del segreto pontificio, che i vari documenti non avevano menzionato. Infatti, detto segreto altro non è che un speciale dovere di riservatezza – più severamente tutelato dalla legge canonica e assunto mediante una specifica formula di giuramento – imposto a certe categorie di persone (vescovi, ufficiali di curia, ecc.) per rapporto a determinati argomenti che loro devono trattare in ragione dell’ufficio. Si dava il caso, però, che l’art. I, §4 dell’Istruzione Secreta continere, del 1974, che fino ad oggi regola il “segreto pontificio”, menziona tra gli argomenti sottoposti a detta norma le denunce, il processo e le decisioni concernenti i reati gravi contro la morale: in pratica, tutte le condotte oggetto dei provvedimenti recenti.
Tale sarebbe il contesto e la motivazione di questa breve Istruzione che, come non poteva essere diversamente, riguarda soltanto obblighi giuridici di una materia che, per certi aspetti, può anche coinvolgere (principalmente nei casi di sacerdoti) irrinunciabili doveri morali di sigillo che nessun legislatore umano ha capacità di modificare. Si tratta peraltro di un testo in cui i cinque paragrafi che lo compongono sono strettamente collegati tra di loro completandosi a vicenda per segnalare insieme la corretta condotta da seguire.
L’Istruzione non ha collisione alcuna col dovere assoluto di osservare il sigillo sacramentale, che è un obbligo imposto al sacerdote in ragione della posizione che occupa nell’amministrazione del Sacramento della confessione, e dal quale neanche il penitente stesso potrebbe liberare. Nemmeno tocca l’Istruzione il dovere di stretta riserva acquisito eventualmente fuori della confessione, nell’ambito del foro intero detto “extra-sacramentale”. Infine, l’Istruzione non riguarda altri eventuali doveri morali di riservatezza in ragione di circostanze affidate al sacerdote nel senso descritto dal n. 2 della citata Nota della Penitenzieria Apostolica.
Come già detto, l’Istruzione inizia escludendo dalla categoria di “segreto pontificio” – con implicita modifica, quindi, dell’art. I §4 dell’Istruzione Secreta continere – sia le materie descritte nell’art. 1 del motu proprio Vos estis lux mundi (abuso di autorità nel costringere ad atti sessuali, abuso sessuale di minori o di persone vulnerabili, occultamento di queste condotte in inchieste ecclesiastiche), sia anche quelle contenute nell’art. 6 del motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela, così com’è adesso in vigore, che riguarda reati di pedofilia con minori di 18 anni o con soggetti incapaci, nonché i reati di pedopornografia che abbiano per oggetto giovani al di sotto di 18 anni (d’accordo con la correzione dell’art. 6 §1, 2° ora realizzata da un altro Rescritto ex audientia a cui poi farò riferimento). Tutte queste condotte, quindi, non sono più oggetto di segreto pontificio, anche qualora venissero eventualmente compiute, come indica il n. 2 dell’Istruzione, in concorso con altri reati che pure siano oggetto di segreto pontificio (ad. es. altri reati contro la morale o contro i Sacramenti di competenza della Congregazione per la Dottrina della Fede e menzionati nell’Istruzione Secreta continere).
Tuttavia, e questo è un particolare importante, il fatto che la conoscenza di queste azioni delittuose non sia più vincolata al “segreto pontificio” non vuole dire che venga sdoganata la libera pubblicità da parte di chi ne è in possesso, il che oltre ad essere immorale, lederebbe il diritto alla buona fama delle persone protetto dal can. 220 CIC. A questo riguardo, il n. 3 dell’Istruzione richiama quanti, in qualunque modo, sono chiamate a gestire ufficialmente tali situazioni al normale segreto o riservatezza d’ufficio indicato nei cannoni 471, 2° CIC e 244 §2, 2° CCEO, come già faceva l’art. 2 §2 del motu proprio Vos estis lux mundi. Ciò significa che le persone informate della situazione o in qualche modo coinvolte nelle inchieste o istruzione della causa sono tenute a “garantire la sicurezza, l’integrità e la riservatezza”, e a non condividere informazioni di alcun genere con soggetti terzi, estranei alla causa. Tra i soggetti implicati nel processo, una volta avviato formalmente, c’è ovviamente l’imputato, per cui il nuovo provvedimento favorisce anche l’adeguato diritto alla difesa.
Nei successivi due numeri dell’Istruzione ritroviamo comunque altre due importanti precisazioni al dovere della riservatezza. Una è contenuta nel n. 5, il quale, seguendo anche quanto indicato dall’art. 4 §3 del motu proprio Vos estis lux mundi, vieta di imporre alcun genere di “vincolo di silenzio riguardo ai fatti della causa” sia al soggetto che abbia fatto la segnalazione o la denuncia all’autorità, sia a coloro che affermino di essere stati offesi, sia anche ai testimoni che intervengono nella causa. La sola eccezione a questo divieto riguarda l’imputato stesso che, in questo genere di provvedimenti, è regolarmente sottoposto sin dall’inizio a vario genere di proibizioni e misure cautelari, a seconda di quali siano le circostanze concrete. Il segreto d’ufficio, dunque, concerne tutti coloro che in ragione del proprio ruolo devono intervenire nella trattazione della causa.
L’altra importante perimetrazione del silenzio di ufficio, che ora viene ulteriormente ribadita, sempre in linea con la norma dell’art. 19 del motu proprio Vos estis lux mundi, è il richiamo alla doverosa osservanza delle leggi statuali stabilite in argomento. Perciò, il n. 4 dell’Istruzione ribadisce che il segreto di ufficio che occorre osservare in queste cause in nessun caso può essere ostacolo “all’adempimento degli obblighi stabiliti in ogni luogo dalle leggi statali, compresi gli eventuali obblighi di segnalazione [di eventuali notizie di reato], nonché all’esecuzione delle richieste esecutive delle autorità giudiziarie civili” che, naturalmente, potrebbe obbligare alla consegna, per esempio, di materiale documentale di foro esterno.
Questo, in sostanza, il contenuto della nuova Istruzione che, in linea con le norme date negli ultimi mesi sulla tematica, corregge leggermente l’Istruzione Secreta continere rendendo più coerente il sistema disciplinare nel suo insieme, e sempre al margine dei doveri morali di sigillo e riservatezza che una legge positiva non è in grado di poter sciogliere.
Contestualmente con la promulgazione dell’Istruzione Sulla riservatezza delle cause, viene oggi pubblicato un documento differente riguardante però analoga tematica. Si tratta di un altro Rescritto ex audientia, questa volta inusualmente concesso a due cardinali – il Segretario di Stato e il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede – da inscrivere nel periodico aggiornamento delle norme del motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela, concernente la trattazione dei delitti più gravi che competono alla Congregazione per la Dottrina della Fede, man mano che la esperienza giuridica dell’adeguato svolgimento dei processi lo richiede. Le modifiche introdotte in questa occasione, che sostituiscono precedenti testi del citato motu proprio, sono fondamentalmente due.
La prima modifica riguarda la soppressione della precettiva esigenza finora stabilita secondo la quale il ruolo di avvocato e di procuratore doveva essere adempiuto da un sacerdote, sia quando la causa era allo studio dei tribunali diocesani, sia quando quando veniva esaminata dalla Congregazione per la Dottrina della fede. D’ora in poi questo ruolo potrà essere svolto anche da un fedele laico che sia in possesso dei requisiti a ciò stabiliti dall’ordinamento della Chiesa.
L’altra modifica che il menzionato Rescritto apporta al motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela, come si è già accennato, riguarda l’elevazione ai 18 anni – e non solo 14, com’era finora – dell’età dei soggetti ripresi nelle immagini come requisito per configurare il reato di pedopornografia. Anche questa scelta, pur nelle difficoltà determinative che potrà generare, rappresenta un coerente seguito del generale innalzamento ai 18 anni dell’età costitutiva del reato di pedofilia stabilito in occasione delle modifiche apportate al testo originale del motu proprio nel maggio 2010.
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