Paglia: mai eutanasia e suicidio assistito, mai malati abbandonati
Luca Collodi – Città del Vaticano
Anche quando lo stato della malattia è irreversibile, “qualsiasi intervento diagnostico, preventivo, terapeutico, di ricerca, cura e riabilitazione deve essere proteso alla dignità e alla vita della persona, senza alcun cedimento ad atti di natura eutanasica”. Lo scrive il Papa nel Messaggio, reso noto ieri, per la Giornata mondiale del malato dell’11 febbraio prossimo. Francesco ricorda che “la vita va accolta, tutelata, rispettata e servita dal suo nascere al suo morire”. Un principio che in alcuni casi richiede ai medici l’obiezione di coscienza “per rimanere coerenti a questo sì alla vita e alla persona”. Una posizione che sta assumendo sempre di più una dimensione interreligiosa e anche laica, come ci spiega mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita:
R. – Lo scorso anno, i rappresentanti delle tre grandi religioni abramitiche hanno firmato un documento comune, che poi abbiamo consegnato al Papa, dove si sottolinea l’importanza dell’accompagnamento dei malati, sempre, escludendo sempre - appunto - ogni atto eutanasico o di suicidio assistito. Faccio notare che proprio in quei giorni, la stessa associazione medica mondiale, World Medical Association, aveva stabilito anch’essa - quindi un istituto non di credenti – la sua contrarietà sia all’eutanasia che al suicidio assistito.
Il Papa guarda alla malattia per curarla, ma anche ad una guarigione umana integrale …
R. – Sì, questo è molto importante per riscoprire il compito della medicina e quindi anche dei medici. È ovvio che noi non sempre possiamo guarire - la morte arriverà - ma sempre possiamo curare. Quindi, anche quando non possiamo più fare azioni positive per la guarigione, resta l’azione fondamentale che è quella dell’esserci, dello stare accanto, del non abbandonare mai nessuno, soprattutto coloro che si trovano nelle situazioni più difficili o di maggiore debolezza. In questo senso bisogna fuggire la tentazione di una medicina onnipotente, cioè pensare che quando la medicina non può guarire ha fallito o deve ritirarsi, è una posizione tecnica efficentista che si allontana da quella prospettiva umanistica che io credo sia una delle più urgenti dimensioni da ritrovare in una società come quella di oggi.
Nel messaggio il Papa si rivolge ai medici, invocando anche l’obiezione di coscienza …
R. - I miei contatti con la World Medical Association mi fanno pensare in maniera positiva e attenta, anche perché la buona coscienza del medico si forma per guarire, non per eliminare. Per aiutare non per abbandonare, per sollevare dal dolore e neppure con il credersi l’autore della vita, per cui può decidere quando accorciarla o prolungarla.
Mons. Paglia, molti Stati nel mondo sembrano però aprire al suicidio assistito …
R. - In tutti gli Stati, compresa l’Italia – e in parte questo è emerso anche nel testo che è stato emanato dalla Corte costituzionale – si promuovono delle cure palliative, perché la paura, il terrore che può esserci è quello del dolore, della solitudine. Ma se tutto questo viene sconfitto, credo che a nessuno venga forte il desiderio di accorciare la propria vita. Noi vogliamo accompagnarla e le cure palliative ci dicono che dobbiamo circondare come un mantello di amore la vita di chi è più debole.
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