Archivi, massima apertura agli studiosi su Pio XII
Fabio Colagrande - Città del Vaticano
In occasione della recente Giornata della memoria della Shoah le Nazioni Unite hanno commemorato per la prima volta l’evento con un incontro al Palazzo di vetro di New York, realizzato sotto gli auspici dell’Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Onu.
Nell’occasione, unico italiano presente tra i relatori è stato Matteo Luigi Napolitano, docente dell’Università degli Studi del Molise e consulente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche. Il prof. Napolitano, come studioso del ruolo della Santa Sede durante le persecuzioni naziste è stato naturalmente tra i primi storici ad approfittare dell’apertura dei fondi archivistici della Santa Sede relativi al pontificato di Pio XII, (1939 – 1958) avvenuta il 2 marzo. Ai microfoni di Radio Vaticana Italia ha raccontato i frutti della prima giornata di ricerche presso l’Archivio Storico della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato.
R. - Come uno storico che si è occupato per tanti anni di Pio XII e della Shoah, naturalmente mi sono sentito emozionato, un po’ come se fossi al primo giorno di scuola. Nei dibattiti storici si è sempre parlato di questa futura apertura delle carte vaticane relative a questo cruciale pontificato e adesso, per decisione di Papa Francesco, è alla fine arrivata. Noi storici e ricercatori siamo molto contenti di poter studiare in modo diretto il procedimento interno che era dietro a certe scelte vaticane, poter capire la genesi delle decisioni che venivano prese nella stanza dei bottoni e così via. Certo, le azioni e le scelte della Santa Sede durante la Seconda Guerra Mondiale le conosciamo già: ma studiare negli archivi, ricostruire certi processi è per lo studioso davvero importante. Ma c’è un altro aspetto che va sottolineato in particolare per quanto riguarda le carte dell’Archivio Storico della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato. Per merito dell’arcivescovo Gallagher e del responsabile dell’archivio Johan Ickx, al momento dell’apertura ci siamo trovati di fronte a un caso più unico che raro di democrazia archivistica digitale.
In che senso?
R. - Nel senso che, a differenza di quanto avviene in tutti gli altri archivi o perlomeno in quelli che io ho finora frequentato in questo archivio appena aperto, grazie a un lavoro di completa digitalizzazione, tutti gli studiosi hanno la possibilità di vedere tutti i documenti contemporaneamente. Ciò significa che nessuno deve attendere che qualcun’altro abbia terminato di consultare un fascicolo cartaceo, come avviene ordinariamente. C'è un sistema computerizzato che permette a ogni studioso di richiamare al proprio terminale le ‘serie’ archivistiche o le ‘sotto-serie’ di tutta la documentazione su Pio XII presente nell’archivio della Seconda Sezione della Segreteria di Stato. L'intero archivio su Pio XII è stato digitalizzato, per cui davvero siamo in piena democrazia digitale. Non solo c’è l'apertura, ma c’è anche la massima apertura possibile in cui ciascuno studioso, dalla sua postazione potrà richiamare ogni documento contemporaneamente agli altri.
In questa prima mattinata di lavoro nell’Archivio Storico della Sezione per i Rapporti con gli Stati ha potuto consultare anche documenti che riguardano la persecuzione degli ebrei?
R.- L'attenzione agli ebrei è una costante nell’azione vaticana in quegli anni. Le stesse ‘serie’ archivistiche in cui sono organizzati i fondi ci parlano già con le loro titolazioni. Per esempio, c’è una serie intitolata “Aiuto e assistenza ai profughi per motivi di razza e di religione” che ha una datazione che va dal 1938 al 1946…
Vuole dire che in questa attività specifica non c'è discontinuità tra il Pontificato di Pio XI e quello di Pio XII?
R. - Esattamente. Ho trovato una serie che raggruppa le azioni dei due pontificati esattamente sugli stessi temi. Abbiamo provvedimenti per favorire l'emigrazione, documenti circa la questione dei visti dai Paesi neutrali, sempre durante la Seconda guerra mondiale. Abbiamo documenti in cui molti cittadini statunitensi, e lo stesso governo USA, esprimono gratitudine alla Santa Sede per quello che ha fatto per gli ebrei nello stesso periodo. È materiale archivistico che prova l’esistenza di una rete di rapporti consolidata per salvare le persone perseguitate che attraversa due pontificati e che diventa vitale nel momento stesso in cui scoppia la Seconda guerra mondiale e Hitler cerca di attuare il suo piano di sterminio sistematico degli ebrei europei.
Esistono documenti relativi all'attività della Nunziatura vaticana a Berlino?
R.- Sappiamo già che l'ambasciata del Papa nella Germania nazista era controllatissima dai servizi segreti tedeschi. C’era evidentemente una preoccupazione per ciò che il centro, cioè il Vaticano, e la periferia, cioè la nunziatura a Berlino, potessero dirsi. C’era quindi l’esigenza di controllare le comunicazioni tra Nunziatura e Santa Sede. Lo prova un'interessante serie delle cosiddette “scatole bianche” di Pio XII, le scatole più riservate che erano nel suo studio. Qui c’è un fascicolo interessante del 1941 intitolato “Documentazione inviata dal Nunzio apostolico in Germania a prova della manomissione dei sacchi postali vaticani da parte delle autorità naziste”. Il Nunzio invia addirittura i sigilli “rotti” dei sacchi postali per dimostrare ai superiori che i nazisti intercettavano sistematicamente la posta cartacea della Santa Sede, ancorché coperta da immunità diplomatica.
Quindi i nazisti erano interessati a sapere cosa si scrivevano il Nunzio a Berlino e il Segretario di Stato?
R. - Pare proprio di sì. Anche qui c'è continuità tra i due pontificati. L’arcivescovo Orsenigo era un Nunzio nominato da Pio XI ed era rimasto in carica con Pio XII. Quindi non era nuovo questo clima di difficili rapporti tra la Santa Sede e la Germania nazista anche dopo il concordato che avevano firmato nel 1933. Clima che si fa più difficile all’avvicinarsi della guerra e poi in piena guerra mondiale come dimostra questo fascicolo del 1941. Una conferma di ciò che sapevamo già dalle carte relative al pontificato di Pio XI: una serie di rapporti difficili tra la Santa Sede e la Germania nazista comprovata dalla scelta di intercettare le comunicazioni.
Proprio nelle ore dell’apertura degli archivi relativi al pontificato di Pio XII c’è chi continua ad affermare che Papa Pacelli non salvò gli ebrei. Come commenta?
R.- Mi lascia perplesso questa nuova corrente storiografica che stabilisce i fatti ancor prima che gli archivi siano aperti. Ma, a parte questo, come dovremmo allora giudicare i documenti già noti che contengono i rapporti inviati a Pio XII su quanto si stava facendo per salvare gli ebrei? Abbiamo un documento del Canonico di San Pietro, già pubblicato da tempo, in cui si fa l’elenco delle persone rifugiate negli edifici delle istituzioni ecclesiastiche, compresa la residenza estiva del Papa a Castelgandolfo. A Castelgandolfo c’erano ebrei rifugiati o ricercati di qualsiasi tipo. Possiamo pensare davvero che in una Chiesa gerarchica come quella di Pio XII tutto ciò fosse fatto all’insaputa del Papa? Mi sembra logicamente insostenibile. C’è da sottolineare inoltre che la questione della sorte degli ebrei europei era tenuta sotto controllo dalla Santa Sede anche con fascicoli personali. La Santa Sede chiedeva aiuto alle agenzie di soccorso internazionali a proposito di persone specifiche della comunità ebraica o di intere famiglie ebraiche. E tutti ciò è provato dai documenti archivistici della Santa Sede anche relativi al pontificato di Pio XII. Sarà un lavoro lungo studiare questi fondi ma sono sicuro che tutto ciò verrà fuori in modo sempre più nitido.
Il silenzio di Papa Pacelli sulla Shoah può essere la prova che il Vaticano non fece nulla per salvare gli ebrei?
R. – Il silenzio o la parola non dicono nulla di per sé. Vanno declinati in un periodo storico come quello bellico. Dobbiamo come storici sforzarci di diventare contemporanei ai personaggi che studiamo. In questo caso dobbiamo chiederci se quello che è stato definito il silenzio di Pio XII sulla persecuzione degli ebrei fu un silenzio ‘non operativo’ o no. Pensiamo, per esempio, alle abbazie benedettine che durante la guerra preparavano documenti falsi per la rete della resistenza in Italia o altrove. Abbazie che per definizione lavorano nel silenzio, ma in un silenzio ‘operativo’. Il silenzio non è solamente assenza di giudizio e indifferenza: può essere anche altro. Anche gli archivi parlano nel silenzio e dicono tanto agli storici. Per cui, di per sé, la dicotomia parola-silenzio non spiega proprio nulla.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui