Padre Baggio: non possiamo più dimenticarci di chi abita le periferie esistenziali
Cecilia Seppia – Città del Vaticano
La missione della Chiesa universale, sulla spinta di Francesco, continua ad allungare il suo sguardo alle periferie fisiche ed esistenziali, lì dove vivono per mesi, anni, decenni, in situazione di totale indigenza, intere famiglie, private di tutto, dei diritti fondamentali e della dignità. L’obiettivo del volume “Pastoral Orientations on Internally Displaced People” - “Orientamenti Pastorali sugli sfollati interni” a cura della Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, presentato oggi nella Sala Marconi della Radio Vaticana, è allora quello di offrire suggerimenti e linee guida per accogliere, proteggere, promuovere, integrare, non solo a parole ma con azioni capillari e sinergiche, quanti per colpa della guerra, di conflitti etnici, della fame, dei cambiamenti climatici, sono costretti ad abbandonare le proprie case e a spostarsi, entro i confini nazionali, per cercare di garantire un futuro ai propri figli. A Vatican News parla padre Fabio Baggio, sotto-segretario della Sezione Migranti e Rifugiati che ha curato il volume raccogliendo la sfida lanciata da Papa Francesco.
R. - Il Santo Padre ha voluto aprire il 2020 con il discorso al Corpo Diplomatico accennando direttamente agli sfollati interni come ad un tema di attenzione prioritaria per quanto riguarda la pastorale, che va oltre ovviamente le condizioni politiche ma guarda all’amore e al servizio che la Chiesa vuole sempre dedicare e rivolgere a tutte quelle persone che abitano le periferie esistenziali del mondo e della nostra società. Credo che il Santo Padre abbia voluto soffermarsi sugli sfollati interni perché spesso rimangono invisibili: non attraversando un confine internazionale gli sfollati interni, infatti, rimangono all’interno del loro stesso Paese facendo perdere traccia di sé e diventando appunto invisibili nella loro vulnerabilità. Da qui il desiderio come Sezione Migranti e Rifugiati di dedicare una più ampia riflessione agli sfollati interni convocando gli esperti cattolici, le organizzazioni internazionali cattoliche che lavorano su questo fronte e in particolare le Conferenze episcopali dei vari Paesi. Il cuore di questo documento che presentiamo oggi è dunque un rinnovato impegno di tutti i principali attori cattolici nei confronti di coloro che sperimentano, così come Gesù Bambino nella fuga in Egitto, la tragedia, il dramma di dover lasciare in fretta la propria patria, il proprio Paese, la propria regione trovandosi a vivere in un’altra regione con tutte le condizioni di fragilità che caratterizzano questo spostamento.
Un volume che si snoda ancora sui quattro verbi, le quattro azioni dettate dal Papa per rispondere al fenomeno migratorio: accogliere, proteggere, promuovere, integrare…
R. – Sì. Mi piacerebbe sottolineare un elemento di ciascuno dei verbi che devono essere declinati nelle situazioni contingenti ma non possiamo non pensare alle cifre. Solamente nel 2019 abbiamo 33,4 nuovi milioni di sfollati interni, in 145 Paesi. I conflitti ne hanno fatti spostare, sempre nel 2019, entro i propri territori oltre 8,5 milioni e registriamo invece 1.900 disastri e calamità che ne hanno fatti spostare quasi 25 milioni, in 140 Paesi. Quindi numeri importanti all’interno dei quali è necessario declinare i quattro verbi. L’accogliere, ad esempio, implica sempre il conoscere per superare quella invisibilità che spesso caratterizza lo sfollamento interno. Per proteggere invece non esistono ancora purtroppo strumenti internazionali essendo affidata ai singoli Paesi. La protezione di queste persone: un grande richiamo quindi a fare uno sforzo extra nei confronti della protezione della dignità e dei diritti di questa gente. Promuovere: è necessario pensare all’inclusione di questi nostri fratelli e sorelle all’interno di quelli che sono i processi di sviluppo e pensarli come risorsa e non solamente come una difficoltà o un problema. Per quanto riguarda l’integrare, il problema più grosso subentra quando esistono rivalità e discriminazioni quindi è necessario superare queste barriere per riconoscerci ancora membri di una stessa umanità voluta da Dio, certamente unici e irripetibili ma uniti da questa umanità che è frutto di una creazione divina.
Nel testo sono presenti orientamenti pastorali da divulgare alle chiese, agli operatori, ma anche proposte pratiche per sanare la drammatica situazione in cui vive chi è sfollato all’interno del proprio Paese, privato dell’accesso all’educazione, al lavoro, alle proprietà, alla sanità. Quindi c’è un quinto richiamo che è quello all’agire…
R. – Sì, per quanto diversi Paesi garantiscano ad oggi alcuni diritti di base alle persone sfollate internamente, ci sono situazioni di emergenza per esempio che portano a fare delle scelte e a trovarsi di fronte a sovra popolamenti che non erano previsti ovviamente, con delle esclusioni che nascono dai numeri ingenti di persone arrivate all’improvviso dalle periferie, parlando dei centri urbani. Oppure, se facciamo riferimento ai campi profughi bisogna notare tutta una serie di difficoltà legate al bisogno di sopperire all’educazione, all’istruzione ma anche ai bisogni primari, di cibo, di medicine, di alloggi, di servizi igienici. Quindi è molto importante, e noi lo vogliamo ribadire, sollevare questo tema e renderci conto che c’è bisogno di uno sforzo extra di collaborazione e cooperazione tra i vari attori. Infatti nel volume abbiamo aggiunto anche il verbo collaborare, perché nessuno può risolvere questo problema da solo. Attori che sono ovviamente quelli istituzionali insieme ai nostri attori cattolici, le diocesi, le organizzazioni e le congregazioni religiose e anche coloro che, sia a livello interconfessionale che a livello interreligioso, stanno operando sul territorio, quindi dei progetti nuovi che ci possano unire sulla base di una fede comune o almeno orientamenti comuni ispirati dalla medesima spiritualità per poter intervenire insieme e dar seguito alle operazioni messe in atto.
L’impegno più urgente che voi sollecitate come Chiesa è anche far rientrare questi sfollati nel sistema di protezione internazionale per promuovere anche l’identificazione e il riconoscimento formale…
R. – Da sempre le Chiese locali sono state sollecitate, anche nei documenti precedenti, a cercare quelle forme di collaborazione fruttuosa con le istituzioni preposte al soccorso e al servizio degli sfollati interni. Certo, la mancanza di un riconoscimento internazionale e di una protezione stabilita da una convenzione comune rende la fragilità più grande, quindi rimanda all’assenza di leggi internazionali che dovrebbero essere parte del pacchetto di protezione per quanto riguarda gli sfollati interni. Sicuramente guardiamo con molta attenzione ai processi che già in sede Onu sono stati avviati e che si spera entro quest’anno possano concretizzarsi per trovare soluzioni comuni a un problema che non è solo della Siria o dell’Iraq, ma tocca ormai la maggior parte dei Paesi del mondo.
Non dimentichiamo poi che gli sfollati interni, al pari di quelli che migrano lasciando i propri Paesi, sono vittime di tratta sia a fini sessuali che lavorativi, quindi a maggior ragione necessitano di tutela e protezione…
R. – Assolutamente sì. Dai rapporti che riceviamo dalle persone che lavorano all’interno dei campi profughi, sappiamo ad esempio che purtroppo il fenomeno della tratta è in continua crescita. La situazione di vulnerabilità, la mancanza di una prospettiva di ritorno nelle proprie regioni - molti restano sfollati per anni, decenni - rende questa gente facile preda di quanti offrono altre vie immaginarie e ingannevoli che altro non sono che trappole sia per il lavoro schiavo, per lo sfruttamento sessuale, per l’esportazione di organi e tante altre che segnano lo scenario molto complesso della tratta.
Questi orientamenti valgono sia in situazioni di emergenza come quella sanitaria ad esempio che stiamo vivendo ad ogni latitudine, sia per trovare soluzioni durature e soprattutto cercano di tener conto delle tante e diverse cause che sono all’origine dello sfollamento interno, dalle guerre ai conflitti etnici, dalle carestie, alla crisi economica. Allora pensando anche alla situazione attuale, qual è l'appello della Chiesa perché questi invisibili tornino ad essere al centro di decisioni e soluzioni di protezione e integrazione?
R. – Ci uniamo alla voce del Santo Padre Francesco. Lo ha detto in un venerdì piovoso con la piazza vuota, lo ha ripetuto nel messaggio pasquale Urbi et Orbi: non possiamo e non dobbiamo dimenticarci di coloro che vivono il dramma attuale e lo vivono in modo ancora più grave proprio perché esclusi dai circuiti di soccorso e di tutela. Non dimentichiamoci degli abitanti delle periferie esistenziali che sono nostri fratelli e sorelle!
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui