Koch: profonde relazioni sorreggono il cammino dell’ecumenismo
Massimiliano Menichetti
Una grande gioia e un impegno costante per un cammino irreversibile, come ha ribadito il Papa. Così il cardinale Kurt Koch, in un’intervista ai media vaticani, ricorda la fondazione del Segretariato per la promozione dell’Unità dei Cristiani, istituito il 5 giugno del 1960 da San Giovanni XXIII e divenuto Pontificio Consiglio nel 1988. Tre i pilastri che, secondo il porporato, sostengono in particolar modo l’ecumenismo: il dialogo della carità, il dialogo della verità e l’adesione profonda e concorde di tutti i fedeli alla preghiera sacerdotale di Gesù, “che tutti siano una cosa sola”. Un orizzonte quello dell’ecumenismo, che ha goduto della “grande continuità e coerenza” tra tutti i papi.
Sessant’anni fa il contesto ecumenico era tutt’altro. Come definire l'attuale situazione ecumenica e le sfide di oggi?
Nel 1960 il movimento ecumenico, nella sua forma ufficiale all’interno della Chiesa cattolica, era ancora agli albori. Negli ultimi sessant’anni hanno avuto luogo numerosi incontri e dialoghi, dai quali è stato possibile trarre molti frutti positivi. Tuttavia, il vero obiettivo del movimento ecumenico, vale a dire il ripristino dell’unità della Chiesa, non è stato ancora raggiunto. Attualmente, una delle maggiori sfide consiste proprio nella mancanza di un consenso realmente solido sull’obiettivo dell’ecumenismo. Si è concordi sulla necessità dell’unità, ma non ancora su quale forma essa debba avere. Occorre una visione comune, che è essenziale per l’unità della Chiesa. I prossimi passi potranno essere compiuti infatti soltanto se abbiamo un obiettivo chiaro in mente.
Il cammino ecumenico è spesso definito come uno “scambio di doni”. In sessant’anni come è stata cambiata la Chiesa cattolica da questo impegno? Quali sono i doni che la nostra Chiesa ha offerto agli altri cristiani?
Dietro questa definizione c’è la convinzione che ogni Chiesa possa apportare un contributo specifico al ripristino dell’unità. Dalle Chiese e dalle Comunità ecclesiali nate dalla Riforma la Chiesa cattolica ha imparato soprattutto la centralità della Parola di Dio nella vita della Chiesa, nelle celebrazioni liturgiche e nel pensiero teologico. Si è ravvivata in noi la consapevolezza che la fede viene dall’ascolto della Parola di Dio e che il vangelo di Gesù Cristo deve essere al centro della Chiesa. Dalle Chiese ortodosse, come ha più volte sottolineato Papa Francesco, possiamo imparare molto sulla sinodalità nella vita della Chiesa e sulla collegialità dei vescovi. Dal canto suo, la Chiesa cattolica può offrire come dono speciale alla discussione ecumenica l’enfasi posta sull’universalità della Chiesa. Poiché la Chiesa cattolica vive nell’interrelazione tra unità della Chiesa universale e molteplicità delle chiese locali, essa può dimostrare a titolo esemplificativo che unità e molteplicità non sono contrapposte neanche nell’ecumenismo, ma si sostengono reciprocamente.
L’ecumenismo guarda alla piena comunione tra tutti i cristiani. Concretamente, che cosa si è fatto?
Tutti gli sforzi e le attività ecumeniche devono servire allo scopo del ripristino dell’unità dei cristiani; è necessario assicurarsi di volta in volta che essi continuino ad essere tesi al raggiungimento di tale obiettivo. Ciò vale in particolare per il dialogo della carità, ovvero la cura nel mantenere relazioni amichevoli tra le diverse Chiese. Questo dialogo ha permesso il superamento di molti pregiudizi del passato e l’intensificarsi di una migliore intesa. Altrettanto importante è il dialogo della verità, ovvero l’analisi teologica delle questioni controverse che hanno portato a divisioni nel corso della storia. In questi dialoghi è emerso con crescente chiarezza che ciò che ci unisce è maggiore di ciò che ci separa. Infine, va ricordato come aspetto fondamentale l’ecumenismo spirituale, vale a dire l’adesione profonda e concorde di tutti i fedeli alla preghiera sacerdotale di Gesù, “che tutti siano una cosa sola”. Questa preghiera mantiene sveglia in noi la consapevolezza che l’unità della Chiesa corrisponde alla volontà del Signore.
Festeggiamo in questi giorni anche il 25mo anniversario dell’enciclica di San Giovanni Paolo II Ut unum sint, pubblicata il 25 maggio 1995. Un'enciclica importante per il cammino ecumenico?
La sua importanza risiede principalmente nel fatto che per la prima volta nella storia un Papa ha scritto un’enciclica sull’ecumenismo. Con essa, trenta anni dopo la fine del Concilio, Giovanni Paolo II ha ricordato che la Chiesa cattolica si è “impegnata in modo irreversibile” a percorrere la via ecumenica (UUS 3) e che tutti i membri della Chiesa sono tenuti per fede a partecipare al movimento ecumenico. Particolarmente degna di nota mi pare anche un’altra sorprendente iniziativa del Papa. Essendo consapevole, da un lato, che il ministero petrino rappresenta uno dei maggiori ostacoli al ripristino dell’unità ed essendo convinto, dall’altro, che il ministero del Vescovo di Roma riveste un’importanza costitutiva per l’unità della Chiesa, Papa Giovanni Paolo II ha invitato l’intera comunità ecumenica a impegnarsi in un “dialogo fraterno, paziente” sul primato del Vescovo di Roma, con l’obiettivo di trovare una forma di esercizio del primato “che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova”, più precisamente nella misura in cui questo ministero “possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri” (UUS 95-96). A mio parere, si tratta di un’iniziativa molto promettente, che è stata ripresa in occasioni diverse anche da Papa Benedetto XVI e da Papa Francesco.
Dalla fondazione del Dicastero i diversi Pontefici si sono molto impegnati nell’ecumenismo. Come definire in poche battute il contributo specifico di ognuno?
Innanzitutto, dovremmo essere grati che tutti i Papi che si sono susseguiti dal Concilio abbiano dimostrato un cuore aperto alla causa ecumenica e che vi sia stata una grande continuità e coerenza tra di loro. Papa Giovanni XXIII era ben consapevole che il ripristino dell’unità dei cristiani è fondamentale per il rinnovamento della Chiesa cattolica. Papa Paolo VI contribuì in modo significativo all’adozione del Decreto sull’ecumenismo “Unitatis redintegratio” da parte del Concilio. Egli fu un papa di grandi gesti ecumenici, in particolare verso l’Ortodossia e la Comunione Anglicana, e fu il primo papa a visitare il Consiglio Ecumenico delle Chiese. Papa Giovanni Paolo II era convinto che il terzo millennio avrebbe dovuto affrontare il grande compito di ripristinare l’unità andata persa, e ravvisò un aiuto essenziale nella testimonianza dei martiri che appartengono a Chiese diverse e che, con il dono della propria vita, hanno già vissuto l’unità. Per Papa Benedetto XVI, l’ecumenismo, a un livello profondo, è una questione di fede e, pertanto, un dovere primario del successore di Pietro. Per Papa Francesco è fondamentale che le varie Comunità ecclesiali percorrano insieme la via dell’unità, perché l’unità cresce cammin facendo. Anch’egli insiste inoltre sull’importanza dell’ecumenismo del sangue.
Per marcare questo doppio anniversario il Pontificio Consiglio pubblicherà quest’anno un Vademecum ecumenico per i Vescovi. Perché questo nuovo documento?
Il ministero affidato al vescovo è un servizio di unità nella sua diocesi e di unità tra la chiesa locale e la Chiesa universale. Ma ha un’importanza particolare anche nell’ecumenismo. Il ministero pastorale del vescovo deve essere compreso in maniera più ampia rispetto all’unità della sua chiesa, poiché comprende anche i battezzati non cattolici. Nelle varie chiese locali, spetta dunque ai vescovi diocesani la responsabilità primaria dell’unità dei cristiani. Il Vademecum intende aiutare i vescovi a comprendere in maniera più approfondita e a tradurre nella pratica la loro responsabilità ecumenica. Il Vademecum è anche specialmente concepito per presentare ai vescovi appena nominati i loro compiti, consistenti nell’offrire un accompagnamento a tutti i membri della chiesa affinché possano assolvere il loro dovere di partecipare al movimento ecumenico.
Un’altra iniziativa del Pontificio Consiglio per questo anniversario è la pubblicazione della rivista Acta Œcumenica che prosegue e arricchisce il bollettino Information Service/Service d’Information pubblicato da più di cinquant’anni. Qual è lo scopo di questa rivista?
Non pochi fedeli oggi hanno l'impressione che l’ecumenismo sia giunto a uno stallo. Questa impressione è in gran parte dovuta al fatto che non si è sufficientemente informati sugli sviluppi e sui progressi dell’ecumenismo. È dunque importante far sì che i risultati ecumenici più importanti vengano recepiti. Questo vale soprattutto per i documenti preparati e pubblicati dalle commissioni ecumeniche. Come è noto, i documenti non letti non servono a molto. La rivista Acta Oecumenica mira a facilitare questa recezione, principalmente fornendo informazioni sull’impegno ecumenico di Papa Francesco e sulle attività ecumeniche del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e presentando i documenti principali dei dialoghi ecumenici. La rivista vuole essere un supporto alla formazione ecumenica, aspetto, questo, di fondamentale importanza per il futuro.
L’ecumenismo si fa nell’incontro e nel dialogo. Come la crisi attuale della pandemia influisce sul lavoro che si porta avanti?
L’ecumenismo vive di dialoghi e di incontri diretti, personali. Questo ora non è facilmente realizzabile a causa delle restrizioni dovute alla pandemia del coronavirus, poiché non possiamo né ricevere ospiti in visita qui a Roma da altre Chiese cristiane né compiere viaggi per incontrare rappresentanti di altre Chiese. I dialoghi ecumenici incontrano grandi difficoltà quando si svolgono a distanza, tramite “home office”. D’altra parte, la dura situazione del momento contribuisce a far avvicinare le Chiese cristiane, che si trovano tutte sulla stessa barca. Questo è risultato evidente, ad esempio, quando papa Francesco ha invitato tutte le Chiese cristiane a unirsi a lui nella recita del Padre Nostro, il 25 marzo scorso, per pregare per la fine della pandemia. Alla lettera con la quale estendevo l’invito del Santo Padre ai capi delle Chiese cristiane, la maggior parte dei destinatari ha risposto molto rapidamente, esprimendo gratitudine per questa iniziativa. Ciò mi ha mostrato quanto profonde siano diventate nel frattempo le relazioni ecumeniche, e quanto possano essere ulteriormente approfondite in situazioni molto difficili. Ma naturalmente saremo molto lieti quando potremo nuovamente avere incontri e dialoghi faccia a faccia, di persona, con i nostri interlocutori.
Anche Lei, Eminenza, fra poco festeggerà un anniversario, il 1° luglio 2010 è stato infatti nominato, da Papa Benedetto XVI, Presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani. Qual è il suo bilancio di questi anni?
Sono particolarmente sorpreso dalla rapidità con cui il tempo è passato. Trovo il lavoro non sempre facile, ma molto bello e arricchente. Sono grato a Papa Benedetto XVI per avermi affidato questo compito, e a Papa Francesco per avermi confermato in questo incarico. Nel corso degli anni ho potuto partecipare e apportare il mio contributo a diversi eventi e a numerose iniziative ecumeniche dei due pontefici. Ho imparato molto e ho fatto ripetutamente questa esperienza: che nel lavoro ecumenico ciò che si riceve è maggiore di ciò che si può dare. Sono consapevole che in fondo esiste un unico ministro ecumenico, che è lo Spirito Santo; noi cosiddetti ecumenisti siamo solo suoi strumenti, più o meno deboli. Dopo dieci anni, non credo dunque che mi spetti fare un bilancio. Questo modesto anniversario è piuttosto una proficua occasione per ringraziare lo Spirito Santo e chiedergli di continuare ad accompagnare il cammino ecumenico, permettendoci di compiere, uno dopo l’altro, passi positivi che ci avvicinano sempre più all’unità della Chiesa.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui