Essere religiose e missionarie al tempo del Covid-19
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
Far conoscere lo sforzo umanitario delle religiose missionarie nei luoghi più distanti, al fianco delle persone più vulnerabili, in questo tempo segnato dalla pandemia di coronavirus. E’ stato il significato dell’incontro on-line di stamattina, al centro del quale ci sono state le relazioni di tre ospiti d’eccezione. Tra loro suor Stan Terese Mario Mumuni, fondatrice in Ghana del Nazareth Home for God's Children, un orfanotrofio per accogliere e salvare bambini con malformazioni congenite che spesso, nel Paese africano, vengono uccisi, anche con l’accusa di stregoneria. “Quando – racconta la religiosa – mi resi conto di ciò che rischiavano questi bimbi, e cioè la loro vita, perché nati con deformità fisiche, decisi di salvarli, di dare loro la dignità, la possibilità di vivere ed il rispetto. Durante la pandemia è stato per tutti noi davvero difficile, il popolo vive in condizioni di grave povertà, si muore di fame, si era senza acqua, noi dovevamo riuscire a nutrire i nostri bambini e allo stesso tempo restare a casa per evitare il contagio, pur venendo continuamente chiamate per correre in aiuto di bambini accusati di stregoneria. La nostra missione è e resta quella di salvare le vite e annunciare la parola del Signore”.
Suor Imelda, una vita a lottare contro il traffico di esseri umani
Su traffico e sfruttamento di esseri umani si è concentrato l’intervento di suor Imelda Poole, impegnata in Albania nella missione contro la tratta e fondatrice di una ong, la Mary Ward Loreto, dedita al salvataggio e al recupero delle vittime di sfruttamento sessuale, nonché presidente della Renate, network europeo di religiosi concentrati nella lotta al traffico e allo sfruttamento degli esseri umani. “Povertà e fame in Albania – è stato il suo racconto – facilitano lo sfruttamento. In Albania si cerca di fare rete per aiutare i vulnerabili che sono alla mercé dei trafficanti”. La chiusura imposta dal Covid – è il drammatico aspetto messo in luce da suor Imelda – ha visto un’esplosione della presenza dei bambini on-line, con i rischi che ne conseguono circa l’adescamento di minori in rete. La richiesta della religiosa, rivolta direttamente ai governi, è quella di sostenere la lotta al traffico seguendo, ad esempio, il flusso dei soldi legati a questo turpe commercio.
Da Gerusalemme a Bergamo al fianco delle consorelle malate di Covid-19
Terza e ultima testimonianza, è stata quella di suor Alicia Vacas, Provinciale per il Medio Oriente delle Missionarie Comboniane e responsabile della comunità di Betania, vicino a Gerusalemme, che durante la crisi dovuta al Covid-19 è accorsa in Italia, come infermiera, al fianco delle consorelle ammalatesi. Delle 55 suore della sua comunità a Bergamo, 10 sono morte. A Vatican News racconta la sua esperienza:
R. – Nel periodo di emergenza Covid mi trovavo a Gerusalemme, quando c'è stata la chiusura delle frontiere. Proprio in quei giorni arrivavano le notizie dalla nostra comunità di Bergamo, una comunità di sorelle anziane e malate (Casa Madre Carla Sorelle anziane ndr) che ritornano dalle diverse zone, dai diversi paesi di missione, e che erano state colpite. La comunità si era infettata e sapevamo che le sorelle morivano una dietro l'altra e che tante erano ammalate, in quel momento di crisi ci siamo offerte volontarie per andare ad assistere le sorelle anziane. Questa è stata la mia esperienza di Covid dal di dentro di una comunità dove la maggior parte delle sorelle, diciamo 45-50 su 60, si erano ammalate.
Suor Alicia, tutto il mondo è stato con gli occhi su Bergamo. Cosa ha significato per lei vivere l’esperienza Covid-19 in questo modo?
R. – Penso che sia stata un'esperienza complessa, con tanti aspetti. Da una parte una dimensione molto forte di dolore, di sofferenza, nel condividere la tragedia che si stava vivendo a Bergamo, credo sia stato anche un sentirsi parte di quello che Bergamo, l'Italia e l'umanità tutta, stavano vivendo in quel momento. A livello personale è stata una esperienza molto forte, straziante. Come missionaria comboniana credo anche che sia stato un dono e un privilegio il fare causa comune, che è il nostro modo di essere, e penso che sia stato il modo più bello di vivere questa esperienza. Poi, a livello di famiglia comboniana, per noi come Congregazione, penso anche sia stato un dono e un privilegio quello di chinarsi sulle nostre sorelle anziane e poter restituire loro un gesto di affetto e di cura nei loro confronti, anche a nome di tante altre consorelle che non potevano andare. Sentiamo una profonda gratitudine e un profondo affetto per queste sorelle che hanno fondato le missioni, che sono state protagoniste di pagine bellissime di vita missionaria, per cui questa opportunità di stare loro vicino, essere lì per loro, è stato senz'altro un dono.
L'evento di oggi ha messo in luce l'attività, l'impatto delle religiose che sono impegnate nei luoghi di frontiera, la sua di frontiera è quella del Medio Oriente …
R. - Il Medio Oriente è un mondo complesso già di suo, ora, in questo momento di pandemia, tutte le dinamiche sociali e politiche che lì si vivono, si esasperano. Nel periodo che sono stata qui a Gerusalemme, e anche per le sorelle che sono rimaste nella Regione, è stato evidente l'impatto di questa realtà, soprattutto dell'isolamento e delle chiusure, sulla popolazione, specialmente sui più poveri, su quelli che hanno posti di lavoro più vulnerabili, su quelli che dipendono dai checkpoint per arrivare in Israele a lavorare, sui beduini che sono rimasti isolati nel deserto senza aiuti e senza contatti, insomma sulla gente con cui quotidianamente viviamo a contatto. In mezzo a questa pandemia, a tutta questa tragedia, c'è anche una situazione politica nota, conosciuta da tutti, un'evoluzione molto preoccupante della situazione nella regione, che seguiamo con molta attenzione con molta preoccupazione.
Lei è una missionaria comboniana e le missionarie sono in tutti i luoghi del mondo, raggiungono tutte le periferie, soprattutto si trovano ad affrontare qualunque difficoltà che il genere umano possa incontrare. Cosa significa l’apporto delle religiose al mondo di oggi, con le sue criticità ?
R. – Significa l’essere presenti nei luoghi più isolati, più abbandonati, più problematici per altre organizzazioni. Significa anche il fatto del restarvi, dell’essere là per la gente e con la gente, anche quando altre organizzazioni se ne devono andare. Significa anche una dimensione di vicinanza, lo stare vicino a situazioni faticose e dolorose. Penso che le religiose abbiano sviluppato anche una creatività tutta particolare nel far fronte alle situazioni di difficoltà e sofferenza, a volte alle tragedie, che vivono i popoli che accompagniamo. E reti come Talitha Kum, per esempio, la rete delle religiose contro il traffico di esseri umani, sono delle risposte molto vivaci e molto significative, creative e belle, per situazioni che sono molto pesanti e che le religiose vivono in prima linea.
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