Minetti: il mio Rosario per chi ha lottato contro il coronavirus
Luca Collodi – Città del Vaticano
Annalisa Minetti è cantante e atleta, famosa per la vittoria a Sanremo nel 1998, dove tornerà nel 2005, ma anche per i successi nello sport paralimpico. Nata a Rho (Milano) nel 1976, da bambina studia danza classica. A 18 anni le viene diagnosticata la retinite pigmentosa. Nel 2001 decide di dedicarsi allo sport con l’atletica leggera. I primi risultati arrivano alle Paralimpiadi di Londra del 2012: partecipa ai 1500 metri piani e ottiene una medaglia di bronzo, realizzando il nuovo record mondiale della sua categoria con 4’48”88. Nel 2013 gareggia negli 800 metri ai Mondiali di Lione e vince la medaglia d’oro. Nello stesso anno, a Grosseto, replica la vittoria nella stessa gara, prima con il tempo di 2’25”61. Dopo un infortunio, decide di cimentarsi nel paraciclismo e debutta nel 2015 al raduno pre-mondiale della Nazionale a Rovere, nella specialità ‘tandem’. Nello stesso anno partecipa ai Mondiali in Svizzera 2015 e si classifica nona.
Lo sport, la mia illuminazione
A Vatican News Annalisa Minetti racconta la sua partecipazione all’asta benefica We Run Together:
R. - Per gli ospedali di Brescia e Bergamo è stato un lutto mondiale. Tutti quanti abbiamo pianto i nostri cari. Il virus è stato devastante per ognuno di noi, anche per chi non l'ha vissuto personalmente. Credo che si debba riconoscere come tutto ciò sia un dolore di tutti noi.
Che cosa mette all'asta?
R. - Ho messo una cosa a cui tengo moltissimo. Prima delle Olimpiadi, esattamente un anno prima, ho ricevuto un Rosario da parte delle Suore di Madre Teresa di Calcutta e devo dire che da quel momento, ogni volta che lo mettevo al collo, vincevo le gare. Per me è diventato una sorta di ‘portafortuna’ a cui tenevo tantissimo. Il giorno delle Olimpiadi ho deciso di portarlo. Quando sono arrivata a Londra, nello stadio, prima di entrare in galleria e uscire per fare la mia gara, la finale degli 800 metri, mi hanno aperto il borsello dove avevo tutti i miei santini e il rosario. Lo stavo indossando e in inglese mi dissero di lasciarlo fuori. Guardi, ho risposto, forse lei non ha capito che io non entro in campo senza questi oggetti. L’addetto si è messo a ridere e mi ha lasciato pregare prima di andare in gara. Mi sono fatta le mie preghierine, sono entrata in campo e ho vinto. Per me quello è un Rosario che in qualche modo ha determinato quello che ho fatto con le Olimpiadi, come ci sono arrivata. L’ho messo all'asta perché anche questa è una missione. E non sai quanto ho pianto quando l'ho dato via. Correrò poi con la persona che vincerà l'asta e gli farò provare la sensazione di essere guida, di essere utile per gli altri. Lo posso dire io che sono non vedente. Un salto nel buio in qualche modo, invece lo sport è stato proprio un'illuminazione. Ho capito che era il momento di utilizzare un altro mezzo di comunicazione come l'attività agonistica. Non ero assolutamente un'atleta provetta, non facevo sport agonistico, ma sentivo che c'era qualcosa dentro di me che mi spingeva ad aprirmi a questo mondo per diffondere i messaggi del mondo paralimpico.
Atletica e ciclismo sono i due sport dove ha vinto di più…
R. - Li amo entrambi. Ieri stavo vedendo uno speciale su Marco Pantani. Notavo come scattava in salita quando sentiva il dolore della sciatica. Anche io sono così. Quando sento che non ce la faccio, è quello il momento in cui mi si accende la lampadina e do ancora di più. Il ciclismo mi ha affascinato da subito e mi piace l'idea dello sforzo della gamba, che si riempie di acido lattico. L'atletica la trovo più elegante, per certi versi un po' più d'elite, però mi piace la corsa e devo dire che mi affascina tantissimo la maratona, perché trovo che sia proprio una vittoria di tutti.
Minetti, lei è cantante, atleta, ma anche mamma…
R.- Soprattutto mamma: E devo dire che il fatto di essere atleta e artista mi dà la possibilità di avere sempre una carta vincente con i figli, sia sulla parte creativa, come nei giochi, sia nell’attività motoria. Caratteristiche che mi permettono di stimolare i miei figli. Cerchiamo sempre di fare dei percorsi motori, che permettano loro di raccontarsi, perché poi a livello pedagogico, lo sport è da sempre un modo per osservare, per ascoltare i nostri ragazzi.
In una recente intervista ha sottolineato la possibilità di recuperare pienamente la vista…
R.- Credo che lo sport, aumentando l'ossigenazione nel sangue, possa aiutare chi vive la malattia, come la retinite pigmentosa, di mantenere quanto più possibile l’occhio stabile. Per quanto riguarda invece l’intervento di cui parla è ancora molto lontano. Non è ancora, diciamo, risolutivo. Io sono tra le cavie, tra le prime persone che saranno operate nel momento in cui questo intervento si dimostrerà una reale soluzione. Per il momento è ancora tutto sperimentale. Però mi hanno detto che, quando in America potranno concretamente sperimentarlo sulle persone, sarò chiamata. Ho giurato a me stessa che quando farò un'operazione agli occhi sarà per tornare realmente a vedere, non per accontentarmi di una piccola visuale o cose di questo genere. Anche perché mi sono abituata a vedere con gli occhi del cuore, ed è un grande valore. La certezza, la stabilità e l'equilibrio che oggi sento di avere non vorrei che venisse minato dalla voglia di rivedere con gli occhi, perché quello che sto facendo ora è uno dei più grandi doni che mi poteva fare Dio.
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