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“The Economy of Francesco”, Bruni: è già un movimento mondiale

Luigino Bruni, responsabile scientifico dell’incontro internazionale di giovani economisti e imprenditori, racconta gli effetti di nove mesi di lavoro preparatorio, causati dal rinvio per la pandemia. “Dall'incontro -spiega - spero nasca un’economia capace di guardare alla qualità della crescita e investire in spiritualità”

Fabio Colagrande - Città del Vaticano

Papa Francesco ne aveva parlato anche durante il ciclo di catechesi suscitato dalla prima ondata di pandemia, dedicato alla necessità di “Guarire il mondo” dalle disuguaglianze evidenziate dalla crisi sanitaria. Il virus è figlio di “un’economia malata”. Una malattia frutto di “una crescita economica iniqua che prescinde dai valori umani fondamentali”. Proprio per attuare un “patto” per “cambiare l’attuale economia e dare un’anima a quella di domani” il Papa nel maggio 2019 aveva lanciato l’idea di “The Economy of Francesco”, invitando per marzo 2020 ad Assisi miglia di giovani economisti e imprenditori.

Cancellato e poi rinviato, a causa della prima ondata di pandemia, l’avvenimento internazionale si apre on-line il 19 novembre con duemila iscritti da 120 paesi connessi, per tre giornate, da tutto il mondo, in diretta streaming sul portale francescoeconomy.org e la partecipazione “virtuale” del Papa. Ad Assisi, che ospita la regia dell’evento, è arrivato alla vigilia dell’inaugurazione Luigino Bruni, ordinario di Economia Politica all’Università Lumsa di Roma, responsabile scientifico di “Economy of Francesco”. Ai microfoni di Radio Vaticana Italia parla di un clima di “gioia e speranza” e spiega come si può - come ha chiesto il Papa - “ri-animare l’economia”:

L'intervista a Luigino Bruni

R.- Rianimare significa letteralmente “ridare un'anima”, perché ridare l'anima all'economia è uno dei grandi temi del magistero di Francesco. Ma significa anche “rianimare” qualcuno che sta male e - sempre nel pensiero del Papa -  l’economia oggi è una malata da guarire. Quindi “ri-animare” l’economia è un gioco di parole azzeccato che significa entrambe le cose: ridare un'anima e curare un'economia malata. Ed è proprio quello che i giovani che hanno lavorato a questo evento stanno facendo con tutto il loro entusiasmo e il loro impegno. Non dobbiamo pensare che i giovani siano solo “entusiasmo”, c'è anche tanto, tanto impegno da parte loro. Questa combinazione fra entusiasmo e impegno è forse la cosa più bella del lungo lavoro preparatorio.

“Trovare nuovi modelli di crescita” per rispettare l'ambiente, l'equità sociale e i diritti dei lavoratori… È questo ciò di cui si occupa “The Economy of Francesco”?

R.- La crescita è una delle parole chiave di quest’incontro, ma è anche una parola ambivalente, perché non tutte le crescite sono buone, come sappiamo. Anche i tumori possono crescere: ma non sono certo un fenomeno positivo. Quindi ci può essere una crescita che va bene: la crescita del benessere, dei beni relazionali, dei beni comuni… Ma non tutte le crescite sono buone in assoluto. Noi, ad esempio, siamo “cresciuti”, negli ultimi quarant’anni, distruggendo il pianeta, perché non mettevamo in conto gli effetti della crescita. Eravamo tutti contenti di un PIL che cresceva del 3 o 4% l'anno. Peccato che mentre cresceva stavamo distruggendo l'ambiente naturale attorno a noi. Quindi certamente bisogna crescere, ma bisogna anche pensare allo sviluppo, a tante altre parole che non sono soltanto di tipo quantitativo. Perché quando si parla di crescita c’è sempre l’enorme problema che la si misura solo in numeri, in quantità, mentre tante dimensioni della vita umana si misurano in “qualità”. Un concetto che non rientra nelle contabilità nazionali ma che è essenziale.

 

Questo avvenimento doveva svolgersi in presenza nel marzo scorso, il rinvio ha fatto nascere però un vero e proprio movimento ispirato a “The Economy of Francesco”, un movimento diffuso in tutto il mondo…

R.- Esatto! È stata una di quelle esperienze immortalate dalla celebre lirica di Leopardi: una siepe che ti preclude lo sguardo diventa l'occasione per guardare all'infinito. La rinuncia all’evento di marzo, tanto desiderato dai giovani che avevano già fatto il biglietto dell’aereo per arrivare ad Assisi da tutto il mondo, è stata decisa solo all’inizio del mese. Era già tutto pronto. Ma paradossalmente la pandemia e il conseguente lock-down, che hanno scombussolato i piani di tutto il mondo, hanno avuto come effetto collaterale la nascita di un qualcosa che è già partito da tempo. In questi nove mesi, infatti, non siamo stati fermi: si sono svolti decine e decine, direi centinaia, di incontri in tutto il mondo. I giovani hanno lavorato con noi, hanno fatto proposte, hanno scritto, si sono dati da fare. Quindi, se fino al mese di marzo questi giovani erano solo dei nomi che avevano compilato la domanda di partecipazione, ora sono volti, sono storie. Basta guardare sulla pagina del nostro sito: ci sono centinaia di storie e di volti di questi giovani, ragazzi e ragazze, imprenditori e studiosi, che non sono più un numero ma una realtà che è già partita.

Lei ha parlato di “un capitale spirituale globale” di cui l'economia ha estremo bisogno... Cosa significa?

R.- Dobbiamo guardare a ciò che è stata nel secolo scorso l’economia in Europa, negli Stati Uniti, ma anche in Giappone e in altri paesi, anche se in modi diversi. Nel Novecento abbiamo assistito a un boom economico che è stato qualcosa di straordinario: il progresso della tecnica ci ha portato su Marte; abbiamo allungato la vita media di trent’anni: nel giro di qualche decennio abbiamo rubato alla morte il numero di anni che corrispondono, diciamo così, a tre millenni di storia. Abbiamo realizzato delle cose assurde, meravigliose. Ma perché le abbiamo fatte? Perché l'economia ha potuto usare tutto un patrimonio di virtù, di vita interiore, di pietà popolare, di fede, di sacrificio, delle generazioni passate. Generazioni che, tra l’altro, purtroppo ora stanno scomparendo un po’ in tutto il mondo. Ma questo patrimonio, su cui l'economia ha potuto basarsi, non era un patrimonio economico. Era un patrimonio che le imprese consumavano, ma non avevano prodotto loro. Lo avevano prodotto le famiglie, le chiese, i partiti.

Vuole dire che questo patrimonio oggi si sta esaurendo?

R.- Certo. Non solo perché le persone invecchiano e muoiono, come succede alle generazioni dei nostri genitori e nonni, ma perché il mondo è cambiato molto, molto velocemente. Quindi, se noi non ci reinventiamo una sorta di nuovo patrimonio spirituale delle persone, cioè un’etica di fondo, una capacità di vita interiore, una resilienza spirituale alle difficoltà della vita, la prossima “pandemia” che fermerà tutto sarà la depressione. Le persone non avranno più motivi per cui andare a lavorare, per cui impegnarsi. Perché fare impresa richiede voglia di vivere: nessun imprenditore inizia la sua attività se non ha voglia di vita e di futuro. È un mito quello che i giovani imprenditori comincino l’attività per i soldi. Sarebbe troppo poco: i giovani vogliono tutto, non solo i soldi. Quindi c’è un bisogno enorme di un capitale spirituale. Questo le imprese lo sanno bene, ma il problema è che la spiritualità richiede gratuità. Non si può coltivare la spiritualità a scopo di lucro. Ci vuole quel distacco, quella castità delle persone che esattamente quello che manca nelle grandi aziende. Queste magari ti fanno anche fare il corso di quattro giorni in Umbria, in un bel convento… Però lo organizzano in modo che prima o poi produca qualcosa, perché l’impresa segue la logica che prima o poi i conti debbono tornare. Mentre la spiritualità ha bisogno di aria libera, di tetti più alti di quelli dell'ufficio, ha bisogno di finestre più ampie di quelle delle nostre fabbriche. Quindi speriamo che questo evento sia anche un appello a un investimento in spiritualità di cui l'economia ha un bisogno infinito.

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19 novembre 2020, 08:00