Wojtyla e l’Europa dell’Est, una relazione speciale
Emanuela Campanile e Gabriella Ceraso - Città del Vaticano
Giovanni Paolo II ha traghettato la Chiesa nel XXI secolo. Ora, a quindici anni dalla morte e nel centenario dalla sua nascita, una pubblicazione – presentata martedì 17 novembre – si sofferma sul rapporto intessuto tra il Papa polacco e i Paesi dell’Europa centro-orientale. Pubblicato dalla Gabrielli Editore e curato da Jan Mikrut e dalla Pontificia Università Gregoriana, il volume “Sangue del vostro sangue, ossa delle vostre ossa. Il Pontificato di Giovanni Paolo II (1978-2005) e le Chiese in Europa centro-orientale. Nel centenario della nascita di Karol Wojtyla” raccoglie oltre 50 voci di personalità ecclesiastiche, studiosi e storici cattolici, latini, greco-cattolici e ortodossi che affrontano le relazioni di Papa Wojtyła con le tradizioni e le culture dei Paesi di questa aerea dell’Europa. Un libro di storia che offre materiale agli studiosi, come sottolinea in questa intervista il professor Jan Mikrut, direttore della Collana “Storia della Chiesa in Europa Centro-Orientale”.
R. - Gli autori di questi contributi sono studiosi, professori, educatori. Per questo motivo, il nostro libro offre anche una base metodologica e una letteratura che arriva fino all’agosto 2020, quindi recentissime pubblicazioni e offre, naturalmente, non solo una visione che si può valutare da un punto di vista di un autore, ma sono tantissimi modi di presentare la vita di Giovanni Paolo II e mostrano proprio il loro legame con questo Papa straordinario. Personalmente sono molto felice perché questo libro è una prima parte del progetto dedicato a Wojtyla, la seconda parte del nostro progetto si intitolerà “Giovanni Paolo II e la Chiesa Cattolica in Unione Sovietica”.
Uno degli elementi comuni a questi 50 contributi raccolti nel suo libro, riguarda l'amicizia di Giovanni Paolo II nei confronti di questi popoli. Un'amicizia caratterizzata da cosa?
R. - Caratterizzata da un legame della Santa Sede con i singoli popoli dell'Europa centro-orientale. Questi Paesi hanno una storia molto differente e anche il percorso del XX secolo in questi Paesi era differente perché dipendeva dalla situazione politica. Giovanni Paolo II riconosceva pienamente la diversità della loro tradizione, della loro cultura, e questo naturalmente era apprezzato moltissimo da loro. Abbiamo dunque cercato persone che da anni fanno le loro ricerche nell'ambito della storia contemporanea europea, dove anche gli aspetti nazionali hanno avuto un grande significato. Importantissimi da questo punto di vista sono i contributi, per esempio dalla Bosnia Erzegovina e dalla Croazia, dove il percorso della Guerra Mondiale ha avuto un significato differente. E poi ancora, la visita Giovanni Paolo II a Sarajevo, quando era già malato, faceva molto freddo, ma lui voleva andare a Sarajevo per chiedere la pace per tutti i popoli, chiedere la tolleranza, la possibilità di una vita insieme delle diverse comunità, da secoli presenti in quel territorio. Dunque la particolarità di questo volume è legata anche allo sviluppo della politica. Naturalmente gran parte del testo lo abbiamo dedicato alla Chiesa cattolica in Polonia, semplicemente per il fatto che il Papa era polacco e conosceva molto bene il suo Paese. E si evidenziano anche le difficoltà dell'inserimento del suo insegnamento perché tutto questo succedeva nel periodo in cui i polacchi hanno avuto la possibilità di vivere in libertà e lo stesso Giovanni Paolo II era preoccupato per lo sviluppo della società e cercava di dare ad essa un indirizzo, una indicazione più precisa.
Come è cambiata la dimensione dell'ecumenismo in questi Paesi con Giovanni Paolo II?
R. - La situazione dell’ecumenismo era molto differente nei singoli Paesi. Per esempio in Bulgaria o Serbia, dove la maggioranza della popolazione è ortodossa e dove l'ecumenismo si vive in una forma sincera, c'è una buona collaborazione. Cambia la situazione in Bosnia Erzegovina dove invece il rapporto dei popoli della ex Jugoslavia, croati cattolici, serbi ortodossi e bosniaci musulmani, era più complessa. Ma qui vediamo anche l'eccezionale insegnamento di Giovanni Paolo II, il suo apprezzamento della religione e della convivenza pacifica dove lo spirito della tolleranza è essenziale. Ancora diversa la situazione, per esempio, in Albania.
C'è qualcosa che personalmente l'ha stupita studiando questo aspetto del Pontificato di Karol Wojtyla?
R. - Questo libro ha riscontrato un grande interesse. La problematica è molto interessante e poco conosciuta dal punto di vista europeo. Per noi è molto importante che la storia croata la scrivano i croati, che la storia bosniaca la scrivono i bosniaci e quella rumena i rumeni e che non siano italiani o tedeschi o americani a fare la storia di questi Paesi. In questo modo questi popoli con orgoglio possono presentare il frutto delle loro ricerche che per limiti linguistici non sono accessibili a tanti. La Collana comunque non termina con questo libro, perché stiamo preparando per febbraio prossimo il secondo volume dedicato a Giovanni Paolo II e la Chiesa cattolica nell'Unione Sovietica. Sono convinto che sarà una pubblicazione molto significativa perché Giovanni Paolo II in questo territorio, dopo un secolo, ha iniziato a creare le strutture, a fondare le diocesi, a organizzare i vicariati apostolici e le amministrazioni apostoliche. Ha creato dunque una base sulla quale ora crescono le nuove forme della vita ecclesiastica.
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