Il cardinale Semeraro: affido la mia porpora a Paolo VI
Fabio Colagrande – Città del Vaticano
Fra coloro che hanno ricevuto la berretta cardinalizia nel Concistoro dello scorso 28 novembre c’è anche un abituale collaboratore del Papa. È il vescovo che nel 2013 Francesco ha chiamato a ricoprire il ruolo di segretario del Consiglio dei cardinali e che il 15 ottobre scorso ha voluto in Curia come Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Si tratta del cardinale Marcello Semeraro, vescovo di Albano dal 2004, che - all’indomani del Concistoro - si racconta ai microfoni di Radio Vaticana Italia. Nell’intervista ricorda le parole di Giovanni XXIII che lo hanno ispirato mentre riceveva la porpora e confida di aver affidato a un altro Papa Santo, Paolo VI, il suo nuovo mandato.
R.- Mentre ricevevo la berretta cardinalizia, tornavo con la mente a un pensiero che è stato per me ricorrente in questi giorni da quando il Papa, il 25 ottobre, ha annunciato il mio nome nella lista dei tredici nuovi cardinali. Pensavo a ciò che scrisse Angelo Roncalli, San Giovanni XXIII, in una circostanza simile, alla fine del mese di novembre del ‘52, quando ricevette, in segreto, una notizia analoga. Quelle parole le ho rilette e ho cercato di farle mie in questi giorni, anche durante i riti del Concistoro. Papa Giovanni ripeteva in quell’occasione il suo motto: “oboedientia et pax” e poi aggiungeva: “farò come San Giuseppe il quale diede una direzione nuova al suo asinello”. In fin dei conti, ero già impegnato nel ministero episcopale e adesso il Papa mi chiama a una collaborazione diversa, anche rispetto a quello che mi ha domandato negli anni precedenti. Lo faccio con grande disponibilità, sapendo che per me è come ricominciare. Ma chi segue il Signore ricomincia sempre.
Nell’omelia pronunciata durante la cerimonia del Concistoro, Papa Francesco ha messo in guardia i nuovi cardinali dal pericolo di andare “fuori strada”, dal pericolo di sentirsi “un’eminenza” e di essere lontani dal popolo. Lei è consapevole di questo rischio?
R.- Il Papa nell’omelia commentava un brano del Vangelo e chi legge il Vangelo sa che spesso Gesù deve raccomandare ai suoi discepoli di seguirlo. Anche a Pietro deve ripetere: seguimi. Seguire Gesù significa essere discepoli, ma soprattutto avere sempre gli occhi su di Lui. Ma ogni discepolo, anche un vescovo, un cardinale, può correre il rischio, il pericolo, di perdere d'occhio Gesù. Anzi, maggiore è la responsabilità e maggiore è il rischio. Si può anche camminare dietro Gesù, andare sulle sue stesse strade, ma se si è perso d’occhio Gesù si è fuoristrada, come ha detto il Papa. È un richiamo forte, ma è un richiamo quotidiano per ciascuno di noi.
Eminenza, sta per arrivare al traguardo il lavoro del Consiglio dei cardinali per la riforma della Curia romana, di cui lei per oltre sette anni è stato segretario. Quali risultati dobbiamo aspettarci?
R.- Il Consiglio dei cardinali nell'estate scorsa ha già consegnato nelle mani del Papa il risultato di questo lavoro e ha concluso, da questo punto di vista, il suo mandato. Come succede per i documenti più importanti ora al Papa spetta un lavoro di revisione, di rilettura, attraverso l'aiuto di alcuni dicasteri specifici. Non può assolutamente mancare l’apporto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Anche io dunque ho concluso il mio mandato di segretario del Consiglio di cardinali. Adesso, come dicevo, il testo è nelle mani del Santo Padre che lo sta riesaminando tenendo conto delle indicazioni e dei suggerimenti che secondo la prassi arrivano da alcuni dicasteri specifici che comunque sono stati consultati durante tutto il periodo di redazione. Io ho fiducia che il Papa, portando a conclusione questo lavoro, potrà darvi una definitiva approvazione. La prospettiva è quella indicata soprattutto dalla sua Esortazione Apostolica Evangelii gaudium. La nuova Costituzione Apostolica, che sostituirà la Pastor Bonus, si è sempre ispirata a questo testo e all’idea di una Chiesa che si sente inviata fino ai confini della terra.
Come pensa di mettere a frutto la sua specifica preparazione teologica nel nuovo incarico di Prefetto della Congregazione delle Cause dei santi?
R.- In fondo questo nuovo incarico mi riporta indietro agli anni in cui studiavo e insegnavo ecclesiologia. Il mistero della Chiesa si rispecchia nella Comunione dei Santi. Noi sulla terra, riproduciamo quella “communio sanctorum” che celebriamo ogni volta nella liturgia, quando “con gli angeli e con i santi” cantiamo a Dio, chiamandolo tre volte Santo. Però ricordiamoci che Papa Francesco anche su questo aspetto ci ha dato un documento specifico, la Gaudete et exsultate, in cui parla di una santità che corrisponde pienamente a quello che è l’insegnamento del Concilio Vaticano II. Io amo sempre ripetere che nella storia della costituzione Lumen Gentium il capitolo quinto sulla vocazione universale alla santità era in previsione il capitolo culminante del testo che si rispecchia poi nel volto della Beata Vergine Maria che lo chiude. Lì si parla di una chiamata universale della Chiesa alla santità che è appunto rivolta a tutti gli uomini e proprio l’esortazione apostolica di Francesco sottolinea l’importanza di questa santità quotidiana, di questa risposta che noi dobbiamo dare a Dio non solo nell’eccezionalità della vita. Non siamo chiamati a vivere sempre momenti eccezionali, ma piuttosto a vivere quella santità del quotidiano in cui si realizza, giorno dopo giorno, la nostra risposta al Signore.
Una “santità della porta accanto”, come la chiama il Papa, che va riscoperta...
R.- Proprio in queste settimane di lavoro in Congregazione mi è accaduto di dover consegnare al Papa, per il suo ultimo discernimento, alcune storie di Santità che ci riportano tutte nel quotidiano: una Santità che non nasce all'improvviso ma fiorisce ogni giorno. Certo, ci sono anche quelle risposte che dipendono da una conversione improvvisa. Ma sappiamo che lo stile del Signore è quello di chiamarci ogni giorno.
Conclusi i riti del Concistoro lei ha voluto pregare sulla tomba di San Paolo VI. Perché?
R.- Ho colto l'opportunità di un momento di silenzio nelle grotte vaticane, quando sapevo che non c'era nessuno, e ho chiesto il favore di poter scendere a pregare nella cripta. Paolo VI è il santo della mia vita sacerdotale, ma è anche il santo da cui ho appreso come si ama, come si dona la vita per la Chiesa. Per sedici anni sono stato vescovo ad Albano, una diocesi che porta i segni della presenza di Papa Montini che, tra l’altro, morì proprio a Castel Gandolfo il 6 agosto del 1978. Tutti i paesi, i centri di questa diocesi, parlano della sua presenza e per me è un grande stimolo a far bene. Ci tenevo a creare un dialogo silenzioso con lui. Anche se poi alla fine, piuttosto che parlare con lui, inginocchiato davanti alla tomba, ho preferito recitare il Magnificat, cercando di dirlo come avrebbe saputo dirlo lui.
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