La Toscana e il progetto Covid-19 per umanizzare le cure
Fabio Colagrande – Città del Vaticano
Durante la prima ondata della pandemia, il 15 aprile 2020, Papa Francesco apriva la Santa Messa mattutina, trasmessa in streaming da Casa Santa Marta, chiedendo di pregare “per tutti gli anziani, specialmente per coloro che sono isolati o nelle case di riposo”. “Loro hanno paura - aggiungeva il Papa - paura di morire da soli”.
Proprio per permettere ai familiari dei malati l'accesso agli ospedali, alle case di cura e alle Residenze sanitarie assistenziali, nel rispetto delle misure anti-Covid, la Giunta regionale della Toscana, in Italia, ha approvato il 22 dicembre scorso una delibera su proposta degli assessori alla sanità e al sociale. Il provvedimento – che restringe questa possibilità ai malati gravi o gravissimi - detta linee guida alle Asl e alle strutture sanitarie e parasanitarie e precisa come i protocolli che autorizzano le visite debbano essere applicati nel più breve tempo possibile. Di delibera innovativa hanno parlato padre Guidalberto Bormolini dell’associazione Tuttoèvita Onlus e Giampaolo Donzelli della Fondazione Meyer che avevano promosso l’adozione del provvedimento. “È una scelta – ha spiegato padre Bormolini – che tiene infatti conto di come la vicinanza sia parte del processo di cura, in un approccio globale alla malattia”. L’importanza della decisione della Regione Toscana, nella prospettiva dell’umanizzazione delle cure, è stata sottolineata ai microfoni di Radio Vaticana Italia, dall’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita e alla guida della Commissione per la riforma dell’assistenza della popolazione anziana, istituita dal Ministero della Salute italiano. Ecco la trascrizione del suo intervento.
R.- È un’eccellente iniziativa che io ho voluto sottolineare e che mi ha aiutato anche a preparare una circolare nazionale del Ministro della Salute Roberto Speranza perché si permettesse a tutti i familiari e volontari di visitare, ovviamente in totale sicurezza, i propri parenti e amici nelle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) per le persone anziane. Credo sia una questione di civiltà e di umanità. Anche perché, va ricordato, non si muore solo di Covid, si muore anche di solitudine e di abbandono. Io ho ricevuto moltissime lettere - alcune anche da parenti di ricoverati in Rsa guidate da sacerdoti – e tutte chiedono che i propri familiari possano essere visitati, consolati e anche confortati anche con i sacramenti. Sono convinto che questa iniziativa, non solo per il tempo di Natale, sia davvero provvidenziale. È insopportabile, non solo il numero dei morti - che continua ad essere piuttosto elevato - ma anche il fatto che dal mese di marzo, tantissimi di questi malati, non ricevono nessuno, sono nella solitudine e nell'abbandono. Vivono come relegati in un altro pianeta, senza affetti, a parte quello ovviamente lodevole degli operatori sanitari. Ma come può un genitore ammalato non vedere per nove mesi un figlio, un amico? E, viceversa, come possono i familiari vivere tranquillamente o con serenità senza vedere mai i propri congiunti malati? In questo senso, l’iniziativa della Regione Toscana è davvero esemplare e io mi augurerei che in tutta l'Italia, anzi in tutta Europa e nel mondo, fosse possibile una visita a questi malati, una visita che, tra l’altro, per noi cattolici, credenti è parte delle opere di misericordia.
Dunque voler umanizzare le cure non è richiedere un lusso, qualcosa di superfluo, ma qualcosa di essenziale...
R.- Assolutamente! Io sono convinto che il prendersi cura, in tutti i suoi aspetti, compreso quello della relazione oltre che dell'attenzione e delle cure mediche, sia una delle dimensioni cruciali di quel nuovo umanesimo che vogliamo si realizzi all'inizio di questo nuovo millennio. Sarebbe davvero crudele una società che allunga la vita delle persone – visto che per fortuna tutti viviamo in condizioni normali quindici o vent’anni in più rispetto al passato - ma ci condanna drammaticamente a vivere questi vent’anni nell’abbandono e nella solitudine o peggio rinchiusi in degli istituti. Questa contraddizione che sta emergendo deve essere sanata, proprio per rendere davvero umana la società che vogliamo costruire. Non possiamo abbandonare i nostri anziani perché sarebbe, tra l'altro, un esempio di crudeltà che daremmo ai più giovani, ai più piccoli. Se i nostri ragazzi, i nostri giovani, dovessero vedere una società che scarta o che riduce delle persone a dei rifiuti – come ama ricordare Papa Francesco - daremmo loro davvero un pessimo insegnamento. In questo senso c'è una responsabilità verso gli anziani, ma anche verso l'intera società, perché il prendersi cura vicendevole è il cuore della vita. Non a caso Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata della Pace di quest'anno ha legato il “prendersi cura” persino al tema della pace.
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