Tempo di conversione: guarire dal protagonismo
Antonella Palermo - Città del Vaticano
La lectio di oggi realizzata nel cammino di Quaresima da monsignor Morandi, segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, si sofferma sulle nostre infermità e muove dal capitolo 21 del Vangelo di Marco in cui Gesù è a Cafarnao. Qui ci viene offerto uno spaccato, una anteprima del suo ministero pubblico.
La parola di Gesù rivela ciò che siamo
Monsignor Morandi avverte che, dinanzi a Gesù, il male deve riconoscere la propria impotenza e invita a cogliere la differenza sostanziale tra lo stile di insegnamento di Gesù e quello usato dagli scribi. L’accento viene posto sulla sua autorità (exousia). Il senso del termine ha a che fare con la consapevolezza che nella parola di insegnamento di Gesù si rivela ciò che egli è ma anche ciò che siamo noi. E’ significativo – spiega il presule - che la sua presenza nella sinagoga rivela ciò che l’uomo ha nel cuore e dunque, nella misura in cui lasciamo che Gesù ci parli, emerge dal profondo la nostra natura. Noi ci nascondiamo, alle volte, prendiamo le distanze dalla frequentazione della Parola di Dio, adducendo la giustificazione della mancanza di tempo che invece, spesso, è un alibi.
Guarire dal nostro protagonismo
“La realtà è che abbiamo paura che la Parola vada a rovistare negli angoli della nostra vita più nascosti che noi proteggiamo”, scandisce il segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, il quale precisa che la parola di Dio è una spada fino al punto di divisione dell’anima e nessuno può nascondersi. “Noi siamo esperti nell’arte del compromesso - sottolinea ancora - invece capiamo che non si possono servire due padroni e che la vera malattia da cui dobbiamo guarire è il nostro protagonismo”. Se entriamo in relazione con Cristo, c’è un mondo che va in rovina, è il mondo delle passioni disordinate. Monsignor Morandi cita San Massimo il Confessore, quando parla della ϕιλαυτία (filautia), ovvero dell’amore sbagliato, dell’amore eccessivo di sé. Ciò genera infelicità in noi ma anche in chi ci incontra e ci vede sterili. Gesù si potrà proclamare figlio di Dio solo sotto la croce. Qui il vero ribaltamento di prospettiva.
L’autorevolezza di Gesù
“Essere autorevoli è quando la tua vita è esattamente trasparente, in linea con ciò che è nel profondo del cuore. Allora la parola è il frutto di questa intimità, del camminare insieme al Signore”, spiega il presule, che mette in guardia da un rischio: se non siamo autorevoli, finiamo con l’essere autoritari. L’autorevolezza è una parola che esce dalle profondità del nostro essere ed è l’espressione della comunione con Dio. Gesù dirà, nel Vangelo di Matteo, che di ogni parola inutile noi renderemo conto a Dio, letteralmente di ogni parola priva di energia, quella che invece possiede la parola realmente ascoltata, meditata e assimilata dall’uomo.
Il legame tra guarigione e servizio
La scena si sposta alla casa di Simone. La suocera di Pietro è a letto malata, viene guarita. “C’è un legame tra guarigione e servizio”, spiega ancora Monsignor Morandi. La donna guarita, infatti, subito serve: è questo l’approdo dell’esperienza di salvezza. Il presule descrive il crescendo della narrazione di Marco in cui si arriva a una folla che porta da Gesù anche gli indemoniati. “In qualunque modo il male si manifesta viene sconfitto. Tante volte noi siamo rassegnati e riteniamo che sia impossibile cambiare la nostra vita”, sottolinea, accennando a tutti quei propositi di cambiamento spesso inesorabilmente naufragati. A questo proposito, il segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede cita un importante autore spirituale che diceva che le schiavitù più grandi sono quelle dalle quali non vogliamo essere liberati. Anche Sant’Agostino, nelle Confessioni, racconta che lui chiedeva con insistenza il dono della continenza ma aggiungeva: non darmelo subito. Siamo anche noi così. “Noi tante volte non desideriamo di cambiare. Gesù invece fa nuove tutte le cose”, chiosa il presule.
Nella preghiera è l’energia della parola che salva
La giornata di Gesù termina con la preghiera in un luogo deserto. Ecco centrata la sorgente del suo ministero così efficace: la relazione con il Padre. E’ nella preghiera che l’autorità si consolida. “Alle volte pensiamo di poter vivere di rendita. Diciamo le preghiere ma magari sono distratte e non riescono a penetrare davvero nel nostro cuore. Invece quando curiamo il rapporto con il Signore, allora cresce la sua presenza e le sue parole diventano efficaci e attecchiscono in profondità”. Il dono da invocare in questo tempo forte di Quaresima – conclude monsignor Morandi – è proprio di coltivare un’autentica preghiera, ritagliando tempi privilegiati per sperimentare quanto è buono il Signore.
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