Ruffini: la radio ha le parole giuste per raccontare il mondo
PAOLO RUFFINI
Radio Vaticana compie oggi 90 anni. Gli anniversari sono sempre tempo di bilanci, di programmi. Fare memoria ci fa bene; perché solo mantenendo vivo il passato si possono costruire cose nuove che non siano fondate sulla sabbia. La nostra storia, le nostre storie, sono le nostre fondamenta. Fare memoria ci fa bene; perché solo così possiamo tracciare la rotta senza cadere nella trappola di chi (come diceva Kierkegaard) la scambia con il menu del giorno. Fare memoria significa da un lato valorizzare la ricchezza del passato e dall’altro generare il futuro.
La ricchezza della Radio Vaticana che oggi celebriamo è la sua apertura al mondo, così diverso eppure unico, unito, interconnesso. È la cattolicità nel vero senso della parola. Ciò che la caratterizza è la consapevolezza, incisa nel suo DNA, di essere una grande comunità internazionale, multiculturale; unita dal suo essere al servizio della missione del Papa, dal compito di portare la sua parola nel mondo, nelle lingue del mondo.
È l'autorevolezza, l'identità ben definita, l’essere un punto di riferimento. È l'attenzione ai senza voce, alle situazioni dimenticate, il rispetto per la pluralità delle culture e delle opinioni. La fede – ripete spesso Papa Francesco – si trasmette in dialetto. E la Radio Vaticana parla davvero come ci ha esortato a fare San Paolo VI la lingua di chi ascolta. È l’emittente internazionale che parla più lingue al mondo (41), preservando il suo linguaggio digitale dalla piattezza di una comunicazione senza profondità. Questa è la sua frontiera.
Oggi ci si può accontentare del paradigma tecnocratico, o si può cercare di costruire proprio attraverso la comunicazione un mondo più a misura d’uomo. Ci si può accontentare di una connessione sterile; oppure si può cercare una comunicazione vera. Si può credere nella conversazione sincera che porta alla condivisione, oppure nel marketing delle opinioni, degli slogan. In questo senso il metodo della radio può essere misura, metro di paragone. La radio è una grande scuola di giornalismo. Sa usare le parole giuste. Sa coniugare i riflessi pronti con le riflessioni. In questo senso l’era digitale non sancisce la fine della radio. Semmai il contrario.
Il progetto che parte oggi delle web radio trasforma i nostri programmi, nelle diverse lingue, in vere e proprie radio, ciascuna con un suo palinsesto. E fa di ogni smartphone in una piccola radio. Grazie alle nuove tecnologie la radio, pur rimanendo un mezzo a bassa definizione, ha perfezionato la sua capacità di raggiungere ognuno, e di raccontare, in profondità. Ma non ha rinunciato alla sua essenza.
La radio è bella perché ti entra nel profondo, perché senti la voce. Ti concentri sulla voce. La radio non va di fretta. Chiede attenzione. Rispetta le parole, le lascia parlare. Laddove la civiltà delle immagini finisce con il confondere realtà e finzione, la radio non occupa la scena, la racconta. Non crea scenografie, le trova. Sta qui il paradosso: che abbiamo comunque bisogno della profondità della parola. A certe immagini manca l'ombra, lo spessore, manca la capacità evocativa della parola nuda.
Conosciamo già il successo dei podcast. Abbiamo visto come anche i social più recenti cerchino nella parola parlata il segreto di un nuovo inizio. La parola detta e ascoltata è un antidoto fortissimo alla deriva mortale della pigrizia telematica. La frontiera di Radio Vaticana, per quanto riguarda l'informazione, rimane quella di essere la fonte prima del magistero del Papa e lo scrigno di una memoria collettiva. È creare con Pietro, intorno a Pietro, non una torre di Babele ma una comunione di pietre vive, un edificio di pietre vive (cf. 1 Pt 2,5).
Il suo compito è quello descritto da San Paolo nella lettera ai Romani (Rom 10,18): “Per tutta la terra è corsa la loro voce, e fino ai confini del mondo le loro parole”. La sua ambizione mite è quella far sentire i tanti che la seguono, e sono milioni oggi anche attraverso il web e i social, protagonisti in prima linea di quell'avventura collettiva che è la storia che si fa, e che ha bisogno di una lettura cristiana per essere capita. Di coinvolgerli, insomma, anziché lasciarli solo spettatori.
L’obiettivo futuro non è puntare su una bulimia di idee brillanti, o coltivare l’ossessione di risultati immediati, ma non è nemmeno cedere alla tentazione di pensare che condividere sia un optional. È ambire (al di là del puro dato numerico degli ascolti) a continuare ad essere un punto di riferimento, capace di interpellare, scuotere le coscienze, sorprendere, cercando una condivisione vera, una comunione. È passare dalla logica della trasmissione, a quella della relazione; far parlare le periferie dal centro, dall’origine dell’informazione vaticana, costruire una rete fondata sulla Parola.
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