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A un Passetto dalla salvezza

La storia del tassista romano Cesare Cecchini che in tempo di guerra aiutò ricercati e perseguitati - considerandoli come fratelli - a trovare rifugio in Vaticano. La racconta a Vatican News la figlia Antonietta, tornando nella casa dove ha vissuto per quasi trent’anni, le cui finestre distano solo tre metri dalle mura vaticane

Andrea De Angelis, Franco Piroli – Città del Vaticano

Una vecchia asse di legno che nel buio delle fredde notti di guerra spunta da una finestra di via del Mascherino e s'insinua tra le merlature del Passetto di Borgo. Il muraglione, realizzato nel XIII secolo per permettere la fuga del Papa dal Vaticano, diventava così la via attraverso la quale uomini braccati dai nazisti e dai fascisti si rifugiavano Oltretevere per aver salva la vita. Che decine di perseguitati tra il 1943 e il 1944 siano stati accolti in Vaticano, nascosti nelle abitazioni di prelati e monsignori, o arruolati nella Guardia Palatina, è un fatto documentato. Oggi un frammento di storia riemerge dalla memoria di una anziana donna che visse bambina quegli eventi.

Buio e silenzio

Tre metri e quaranta centimetri. Questo lo spazio che separa l’edificio di via Mascherino dal Passetto. Una distanza da percorrere in leggera salita, su una tavola di legno lunga cinque metri. Quanto basta per adagiarla alle due estremità, permettendo alla persona di passare così, in pochi secondi, dall’Italia al Vaticano. Rigorosamente di notte, quando la luce cela i contorni di persone ed oggetti. Nel silenzio assoluto, indispensabile anche nella preparazione del nobile piano. Tutto questo accadeva, a più riprese, nell’inverno a cavallo tra il 1943 ed il 1944. Quello dell’occupazione nazista.

La ricostruzione dell'asse di legno che collegava casa Cecchini al Passetto
La ricostruzione dell'asse di legno che collegava casa Cecchini al Passetto

La salita verso la salvezza

“A volte al mattino c’erano persone in cucina che non avevo mai visto, di certo non la sera prima, quando ero andata a dormire. Stavano con noi a tavola, mangiavano e parlavano con i miei genitori. Chiedevo a papà chi fossero, ma non ricevevo risposta. Poi la mattina dopo non c’erano più”. Inizia così il racconto a Vatican News di Antonietta Cecchini, ottantaduenne, all’epoca una bambina di cinque anni. “Faceva freddo, era inverno, ricordo il braciere in cucina. Quelle persone le vedevo, mi salutavano ed il giorno dopo - prosegue - erano andate via. Sempre volti nuovi”.

Erano persone perseguitate

“Una volta, saranno state le otto di sera, vidi bene - ricorda - quella tavola di legno che era messa in modo da andare dalla finestra della cucina fino al Passetto. Ma anche in quella occasione i miei genitori non mi spiegarono cosa stavano facendo”. “Qualche anno dopo, non ero ancora maggiorenne, chiesi di nuovo a papà cosa facesse con quella tavola, perché a casa vedevo di tanto in tanto persone sconosciute, e sempre per poche ore. In quell’occasione mi disse - afferma la figlia Antonietta, non nascondendo la commozione - che erano persone da salvare e che dovevo continuare a non parlarne con nessuno”.

Antonietta Cecchini affacciata alla finestra della cucina, oggi sede dell'Ispettorato vaticano
Antonietta Cecchini affacciata alla finestra della cucina, oggi sede dell'Ispettorato vaticano

Coraggio e prudenza

“Mio nonno era un uomo che ripudiava la violenza ed amava ragionare. Il suo operato, quella tavola di legno fu un atto di grande coraggio”. Sono queste le parole con cui Stefano Cecchini, nipote di Cesare, descrive quei salvataggi. “Era un uomo che amava tenere un basso profilo, un grande lavoratore, che pur non avendo mai avuto la tessera del partito fascista, non amava - sottolinea - manifestare in pubblico le sue idee”. Una prudenza che si rivelò fondamentale per la buona riuscita di quel piano, dalle finestre della cucina o del bagno fino al Passetto. Con l’ausilio della moglie, Natalina, di professione portantina al Policlinico di Roma.

Quella casa oggi è sede dell’Ispettorato

In quella casa la famiglia Cecchini ha vissuto fino agli Anni ‘60, ma mai nessuno ha raccontato quelle vicende. Il timore di subire ritorsioni e violenze ha prevalso ed ancora oggi si intravede negli occhi della signora Antonietta. Adesso questo edificio è la sede dell’Ispettorato di pubblica sicurezza Vaticano. Il Dirigente Generale, Luigi Carnevale, è stato tra i primi a conoscere la storia della famiglia Cecchini, grazie a una segnalazione di monsignor Luigi Mistò. “Lo scorso settembre (2020, ndr) mi è stata segnalata questa storia, poi ho incontrato la signora Antonietta Cecchini ed il nipote, Stefano”, racconta ai nostri microfoni. “Una storia che rasenta l’eroismo, avvenuta in dei locali che oggi - sottolinea - ospitano gli uffici di chi è deputato a stare vicino a chi ha bisogno”. “In una delle ultime udienze del Papa all’Ispettorato Vaticano, Francesco ci ha chiesto di essere custodi non solo dei luoghi sacri affidati alla nostra vigilanza, ma anche delle radici della civiltà. Questa storia - conclude - ci permette di rendere omaggio alla memoria di questi episodi di grande nobiltà d’animo e generosità”.

Cesare Cecchini
Cesare Cecchini

Dal Passetto in Vaticano

Il passaggio lungo in Passetto conduce alla Prima Loggia del Palazzo Apostolico. Sono decine le persone messe al sicuro in Vaticano tra il 1943 ed il 1944. Nel decimo volume degli Actes et Documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale - una raccolta di undici volumi di documenti provenienti dagli archivi storici del Vaticano, relativi al papato di Papa Pio XII durante il secondo conflitto mondiale - si legge una relazione di monsignor Guido Anichini, canonico di San Pietro dal 1928, sui rifugiati nei locali dei canonici di San Pietro, in Vaticano, datata 13 febbraio 1944. “La paterna bontà della Santità Vostra, manifestatasi ancora una volta in modo così commovente, mi fa sentire - scriveva Anichini rivolto a Pio XII - il dovere di esporre figlialmente quanto è avvenuto, dato per fatto mio e di alcuni miei colleghi Canonici di S. Pietro, per venire incontro a perseguitati di vario genere accogliendoli nei locali della Canonica”. “Quando io, il primo novembre scorso potei finalmente ritornare a Roma […], trovai che nella Canonica che si ritiene terreno a sé, posto sotto la particolare giurisdizione del Cardinale Arciprete, erano già stati accolti non pochi individui, che si ritenevano minacciati gravemente nella vita, per cui anch'io ritenni di non dovermi rifiutare a ricevere in casa persone pericolanti e congiunti di chi era stato autore del mio felice ritorno”. Da novembre ’43 a febbraio ’44: sono i mesi invernali durante i quali, secondo la signora Antonietta, si sarebbe registrato quello strano via vai in casa sua e quel passaggio nottetempo.

Persone colpite dai decreti razziali

“Successivamente - si legge nel documento di monsignor Anichini - altri casi urgenti e gravi si verificavano, specie di gente colpita dai decreti razziali, e per questo in varie abitazioni Canonicali furono accettati nuovi ospiti a titolo sempre di fraterna caria”. Segue una lunga lista di persone, a partire da un signore di Adri e la sua famiglia, “il quale pur essendo di religione cattolica non ha quanto basta per essere considerato ariano e perciò è attivamente ricercato per essere spedito in Polonia”, e “presso monsignor Fioretti i suoi genitori, anch'essi cattolici, sfollati, fatti segno a spietata persecuzione perché non ariani”. L’elenco prosegue e comprende un ufficiale del Regio Esercito, “in pericolo di essere fucilato per motivi politici”, un funzionario del Ministero dell’Interno “che ha rifiutato il nuovo regime”, ed ancora diverse persone “ricercate attivamente per pretesti razziali e motivi politico-militari”. Tra queste, forse qualcuna potrebbe essere giunta in Vaticano percorrendo proprio quell’asse di legno che dalla casa della famiglia Cecchini conduceva al Passetto.

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02 febbraio 2021, 08:00