Patti Lateranensi, il valore duraturo di un accordo
L’Osservatore Romano
La ricorrenza annuale dei Patti lateranensi invita a riflettere sul significato che essi hanno avuto ed hanno nel contesto nazionale e nelle proiezioni internazionali. Difatti il Trattato e il Concordato tra la Santa Sede e l’Italia non sono consegnati agli archivi della storia per segnalare il ricordo della fine del un conflitto tra la Chiesa e l’Italia, sorto con l’occupazione di Roma e la fine dello Stato pontificio, ma già all’atto della sottoscrizione, nel 1929, sanato nel tessuto vivo della comunità nazionale.
La finalità del Trattato, di superare quel “dissidio” e assicurare alla Santa Sede “l’assoluta indipendenza per l’adempimento della Sua alta missione nel mondo”, in modo da “garantirLe una sovranità indiscutibile pur nel campo internazionale”, per usare espressioni dello stesso Trattato, è stata raggiunta anche grazie alla costituzione della Città del Vaticano, come Stato con un piccolissimo territorio integrato da altre immunità. Una garanzia la cui efficacia ha superato anche la dura prova della seconda guerra mondiale e dell’occupazione militare di Roma, consentendo, tra l’altro, di offrire protezione e rifugio, indipendentemente dalla fede religiosa, a chi era perseguitato o rischiava una tragica deportazione.
Il Concordato aveva consentito alla Chiesa di conservare uno spazio di libertà, non privo di conflitti con il regime autoritario, particolarmente vivaci nell’ambito della educazione e delle associazioni giovanili. Nella FUCI i fermenti culturali diffusi o curati dal Mons. Montini, il futuro Paolo VI, avrebbero caratterizzato la formazione di molti giovani che si sarebbero poi impegnati nelle istituzioni e nella vita politica del Paese.
I Patti lateranensi non sono significativi di un evento circoscritto in una fase storica conclusa. Averli richiamati nella Costituzione repubblicana, assicurando la loro stabilità, ne sottolinea la permanente rispondenza all’interesse del Paese. L’articolo 7 prevede che solo l’accordo delle Parti può determinarne le modificazioni, attribuendo così una garanzia costituzionale al Trattato e confermando il sistema pattizio nelle relazioni tra Stato e Chiesa in Italia, regolate con il Concordato. Alla garanzia della conservazione della disciplina esistente, si unisce l’apertura alle innovazioni che le Parti convenissero di apportare.
Sul piano internazionale l’assetto delineato dal Trattato, di uno Stato minimo legato funzionalmente alla Santa Sede, garantendone l’indipendenza e la sovranità, ne ha agevolato l’azione nelle relazioni con gli Stati e la partecipazione alle Organizzazioni internazionali, per l’esercizio non già di un potere temporale, bensì di un magistero e di una autorevolezza mondiali.
L’aspetto dinamico, previsto dalla Costituzione, ha trovato espressione nel 1984 con l’Accordo di revisione del Concordato, destinato ad adeguarne il contenuto ai principi costituzionali ed alle impostazioni del Concilio, con riferimento sia alle libertà della persona e delle comunità in materia religiosa, contenute nella Dichiarazione Dignitatis humanae, sia alle relazioni tra la Chiesa e la comunità politica, delineate dal paragrafo 76 della Costituzione pastorale Gaudium et spes.
Le libertà ecclesiastiche sono riconosciute e si inseriscono nel contesto di un ordinamento statale democratico e pluralista, che garantisce la libertà religiosa in tutti i suoi aspetti, individuale, collettivo e istituzionale. Alla Chiesa cattolica l’Accordo riconosce in modo specifico “la libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa, caritativa, di evangelizzazione e di santificazione”, e in particolare assicura “la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica”. Questa analitica elencazione non è la espressione di un privilegio, piuttosto è la specificazione di libertà che radicano anche nella Costituzione.
Tutte le disposizioni concordatarie trovano la loro base nel principio, enunciato con formule simili dalla Gaudium et spes e dalla Costituzione, che lo Stato e la Chiesa sono ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani. Ne deriva la convergenza nella disciplina delle loro relazioni e l’impegno “alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese”, che caratterizza l’Accordo di revisione del Concordato.
Avvertiamo tutti il valore di questa collaborazione nella concretezza delle situazioni che il Paese attraversa e che vedono la Chiesa impegnata, con tutte le sue componenti, ad accogliere, assistere e sostenere i più deboli, in una visione non meramente occasionale e contingente, ma indirizzata ad una fraternità che sollecita “un cambiamento nei cuori umani, nelle abitudini e negli stili di vita”.
L’Enciclica di Papa Francesco Fratelli tutti avverte che “ci sono cose che devono essere cambiate con reimpostazioni di fondo e trasformazioni importanti”. Non si tratta di elaborare e proporre un progetto politico, che pure “in momenti di difficoltà deve essere orientato sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine”. Questo è compito proprio della politica, la cui autonomia la Chiesa rispetta, ma “non relega la propria missione nell’ambito privato: al contrario ‘non può e non deve neanche restare ai margini’ nella costruzione di un mondo migliore, né trascurare di ‘risvegliare le forze spirituali’ che possano fecondare tutta la vita sociale”. Dunque una collaborazione tra lo Stato e la Chiesa che muove, appunto, nella distinzione degli ordini per il bene del Paese.
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