Gasbarri: a 90 anni la Radio Vaticana è ancora uno strumento insostituibile
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Ha lasciato la Radio Vaticana cinque anni fa da innamorato, ricordando il primo incontro, alla fine del 1969, quando “io avevo 23 anni e lei 38, ma fu amore a prima vista”. E ancora oggi, da ascoltatore e osservatore esterno, Alberto Gasbarri parla di questa signora di 90 anni come di “uno strumento insostituibile nella sua specificità”, che anche grazie all’evoluzione nella multimedialità, ha consolidato “proprio in epoca di pandemia”, il ruolo di “elemento indispensabile del mondo globalizzato”.
Classe 1946, laurea in Scienze economiche e commerciali
Con oltre 46 anni di servizio, entrato come tecnico del suono e uscito da direttore amministrativo e organizzatore dei viaggi apostolici di Papa Francesco (e prima di san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI), questo alto e sempre elegantissimo 75 enne, con una laurea in Scienze economiche e commerciali alla Sapienza, sposato e padre di due figli, è uno dei testimoni privilegiati dell’evoluzione di quella che chiama “l’emittente pontificia”.
La copertura dei grandi eventi, un "vivere nella storia"
Il penultimo giorno di lavoro, il 28 febbraio 2016, in una delle rarissime interviste concesse, Gasbarri ricordava i momenti più belli, come “la copertura radiofonica dei grandi eventi”, dal Giubileo del 1975 ai due conclavi del 1978, dall’Anno Santo del 2000 fino all’elezione di Papa Francesco nel 2013, “che ti fanno sentire di vivere nella storia”. Ma anche i più brutti, come l’attentato a san Giovanni Paolo II nel 1981, la sua lunga agonia e morte e poi “il senso di vuoto” al momento della rinuncia di Benedetto XVI. E l’”attacco strumentale” delle “ingiuste accuse di creare condizioni di pericolo” con le trasmissioni in onde corte e medie da Santa Maria di Galeria.
Una comunità di persone di più di 60 nazionalità diverse
Oggi, di questi 90 anni della Radio Vaticana, vuol ricordare il “costante sforzo di aggiornamento tecnologico”, cercando sempre di dare la massima “efficacia” alle “limitate risorse umane ed economiche disponibili”. Ma anche la “trasparenza amministrativa” e la rigorosa correttezza di gestione” condivise con i padri gesuiti, che hanno permesso di far rendere al meglio” la ricchezza qualitativa dell’emittente”, quella “comunità di persone” di circa 60 nazionalità diverse, “meticolosamente ricercate, selezionate e formate per produrre comunicazione condividendo motivazioni e obiettivi”.
I viaggi dei Papi: una missione legata alla comunicazione
E poi gli anni nei quali “alle trasmissioni di catechesi e di diffusione della parola del Papa” si aggiunse “l’informazione internazionale”, generando così “un flusso informativo bidirezionale, dal centro della cattolicità verso le periferie e dalle Chiese locali verso Roma”. Infine, naturalmente, l’esperienza nella preparazione dei viaggi pontifici, da giovane collaboratore di padre Roberto Tucci a primo organizzatore laico dei pellegrinaggi dal 2005 al 2016, che gli ha insegnato “che la missione itinerante dei Papi è estremamente connessa con la comunicazione”. Anche quando si tratta di inventare un sistema di ripresa e diffusione sonora nella cabina di un aereo, a 10 mila metri d’altezza, per rendere possibili le conferenze stampa in volo di Papa Wojtyla.
Radio Vaticana, un ruolo rafforzato durante la pandemia
Ma la nostra conversazione con Alberto Gasbarri comincia dall’oggi. Gli chiediamo se apprezza gli sforzi per essere davvero “la radio che ti ascolta”, più vicina agli ascoltatori, e l’evoluzione multimediale con l’avvento del portale web e dei social.
R. - Penso che la Radio Vaticana, come tante altre radio nazionali o internazionali, continui ad essere uno strumento insostituibile nella sua specificità. Perché la multimedialità è una evoluzione che dovrebbe servire ad arricchire e adeguare i mezzi di comunicazione ai ritmi, ai costumi e alle esigenze della modernità. Ma conservando le qualità e la natura di ciascuno strumento per raggiungere i rispettivi obiettivi, moltiplicando e migliorando le vie di comunicazione che hanno consolidato, proprio in epoca di pandemia, il ruolo di elemento indispensabile del mondo globalizzato. In questo senso ritengo che la Radio Vaticana stia facendo un percorso di rinnovamento, per affiancare ed alimentare le nuove componenti mediatiche digitali nella missione evangelizzatrice.
Lei ha lavorato alla Radio Vaticana dalla fine del 1969 al 2016, da operatore tecnico a direttore amministrativo, e dal 2005 al 2007 è stato anche direttore tecnico. L’attenzione a sfruttare le nuove tecnologie e i nuovi spazi comunicativi per portare nel mondo la voce del Papa e della Chiesa e i contenuti di valore, i valori del Vangelo, è sempre stata una costante?
R. - L’emittente pontificia è sempre stata guidata da un costante sforzo di aggiornamento tecnologico, perchè stimolata incessantemente dal confronto in ambito internazionale con stazioni radiofoniche dotate di alta professionalità, notevoli dimensioni e ingenti risorse economiche. La ricerca continua dell’efficienza tecnica era quindi un traguardo irrinunciabile per portare la voce del Papa e il suo messaggio in tutto il mondo, cercando di conferire maggiore efficacia all’impiego delle limitate risorse umane ed economiche disponibili. Mi piace qui ricordare la preziosa opera svolta da padre Stefanizzi, recentemente scomparso, che per circa 20 anni si prodigò con grande competenza tecnica e autorevolezza internazionale, in particolare nei difficili tempi della “guerra” delle potenze radiofoniche, per tenere alto il prestigio della Radio Vaticana, sia in alta che bassa frequenza. L’avvento dell’informatica e del digitale hanno poi rappresentato una opportunità straordinaria per trasformare i metodi di lavoro, passando dalle telescriventi ai tablet. Vorrei anche ricordare che, grazie alle capacità e dedizione di alcuni tecnici del suono, l’emittente pontificia dispone di un piccolo ma prezioso museo che racconta con cimeli e strumenti la sua storia e quella del mezzo radiofonico.
Per 34 anni, dal 1982 al 2016, lei ha viaggiato con i Papi, prima come collaboratore di padre Tucci e poi come responsabile dell’organizzazione dei pellegrinaggi dei Pontefici. Come vedevano le Chiese locali e le autorità dei diversi Paesi questo servizio della Radio Vaticana?
R. - L’esperienza nell’organizzazione dei viaggi pontifici mi ha insegnato che la missione itinerante dei Papi è estremamente connessa con la comunicazione. Questo legame era particolarmente avvertito da padre Tucci il quale, grazie alla sua straordinaria sensibilità nel campo della comunicazione, insieme a padre Borgomeo, impostò fin dall’inizio un servizio di copertura radiofonica per le Chiese locali, sia per alimentare i Paesi di destinazione dei viaggi sia per tenere informate le altre comunità cattoliche del mondo intero. Questo servizio, oltre ad essere stato particolarmente apprezzato, mi pare che abbia contribuito a sviluppare nelle diverse realtà locali l’esigenza di migliorare o di creare strutture di comunicazione efficienti in seno alle Conferenze episcopali dei vari Paesi.
Dal primo pellegrinaggio di san Paolo VI, nel 1964 in Terrasanta, con san Giovanni Paolo II, i viaggi dei Pontefici sono diventati frequenti e anche molto impegnativi per durata e spostamenti. Cosa ricorda, per flash, dei grandi sforzi organizzativi e tecnici della Radio Vaticana per raccontare questi pellegrinaggi in diretta, e quali episodi restano ancora nella sua memoria?
R. - I ricordi sono ovviamente numerosi. L’energia e la determinazione di san Giovanni Paolo II sono state una scossa rigeneratrice per tutte le strutture della Santa Sede e della Città del Vaticano che erano abituate a ritmi di lavoro stabilizzati nel tempo. Io arrivai alla Radio Vaticana alla fine del ‘69 e uno dei ricordi più vivi fu l’esperienza di lavoro per il nono ed ultimo viaggio apostolico del primo Papa viaggiatore: Papa Paolo VI. Nel novembre 1970, in dieci giorni, visitò Iran, Pakistan, Filippine, Samoa, Australia, Indonesia, Hong Kong e Sri Lanka. La Radio Vaticana, con immenso sforzo tecnico e produttivo, fu impegnata giorno e notte nella copertura del viaggio, che sembrò allora un’esperienza straordinaria e irripetibile. Per 8 anni non ci furono più viaggi apostolici: le condizioni di salute di san Paolo VI non gli consentirono più di viaggiare e di poter visitare il Messico, Paese che rimase per sempre nel suo cuore. Con l’avvento del pontificato di Giovanni Paolo II, nel 1978, ci si accorse subito che i ritmi erano cambiati e che ciò che era apparso unico e irripetibile sarebbe diventato la normalità. La frequenza e i programmi dei viaggi apostolici furono una sfida per tecnici e redattori della Radio Vaticana, che avrebbero assicurato la copertura degli eventi al limite delle possibilità. Uno degli episodi più critici fu vissuto in Nicaragua nel marzo del 1983 quando il regime sandinista tentò di censurare l’omelia del Santo Padre durante la celebrazione della Messa minacciando il tecnico della Radio Vaticana che stava assicurando ripresa e diffusione del suono.
Compito dei tecnici della Radio, fin dall’inizio dei viaggi, era infatti non solo quello di fornire il supporto tecnico agli inviati per la copertura informativa ma anche quello, come si diceva una volta, di “dare la voce al Papa”. In questo senso, un altro sforzo organizzativo connesso con i viaggi fu quello di trovare strumenti e modalità operative per consentire a Giovanni Paolo II di inventarsi le “conferenze stampa” in volo. Oggi sembra quasi una banalità ma 40 anni fa rappresentò una innovazione molto singolare. Le prime conversazioni del Santo Padre con i giornalisti in volo erano sporadici colloqui quasi bisbigliati e coperti dal rombo dei motori degli aerei, che nessuno riusciva a percepire. Occorreva sperimentare un sistema di ripresa e diffusione sonora nella cabina aerea a 10 mila metri di altitudine, in modo che tutti potessero parlare ed essere ascoltati, ma con un sistema che fosse perfettamente compatibile con le rigide disposizioni imposte dagli enti di aviazione civile, escludendo qualsiasi rischio di interferenza sui sistemi di navigazione aerea. Ecco, questo è un altro impegno che la Radio Vaticana ha sperimentato, applicato e tuttora assolve su qualsiasi tipo di aeromobile in volo intorno al mondo.
Sempre nei tumultuosi anni Settanta, lei ha vissuto da segretario di sede l’evoluzione della Radio da voce del magistero dei Papi a comunicatore autorevole dell’informazione internazionale. Ce la racconti…
R. - Dopo il Concilio Vaticano II, verso la fine degli anni 60, l’impulso dato da Papa Paolo VI alla produzione dei programmi linguistici generò anche un cambio di impostazione nei contenuti radiofonici. Alle trasmissioni di catechesi e di diffusione della parola del Papa si aggiunse l’informazione internazionale che generò negli anni un flusso informativo bidirezionale, dal centro della cattolicità verso le periferie e dalle Chiese locali verso Roma. Il carattere internazionale del sistema informativo fu poi implementato in occasione dell’Anno Santo del 1975 con la creazione del programma Quattrovoci, affidato a monsignor Pierfranco Pastore, che contribuì a riformulare l’impostazione di tutti i programmi linguistici. In questa stagione radiofonica furono protagoniste altre due grandi figure appartenenti alla Compagnia di Gesù, padre Jorge Blajot alla direzione dei programmi e padre Francesco Farusi alla direzione dei radiogiornali.
Dal 1994, prima come vicedirettore e poi come direttore amministrativo, fino alla pensione, lei, con i direttori gesuiti, ha gestito una risorsa fatta di 400 persone, nel momento più alto, di tutto il mondo. Come avete cercato di far fruttare al meglio la ricchezza di questa molteplicità di culture e di professionalità?
R. - Il numero che in valori assoluti potrebbe sembrare eccessivo era appena sufficiente a fronte delle circa 40 redazioni linguistiche che formavano la Radio Vaticana. Per i colleghi della Bbc e di altre radio internazionali eravamo una misera realtà numerica. Ma le risorse umane sono sempre state la ricchezza qualitativa dell’emittente. Una comunità di persone appartenenti mediamente a circa 60 nazionalità diverse, formata da religiosi, religiose, laici e laiche meticolosamente ricercate, selezionate e formate per produrre comunicazione condividendo motivazioni e obiettivi. Una minuscola rappresentazione dell’universo che a differenza delle grandi organizzazioni internazionali, che possono avere una medesima connotazione ma vantare dimensioni ben diverse, disponeva del particolare beneficio di poter infondere nei suoi membri il carattere della familiarità.
Tante risorse umane e tecnologiche costano, e i superiori ve lo hanno sempre fatto notare. Come avete cercato di tenere sotto controllo le spese e avere così un “bilancio di missione”, come si dice oggi, corretto?
R. - Questo è stato sempre un tasto dolente per la Radio Vaticana e per la comunicazione della Santa Sede in genere. La trasparenza amministrativa e la rigorosa correttezza di gestione, certificate ed apprezzate da organi di controllo esterno, hanno sempre compensato la destinazione delle risorse economiche necessarie per far camminare una macchina complessa come una radio internazionale. I costi di investimento e di gestione rappresentavano talvolta una realtà non rinviabile e che poteva minacciare la stessa sopravvivenza della struttura. Soprattutto quando in qualcuno poteva nascere la convinzione che la comunicazione fosse un elemento accessorio e che, in obbedienza a criteri di determinati modelli economici, il costo della sua eventuale esistenza dovesse essere spesato attraverso la creazione di equivalenti profitti. Ciò che può giustificare la vita di entità commerciali, non può corrispondere ad una struttura di servizio ecclesiale la cui missione sia quella della diffusione del Vangelo attraverso la comunicazione, naturale evoluzione ed integrazione della predicazione.
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