Verso una data comune per la Pasqua
di Kurt Koch
Domenica prossima le Chiese del cristianesimo orientale celebreranno la loro Pasqua. In questa prospettiva il patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme, sua beatitudine Teofilo III, ha rilasciato un’intervista a «L’Osservatore Romano» sul significato della Pasqua nella pietà e nella teologia orientale, intervista di cui siamo molto grati. A Gerusalemme, durante la festività pasquale, il fulcro dell’attenzione è senza dubbio la chiesa del Santo Sepolcro. La Pasqua è la festa della luce che, con la risurrezione di Gesù Cristo quale vittoria della vita sulla morte, illumina la camera oscura del sepolcro. Ciò trova espressione in modo particolarmente evidente a Gerusalemme nel tanto atteso miracolo del Fuoco Sacro nella chiesa del Santo Sepolcro, che si celebra alla presenza del patriarca di Gerusalemme e il cui profondo significato è stato illustrato da sua beatitudine Teofilo III nell’intervista.
Parlando di Pasqua nel cristianesimo orientale, emerge naturalmente anche la questione della differenza temporale tra la celebrazione della Pasqua in Oriente e in Occidente. Questa differenza è dovuta al fatto che le Chiese cristiane in Occidente, dal XVI secolo in poi, calcolano la data della Pasqua secondo il calendario gregoriano, introdotto da Papa Gregorio XIII tramite una fondamentale riforma; di conseguenza la Pasqua viene celebrata sempre la domenica che segue il primo plenilunio primaverile. Al contrario, le Chiese in Oriente seguono il calendario giuliano, che era in uso in tutta la Chiesa prima della riforma gregoriana e che fu utilizzato anche dal Concilio di Nicea nel 325.
Questo Concilio fu convocato dall’imperatore Costantino al fine di consolidare, davanti alla divisione dei cristiani dell’epoca, l’unità dell’impero sul fondamento della fede cristiana. A quel tempo, anche la data di Pasqua era controversa. I cristiani, specialmente in Asia Minore, celebravano sempre la Pasqua il 14 del mese di nisan, in concomitanza con la Pasqua ebraica, indipendentemente dal giorno della settimana; essi furono quindi chiamati quartodecimani. Al contrario, soprattutto i cristiani in Siria e in Mesopotamia, definiti proto-paschisti, celebravano la Pasqua la domenica successiva alla Pascha ebraica. È merito del primo Concilio ecumenico di Nicea l’aver saputo regolamentare in maniera uniforme la questione: «Tutti i fratelli e le sorelle d’Oriente che fino a oggi hanno celebrato la Pasqua con gli ebrei, d’ora in poi celebreranno la Pasqua in accordo con i romani, con voi e con tutti noi che l’abbiamo festeggiata con voi fin dai primi tempi». Con questa decisione venne abbandonata la data comune di Pasqua tra cristiani ed ebrei, e fu fissata la celebrazione della Pasqua cristiana nella domenica dopo la prima luna piena in primavera, e dopo la Pasqua ebraica.
Nel 2025 la cristianità celebrerà il 1700° anniversario del Concilio di Nicea e in quell’anno le Chiese d’Oriente e d’Occidente potranno celebrare la Pasqua nuovamente insieme, lo stesso giorno, il 20 aprile. È facilmente comprensibile dunque che si sia risvegliato il desiderio di sfruttare questo grande giubileo come una proficua opportunità per portare avanti gli sforzi verso il raggiungimento di una data comune della Pasqua cristiana nel futuro. Papa Francesco e il papa-patriarca copto ortodosso Tawadros II si sono ripetutamente espressi in questo senso. E l’arcivescovo greco-ortodosso Job Getcha, copresidente della Commissione internazionale mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, ha recentemente pubblicato una proposta specifica.
Nell’intervista sopra menzionata, sua beatitudine Teofilo iii si esprime nella stessa direzione. Ravvisa nello sforzo di trovare una data di Pasqua comune non solo un’importante priorità pastorale. Egli si dice profondamente convinto che la Pasqua è la festa più antica e più significativa della cristianità, che la fede cristiana sta o cade con la Pasqua e che una data comune di Pasqua potrebbe portare ulteriormente alla luce questa rilevanza fondamentale. Il patriarca di Gerusalemme esprime tale urgente desiderio in riferimento soprattutto al cammino ecumenico volto a ripristinare l’unità nella Chiesa cristiana in Oriente e in Occidente nella fede e nella carità.
Per questa ampia prospettiva sono particolarmente grato a sua beatitudine Teofilo III. E colgo molto volentieri l’occasione, anche a nome del Santo Padre Papa Francesco, per augurare a sua beatitudine, al patriarcato di Gerusalemme e a tutti i cristiani che celebreranno la loro Pasqua domenica prossima, una profonda esperienza del mistero pasquale della morte e risurrezione di Gesù Cristo, e la benedizione protettrice di Dio. Possa la luce del Fuoco Sacro portare nel mondo il bel messaggio che — soprattutto al tempo della pandemia — l’ultima parola non spetta alla morte, perché Dio riserva a sé l’ultima parola, che è vita: Christos Anesti, Alleluia!
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