Gallagher: già nel 1919 la Chiesa condannava la furia antisemita
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
Una migliore comprensione reciproca sul piano teologico “ma anche sociale e politico”. Sono i passi avanti registrati in questi anni tra Santa Sede e Stato d’Israele individuati dall'arcivescovo Paul Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, come testimonia proprio l’Accordo bilaterale con il quale sono state stabilite le relazioni diplomatiche. In occasione dell'odierna Giornata della Shoah (Yom HaShoah) che ricorre nel 27.mo giorno di Nissan del calendario ebraico, è stata portata avanti già da qualche mese la campagna #StopAntiSemitism, promossa dall’ambasciata di Israele presso la Santa Sede nell’ambito del 55.mo anniversario della Dichiarazione Nostra Aetate.
Un clima di pace e serenità
Nel suo intervento video, il presule ha messo in luce che proprio quel documento ha favorito la relazione tra il popolo d’Israele e la Chiesa cattolica, “un processo storico di riconciliazione e di comprensione reciproca frutto proprio di quel dialogo di cui Nostra Aetate parla”. Un confronto, ha sottolineato monsignor Gallagher, di cui si ha sempre bisogno e che “deve essere aperto e rispettoso così diventa fruttuoso”. “Il rispetto del diritto altrui alla vita e all’integrità fisica, alle libertà fondamentali, cioè libertà di coscienza, di pensiero, di espressione e di religione, ci permette di costruire insieme un clima di pace di fraternità come più volte richiamato da Papa Francesco nella sua enciclica Fratelli tutti”.
La condanna dell’antisemitismo
Nel suo intervento, il segretario per i Rapporti con gli Stati ha ribadito “la condanna dell’antisemitismo in ogni forma e specie”, contenuta nella Nostra Aetate. Una condanna “non apparsa improvvisamente”, ha spiegato, ma che è “il frutto di atteggiamenti maturati nel corso degli anni precedenti”. A rafforzare questo pensiero, il ritrovamento di “una piccola perla” nell’archivio storico della sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato. Si tratta di un carteggio del 1919 tra il Consiglio dei Rabbini Askenaziti di Gerusalemme e la Santa Sede, il Consiglio chiedeva aiuto a Benedetto XV perché usasse “tutta la sua influenza e forza spirituale per porre fine a atti di intolleranza e misure antisemitiche”, di cui erano vittime le comunità ebraiche in Europa Orientale.
La fraternità da non calpestare
Dunque “già nel 1919, tra queste nostre mura, circolava – ha spiegato monsignor Gallagher – la ferma convinzione che il principio di fraternità non poteva essere calpestato dalla furia antisemita e si auspicava che il diritto alla religione fosse rispettato”. Per il presule, quanto riportato è un esempio “di una goccia d’acqua in un mare” che fa ben comprendere come fosse chiaro che non si potesse “tollerare alcuna forma di antisemitismo” e che era necessario adoperarsi per contrastarlo. Un’azione incisiva come quella operata dall’allora nunzio apostolico in Ungheria, monsignor Angelo Rotta, riconosciuto come “Giusto tra le Nazioni” dallo Yad Vashem per il suo impegno nel sottrarre gli ebrei alla Shoah. Un’opera certosina e attenta che fu possibile – ha sottolineato Gallagher – grazie anche all’aiuto di monsignor Gennaro Verolino.
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