Buonomo: il beato Hernández offrì la vita per la pace dopo la Grande Guerra
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
“Un punto di riferimento” per studenti e docenti che si formano per diventare operatori di pace, ma soprattutto una figura da invocare in questo drammatico tempo della pandemia perché, in virtù della sua capacità di donarsi, cifra della sua vita e del lavoro di medico, possa favorire una diffusione universale del vaccino anti-Covid. Il rettore della Pontificia Università Lateranense, Vincenzo Buonomo, descrive con queste parole José Gregorio Hernández, il medico laico che domani sarà beatificato a Caracas, in Venezuela, e che Papa Francesco ha proclamato oggi compatrono del Ciclo di Studi in Scienze della Pace, istituito nel 2018 presso l’Ateneo del Laterano.
Professore, qual è il legame tra la figura di un dottore latinoamericano e un ciclo di studi sulla pace di un’Università pontificia?
R. - Normalmente la figura di José Gregorio Hernández è legata all’idea del medico dei poveri, a un culto radicato in tanti Paesi dell’America Latina, non soltanto in Venezuela, ed è conosciuto come colui che dava gratuitamente la sua professionalità senza ricevere alcun compenso, lavorava in ospedale incessantemente, poi fu inglobato in un gruppo di ricerca che studiò nuovi sistemi di cura per le malattie tropicali. Ma c’è un aspetto di questo beato che è forse poco noto e, cioè, che lui diede la sua vita per la pace.
In che senso diede la vita per la pace?
R. - Eravamo ancora durante la Prima Guerra mondiale, con le tante vittime che quella guerra provocò, e c’era lo spiraglio di quelli che poi sarebbero stati gli Accordi di Versailles che avrebbero chiuso la guerra e la possibilità, quindi, di poter porre fine non solo alla guerra combattuta ma anche al dopoguerra. José Gregorio, il giorno prima della morte, disse: “Do la mia vita per la pace nel mondo”. Poi capitò l’incidente nelle strade di Caracas, morì perché investito da un’autovettura che transitava mentre lui attraversava la strada. Ecco, in queste parole, "darei la mia vita per la pace", c’è l’idea del Papa di ancorare la sua figura a un percorso di formazione a servizio della Chiesa universale e a servizio anche delle singole Chiese particolari che prepara i cosiddetti operatori di pace. José Gregorio Hernández è stato un operatore di pace che si è impegnato sia come medico, ma anche come fedele che si rendeva conto della necessità di una pace effettiva tra le nazioni.
Che significato ha la proclamazione del beato come compatrono di Scienze della Pace per chi studia e lavora in questa facoltà voluta dal Papa?
R. - Per noi è un punto di riferimento. Organizzammo già qui all’Università un incontro al quale parteciparono il cardinale Porras e il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, per illustrare la figura di questo Servo di Dio. E, alla fine di quell’incontro, l’avvocato postulatore della causa di beatificazione diede l’informazione che la Congregazione per le Cause dei Santi aveva riconosciuto il miracolo. Tutti in quel momento dissero che il primo miracolo che lui aveva fatto era quello di aver portato la pace. Quindi, come dicevo, diventa un grande punto di riferimento per studenti e docenti che possono veicolare tale messaggio.
Parlava prima dell’impegno del beato per il contrasto delle malattie epidemiche. Di grande attualità, quindi, in questo tempo di pandemia…
R. - Il suo impegno nella ricerca medica, oltre che nell’esercizio della professione medica, è legato anche allo studio su malattie particolari, contagiose e tropicali. Credo che, in questo momento in cui stiamo vivendo l’esperienza del Covid-19, sia una possibilità di invocarne la protezione, di poterlo pregare perché illumini e continui a illuminare non soltanto quella che è la ricerca del vaccino, perché a quella ci si è giunti, ma soprattutto la possibilità di diffonderlo. Lui, aveva la capacità di donare a tutti, in questo momento abbiamo bisogno di un vaccino che diventi qualcosa di donato a tutti, alla famiglia umana universale.
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