Papa Francesco: usiamo i media per costruire e rafforzare il bene comune
Michele Raviart - Città del Vaticano
“Usiamo tutti gli strumenti che abbiamo, specialmente il potente strumento dei media, per costruire e rafforzare il bene comune”. Lo scrive il Papa nel tweet sull’account @pontifex in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa, celebrata dalle Nazioni Unite. L’invito di Francesco, ricordando anche la campagna di Signis, movimento cattolico che unisce i professionisti della comunicazione di oltre cento Paesi, è quello di impegnarsi a utilizzare i media per la pace.
L'impatto dell'informazione sulla pandemia
Il tema della giornata, “informazione come bene pubblico”, si legge nel sito dell’Unesco, “è di urgente rilevanza per tutti i Paesi del mondo”, in quanto si deve riconoscere “il cambiamento che il sistema di comunicazione sta avendo sulla nostra salute, sui diritti umani, sulle democrazie e sullo sviluppo sostenibile”.
Ue: il giornalismo è il vaccino contro l'infodemia
“In tempi di Covid-19 è più chiaro che mai che l'accesso a informazioni affidabili può essere una questione di vita o di morte. Eppure la cronaca è diventata un'odissea quotidiana. Il giornalismo è il vaccino contro l'infodemia, (cioè la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, ndr). Proteggiamolo", ha scritto sempre in un tweet il Servizio di azione esterna dell'Unione europea. Il giornalismo è il “vaccino principale” contro la disinformazione, ribadisce nell’ultimo rapporto Reporter senza frontiere, in cui si registra che in oltre 130 Paesi la stampa è “totalmente o parzialmente bloccata”.
Ruffini: siamo tutti responsabili di quello che comunichiamo
Sul tema dell’”informazione come bene pubblico” è intervenuto anche il prefetto del Dicastero per la Comunicazione Paolo Ruffini, ospite del programma “Radio Vaticana con voi”.
R. - Dire che l'informazione è un bene pubblico vuol dire che noi siamo le cose che comunichiamo. Si dice che l'informazione è potere, perchè, sulla base delle informazioni che riceviamo e condividiamo, ci formiamo delle opinioni e, se le informazioni non sono libere e non sono controllate, viene meno il bene pubblico della condivisione della verità, Naturalmente non c'è verità se non c'è libertà e non c'è libertà se non c'è responsabilità. Dire che l’informazione è un bene pubblico vuol dire essere tutti in qualche modo coinvolti a fare in modo che ci sia un'informazione plurale, ma anche che l'informazione sia fondata sulla costruzione di un valore comune, di un bene comune, che è dato dalla verità delle cose che si condividono. Garantire la libertà di stampa vuol dire garantire un sistema dove c'è libertà. Sicuramente c'è anche libertà di sbagliare, ma quello che unisce è il desiderio di mettere a fattor comune, a bene pubblico, la condivisione di informazioni vere.
Quest'anno con la pandemia ci siamo resi conto quanto poi l'informazione sia anche legata alla salute pubblica, perchè una corretta informazione sulla pandemia è strettamente legata anche nell’assimilare i comportamenti che abbiamo dovuto assumere. Che ruolo è stato in questo senso quello dell'informazione quest'anno?
R. - Immaginiamo che cosa sarebbe stato quest’anno senza l'informazione. Pensiamo ai periodi di lockdown come sarebbero stati senza la possibilità di comunicare; come le notizie incontrollate avrebbero potuto circolare e come sarebbe mancato questo aspetto relazionale della condivisione di informazioni che fa che fa parte del nostro essere umani. Dall'altra parte ci siamo accorti anche quante false informazioni sono state messe in giro e anche della difficoltà di guidare processi informativi rispetto al desiderio di ognuno di noi di volere sapere tutto e subito, cosa che non è così facile, perché l’informazione per essere completa richiede tempo, richiede prendersi del tempo. In che modo l'informazione può aiutarci a far uscire la pandemia? Si ritorna al concetto di prima. La salute è un bene pubblico l'informazione è un bene pubblico. Condividere le informazioni esatte e falsificare quelle false è un impegno che dovrebbe coinvolgere, nell'era digitale, ognuno di noi e non pensare che ci sia la possibilità di delegare ad altri. Di solito in questo modo si va verso i regimi totalitari. Fa parte della responsabilità dei giornalisti e anche dei lettori. Noi nell'era digitale condividiamo informazioni che spesso non ci prendiamo la briga di controllare e con ciò siamo portatori “sani” forse di un virus diverso da quello del Covid che è il virus della cattiva informazione. Pensare che questo possa essere delegato a un “controllore occhiuto” della verità o della falsità delle notizie ha a sua volta dei rischi, che sono quelli della limitazione della libertà di stampa. Credo quindi che la pandemia ci stia insegnando che, per combattere la “pandemia della malinformazione, dobbiamo tutti essere responsabili.
Anche perché bisogna in un certo modo anche “riapprendere” l'attesa tra la notizia dell’avvenimento e il riceverla. Si era abituati a leggere sul giornale quello che era successo il giorno prima e adesso tutto viene istantaneamente commentato, assimilato e condiviso in tempo reale. C’è sempre meno tempo per quel ruolo di mediazione, che è uno dei ruoli principali della stampa…
R. – Bisognerebbe sempre controllare il riflesso con la riflessione, vale sia per la stampa sia per i media professionali e mi ostino a dire 'tutti noi', perché siamo tutti, anche i non professionisti, protagonisti di questo mondo digitale dell’informazione. Siamo abituati a non volere aspettare il tempo che serve, come se la vita fosse tutto un “game on” o un “game over”, tutto molto veloce o istantaneo, ma in realtà oltre alla velocità della notizia, c'è bisogno anche dell'approfondimento, c'è bisogno della verifica. Basta esserne consapevoli. Alla fine si tratta di imparare delle regole e di impararle tutti.
C'è un altro aspetto e qui prenderei in prestito le parole del Papa nell'ultimo messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali riguardo proprio la gestione del rapporto tra informazione e pandemia. Quello che dice il Papa è l'importanza di andare a vedere le cose, di essere presenti. “Chi ci racconterà l'attesa di guarigione nei villaggi più poveri dell'Asia dell'America Latina e dell'Africa”, scrive, proprio a sottolineare che si rischia un doppio livello di informazione, il primo centrato sui Paesi ricchi in cui, se vogliamo, è ancora più facile fare informazione lasciando poi fuori tutto il resto del mondo...
R. - C'è un che di paradossale in questo mondo così globalizzato in cui la pandemia ha dimostrato quanto siamo gli uni interdipendenti dagli altri, anche da chi ci sembra molto molto più lontano. In questo paradosso noi ci illudiamo facilmente di poter perimetrare tutto sul nostro racconto, sulla narrazione delle nostre vite e quindi che si possa raccontare la pandemia soltanto per quanto riguarda i Paesi più sviluppati o che si possa raccontare la crisi economica soltanto per il nostro Paese, anzi, magari per la nostra regione del nostro Paese. Non è così e anche questo fa parte della responsabilità. Sempre a proposito della libertà di stampa, diceva il teologo Bonhoeffer che libertà e responsabiltà sono concetti correlativi e quindi la responsabilità, a cui ci invita il Papa con il suo messaggio, è quella di andare a vedere anche là dove nessuno vuole andare, perché se non andiamo non capiamo e se non capiamo il racconto che facciamo è falso. Questo alla fine è anche miope per quanto riguarda le cose che più ci stanno a cuore, perché non possiamo avere a cuore soltanto noi stessi separandoci dall'altro, perché alla fine facciamo male anche a noi stessi.
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