Chica Arellano: senza una nuova agricoltura vincerà la fame
di Fernando Chica Arellano
Lotta alla miseria, eliminazione della fame e contrasto ai fenomeni ambientali estremi, sono solo alcuni degli obiettivi che 193 Paesi si sono impegnati a raggiungere entro il 2030 sottoscrivendo un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità. Gli obiettivi fissati nell’agenda per lo sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals) hanno una validità globale, riguardano e coinvolgono tutte le nazioni e le componenti della società, dalle imprese private al settore pubblico, dagli anziani ai giovani, dall’ambito della scienza a quello rurale, dalle ong agli operatori dell’informazione e della cultura.
I 17 goals contenuti nell’agenda 2030 fanno riferimento ad un insieme di questioni strategiche per lo sviluppo a partire dalla dimensione economica, sociale ed ecologica e mirano a porre fine alla povertà, a combattere l’ineguaglianza, ad affrontare i dannosi effetti dei cambiamenti climatici, a costruire comunità pacifiche che rispettino i diritti umani.
In questo quadro si inserisce il prossimo Vertice mondiale sui sistemi alimentari (Un food systems summit – Unfss), che avrà luogo a New York nel mese di settembre 2021 e che sarà preceduto da un pre-summit, che si tiene a Roma dal 26 al 28 luglio. L’obiettivo dichiarato di questi significativi simposi internazionali è quello di promuovere sistemi alimentari resilienti e capaci di far progredire un’agricoltura migliore; di favorire filiere produttive sostenibili e di incentivare stili di vita salutari. Nelle intenzioni, dunque, si tratterà di due grandi riunioni volte a tracciare una nuova rotta per l’agricoltura e l’alimentazione dell’oggi e del domani, tenendo conto dell’evidente deterioramento del pianeta a cui stiamo assistendo. Al riguardo, gli ultimi dati del rapporto sulla sicurezza alimentare globale (The State of Food Security and Nutrition in the World) tracciano un quadro impietoso: nel 2020, più di 800 milioni di persone nel mondo sono andate a letto a stomaco vuoto.
L’incremento dei costi dei beni alimentari e la scarsa disponibilità di mezzi economici non hanno consentito, ad un numero crescente di persone, di accedere ad una dieta sana o nutriente. Quasi il 12% della popolazione mondiale ha sofferto di insicurezza alimentare acuta nel 2020, vale a dire all’incirca 928 milioni di persone, 148 milioni in più, se pensiamo alle statistiche di due anni fa. Inoltre, rispetto al 2019, circa 46 milioni di persone in più in Africa e 57 milioni in più in Asia sono state colpite dalla fame solo nell’anno scorso. Si stima che nel 2030 oltre metà degli affamati cronici del pianeta vivrà nel continente africano.
Senza dubbio la pandemia di covid-19 non ha contribuito a migliorare la situazione, già fortemente lacerata. Si reputa, infatti, che 660 milioni di persone potrebbero trovarsi ad affrontare il problema della fame nel 2030, in parte a causa degli effetti duraturi e crudeli della pandemia sulla sicurezza alimentare globale. D’altronde i sistemi alimentari globali stanno subendo le conseguenze delle varie misure restrittive adottate durante la pandemia che hanno inevitabilmente impattato in maniera negativa sul complesso delle attività e dei processi che determinano la produzione, la distribuzione e il consumo di generi alimentari. Il dibattito globale attuale che mira a costruire una saggia ripresa dal covid-19 rappresenta un’opportunità unica per implementare politiche indirizzate a trasformare i sistemi alimentari, garantire la sicurezza alimentare per tutti e sviluppare un’agricoltura diversificata che sia in grado di rispondere alla crisi climatica.
L’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 2 dell’agenda dell’Onu, che prevede l’azzeramento della fame nel mondo per il 2030, rischia così di essere compromesso come è stato ricordato dalle cinque Agenzie Onu che hanno collaborato alla stesura del recente rapporto sullo Stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo (Fao, Ifad, Pam, Unicef e Oms): «A distanza di cinque anni dall’impegno assunto dalla comunità internazionale per porre fine alla fame, all’insicurezza alimentare e a tutte le forme di malnutrizione entro il 2030, siamo ancora ben lontani dal raggiungere questo obiettivo».
I dati appaiono ancor di più sconcertanti se riferiti alla popolazione infantile: nel 2020, si stima che il 22% (149,2 milioni) di bambini con meno di 5 anni era sottosviluppato o denutrito, ossia presentava ritardi nella crescita o eccessiva magrezza, mentre il 6,7% (45,4 milioni) soffriva di malnutrizione acuta e il 5,7% (38,9 milioni) era sovrappeso.
Assicurare che tutti abbiano accesso ad alimenti nutrienti e in quantità sufficiente è un imperativo morale per uno sviluppo che sia davvero integrale. È necessaria perciò una vera e propria conversione ad un modello fondato su un’alimentazione sana, in grado di contenere la malnutrizione e allo stesso tempo di compensare le spese sanitarie dovute alle conseguenze di una cattiva alimentazione, contribuendo così ad attenuare i crescenti costi umani e sociali collegati a questi fenomeni. Uno degli effetti più visibili della distorsione del sistema alimentare mondiale sono le migrazioni che interessano alcune aree del pianeta dove i fenomeni ambientali, causati non di rado da un’agricoltura senza regole, stanno determinando rilevanti conseguenze sui sistemi produttivi locali.
Di fronte a quella che potremmo nominare un’emergenza planetaria è quanto mai urgente definire una governance globale sull’agricoltura e sull’alimentazione in grado di superare le molteplici criticità e divisioni collegate ai modelli attuali della produzione agro-alimentare, il cui impatto sul clima e sulla salute mondiale sono sempre più evidenti. Come ci ha ricordato Papa Francesco, il 14 febbraio 2019, durante la cerimonia d’apertura della 42esima sessione del Consiglio dei Governatori del Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (Ifad), per risolvere il problema della fame «è necessario l’aiuto della comunità internazionale, della società civile e di coloro che possiedono risorse. Le responsabilità — ha aggiunto il Pontefice — non si evadono, passandosele l’uno l’altro, ma vanno assunte per offrire soluzioni concrete e reali».
La pandemia ha logorato i nostri piani e le nostre certezze ma ci ha ricordato che apparteniamo ad un’unica famiglia globale. Pertanto, bisogna cogliere questo momento e ripensare le nostre istituzioni e i nostri sistemi affinché essi possano essere al servizio dei più fragili. Che queste due rimarchevoli riunioni servano, dunque, per spronare quanti in ogni luogo del mondo si sforzano quotidianamente per il bene comune, affinché tali iniziative e le strategie che ne deriveranno vadano a beneficio di tutti, in particolare dei disagiati, delle comunità indigene, dei piccoli agricoltori, delle donne rurali e di quanti si sentono trascurati e scartati. Se le deliberazioni formulate in questi forum non si tradurranno in azioni efficaci, i deboli e gli indifesi rimarranno sempre vittime dell’egoismo e dell’indifferenza. Occorre quindi trasformare le parole in fatti incisivi e proficui per sradicare la fame, così da ottenere un copioso raccolto di solidarietà e giustizia.
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