Dal Libano si guarda con speranza all’incontro in Vaticano
Fabio Colagrande – Città del Vaticano
Le testimonianze che arrivano in queste ore dal Libano e da chi ha a cuore il futuro del Paese dei Cedri, confermano, da una parte, la drammaticità della sua situazione sociale ed economica, ma dall’altra la grande speranza riposta sulla Giornata di preghiera e riflessione voluta da Papa Francesco in Vaticano.
Il Libano non può morire
“Ringraziamo il Signore per questa occasione e Papa Francesco per la sua benevolenza e il suo amore per il Libano”, spiega monsignor Munir Khairallah, vescovo maronita della diocesi libanese di Batroun. “Attendiamo tanto dal Santo Padre e da questo incontro che si svolge in Vaticano. Per noi è una giornata storica che rimarrà nella memoria di tutti i libanesi”. Il presule sottolinea la gravità della situazione del Paese. “Siamo davvero disperati, non avremmo mai pensato di arrivare a questo punto di stallo politico e sofferenza sociale. Conserviamo la speranza che il Libano, Terra Santa e ‘paese messaggio’, non possa morire. Il Papa è il primo amico del Libano e Gesù stesso ha benedetto questa terra”. “I rappresentanti delle comunità cristiane - sottolinea monsignor Khairallah - hanno portato a Roma non solo le sofferenze ma anche le attese di tutti i libanesi, non solo dei cristiani. I nostri fratelli musulmani condividono la speranza per un Libano più pacifico che sia messaggio di democrazia, libertà, diritti umani e fratellanza. Tutti quanti oggi qui in Libano siamo uniti a loro nelle preghiere: cristiani come musulmani, libanesi di ogni etnia o religione. Il padre nostro Abramo ci unisce nella fede come ha ricordato il Papa in Iraq”. “Aspettiamo una nuova via di salvezza per il Libano, fondata sulla solidarietà e per questo chiediamo il sostegno di tutti gli amici del nostro Paese”, conclude il vescovo maronita. Le soluzioni prospettate dal nostro Patriarca Bechara Rai - la dichiarazione di neutralità del Libano e la convocazione di una conferenza internazionale sotto l’egida dell’Onu - mi sembrano le più auspicabili”.
La storica sollecitudine dei Papi per la Terra dei Cedri
“Si spera che da questo incontro possa uscire qualche indicazione per la soluzione dei problemi del Libano che sono, non bisogna nasconderselo, innanzitutto politici”, racconta Michele Zanzucchi, giornalista della rivista dei focolari Città Nuova, che ha vissuto a lungo a Beirut. “I capi religiosi, anche se non sono riusciti a trovare una posizione comune in questa situazione di crisi, in realtà sono molto più vicini di quanto lo siano i leader politici che sono espressione delle varie comunità religiose del Paese”. “La popolazione è allo stremo”, aggiunge Zanzucchi. “Due anni fa i cittadini erano scesi in piazza a protestare compatti, al di là delle differenze confessionali, e ci fu una partecipazione collettiva per il bene comune contro corruzione e carovita, che sono ancora oggi i veri problemi del Paese”. “La storica sollecitudine dei Pontefici per il Paese de Cedri - aggiunge - si spiega anche perché è l’unico Paese medio-orientale dove c’è una presenza cristiana notevole, che raggiunge circa un terzo della popolazione. Inoltre, i cristiani degli altri Paesi mediorientali hanno un legame particolare con quelli libanesi, per motivi culturali ma anche economici, perché dal Libano transitano gli aiuti che arrivano da tutto il mondo per i cristiani del Medio Oriente”.
È in gioco il futuro del Medio Oriente
“Questo incontro è una nuova tappa del cammino avviato da San Giovanni Paolo II nel 1995 convocando il Sinodo per il Libano e poi proseguito da Benedetto XVI che firmò qui nel 2012 il documento finale del Sinodo sul Medio Oriente”, racconta da Beirut padre Roger Sarkis, sacerdote maronita, parroco di Saint Charbel al Fanar, a Beirut. “Ci conferma che il Papa e tutta la Chiesa portano il Libano nel cuore e accende una luce di speranza sulla nostra disastrosa situazione affinché avvenga un miracolo”. “La crisi politica - spiega il sacerdote maronita - dipende dalla corruzione, quella economica dal crollo del valore della lira, quella sociale anche dalla presenza dei tanti profughi palestinesi e siriani, ma c’è anche una crisi morale e fisica, perché viviamo ancora il trauma dell’esplosione al porto di Beirut dell’agosto 2020. Direi che siamo di fronte a un momento di crisi esistenziale di tutto il Paese e di tutta la comunità cristiana: noi cristiani viviamo solo di fede, speranza e carità”. “La crisi ci paralizza, pesa su tante famiglie che cercano di sopravvivere, tanti giovani che hanno un futuro incerto, tante persone che vedono i loro sogni andare in fumo!” “Siamo in un momento di crisi anche a livello spirituale”, spiega padre Sarkis. “Salvare il Libano significa salvare i suoi valori, tenere in vita un Paese simbolo della pluralità, della tolleranza e della libertà, del progresso e della civiltà”, aggiunge il parroco libanese. “Se il Libano cade tutta l’umanità avrà perso l’ultima battaglia per i valori umani nel Medio Oriente”.
Il ruolo cruciale della diplomazia vaticana
“Dobbiamo superare come cristiani l’abitudine di scaricare la colpa sugli altri - gli israeliani, i palestinesi o i siriani - e fare mea culpa”, aggiunge da Milano Camille Eid, giornalista e scrittore libanese, collaboratore del quotidiano Avvenire. “Sono quindici anni che il Libano è libero da presenze straniere sul territorio e avrebbe potuto prendere in mano il controllo dei suoi confini. Anche i cristiani devono iniziare a riconoscere che una parte della colpa di questa situazione sociale ricade proprio sui libanesi”. “Auspico che la diplomazia vaticana possa influire sull’atteggiamento delle cancellerie internazionali intercedendo nei confronti del Libano”, conclude Eid. “Mi sembra l’unica possibilità affinché tutti lavorino per salvare questo Paese, la sua piena sovranità, il suo ruolo di ponte fra Oriente e Occidente e modello di convivenza religiosa”.
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