A Torre Pellice si apre il Sinodo delle Chiese valdesi e metodiste
OSSERVATORE ROMANO
«Nelle persone, così come nelle Scritture, si incontra Cristo. Nella mia vita ho incontrato tante persone, alcune in modo fugace, altre per un tempo prolungato: compagni di viaggio che hanno fatto di me ciò che sono oggi, poiché la vita è un continuo divenire. È il rapporto con l’altro che ti cambia nel confronto reciproco». Monica Natali è una donna di dialogo, piena di entusiasmo, con un sorriso luminoso. Nata nel 1966 da genitori valdesi (la madre apparteneva a una famiglia di Torre Pellice, di lunga tradizione protestante, mentre il padre, originario di Felonica Po, in provincia di Mantova, era valdese di seconda generazione), ha vissuto gli anni della formazione giovanile nella chiesa valdese di Pinerolo.
«Sono riconoscente ai miei genitori e alla comunità in cui sono cresciuta per quanto mi hanno testimoniato. E a mio marito, il pastore Bruno Gabrielli, per il suo grande appoggio e per tutto ciò che ho imparato da lui. Voltandomi indietro, vedo che fin da ragazza ho sentito in me la spinta a uscire, ad andare verso il mondo, a incontrare altre persone e realtà. Nel 1988 — racconta — partecipai al mio primo campo di lavoro presso il Centro giovanile Adelfia, in provincia di Ragusa. Fu un’esperienza breve, ma significativa. Fra il 1991 e il 1992 feci un anno di volontariato presso il “Servizio cristiano”, istituto valdese nato per spinta del pastore Tullio Vinay nel 1961 a Riesi, in provincia di Caltanissetta. Furono mesi intensi e bellissimi, che mi fecero comprendere che la vita comunitaria è un esercizio continuo di accettazione reciproca».
Intanto Monica studia al conservatorio, dove consegue vari diplomi (in didattica, in pianoforte, in direzione di coro e composizione). Poi inizia l’attività lavorativa, insegnando musica e suonando a livello concertistico. Ma lo slancio verso gli altri la porta a diventare operatrice sociosanitaria: «Ho lavorato con pazienti della salute mentale, una realtà nuova per me, molto impegnativa, pesante ma anche gratificante. Iniziavo a sentire la chiamata al ministero diaconale. Nel frattempo mi sono laureata in Scienze infermieristiche. Nel 2015 mio marito viene trasferito a Brindisi. Viviamo così fra le nostre comunità della diaspora, piccole e vivaci. In questo periodo ho avuto un’esperienza molto bella operando come infermiera in un centro di accoglienza, in mezzo a un’umanità variegata e colorata».
Nel 2017 Monica Natali riceve una telefonata importante dal coordinatore di “Mediterranean hope - Programma rifugiati e migranti” della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, con l’invito a collaborare come infermiera volontaria in Libano: «Fin dal primo istante ho saputo che la mia risposta sarebbe stata positiva. Ho collaborato con il progetto “Corridoi umanitari - Medical Hope” dall’inizio del 2018 fino a metà 2019: splendido team di cristiani di varie confessioni e musulmani, impegnati insieme nel campo medico e umanitario, in un clima di grande comunione. Anche adesso non riesco a discernere se questa esperienza abbia fatto definitivamente sbocciare la mia vocazione al ministero diaconale o se la stessa adesione a “Medical Hope” fosse già un modo di vivere diaconalmente il mio essere infermiera. Di fatto, a metà 2019 ho iniziato il mio cammino per diventare diacona. La varietà di ministeri risponde alla varietà dei doni. Nella Chiesa valdese il diaconato è un ministero, al pari di quello pastorale, aperto a uomini e donne, coniugati o no. Per esso viene richiesta la laurea triennale in Scienze bibliche e teologiche, che io avevo già conseguito presso la Facoltà valdese di Teologia a Roma, e un periodo di prova della durata di due anni in differenti comunità. Inoltre, bisogna seguire un corso di “Clinical pastoral training” all’Ospedale valdese di Genova e fare un’esperienza formativa all’estero. Ringrazio il Signore per questa vocazione da spendere alla sequela di Cristo, il primo diacono della storia. Lui che ha detto: 'Non sono venuto per essere servito, ma per servire'».
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