Tra le vie dell’etica e della fede: in un libro il ritratto di Mariella Enoc
Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
Il manager non è chiamato solo a far quadrare i conti, ma anche e soprattutto a rispettare la dignità della persona. È questo uno dei messaggi che risuonerà nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani a Roma, sede di rappresentanza del presidente del Senato, in occasione della presentazione del libro edito da Rizzoli “Il dono e il discernimento”. All’evento, in programma nella serata di mercoledì 20 ottobre, è prevista la partecipazione del vicario generale del Papa per la Città del Vaticano, cardinale Mauro Gambetti, del ministro della Salute italiano Roberto Speranza e del direttore dell’Espresso Marco Damilano. Modera l’incontro la direttrice di Rai Giornale Radio e Radio Uno, Simona Sala.
Non il profitto ma la persona
Il volume, a cura di Mariella Enoc e di padre Francesco Occhetta, esorta ad interrogarsi su temi che toccano l’esperienza umana e la vita sociale. Le pagine del libro scorrono attraverso un denso dialogo tra la presidente dell’Ospedale Bambino Gesù, una delle più importanti manager italiane in campo sanitario, e il religioso gesuita, docente dell’Università Gregoriana. Da questo colloquio scaturisce un racconto che ripercorre la parabola lavorativa, e non solo, di Mariella Enoc: agli anni della presidenza della Fondazione Cariplo, della Confindustria piemontese e dell’ospedale pediatrico della Santa Sede, si affiancano le esperienze nell’Azione Cattolica e gli incontri con grandi personalità della Chiesa. Quella di Mariella Enoc è l’esperienza di una donna manager, non mossa solo dall'esigenza di far quadrare i bilanci, ma soprattutto animata dagli orizzonti dell’etica e della fede. A Vatican News sottolinea che, quando si parla di sanità, "la centralità non è la remunerazione del capitale". Si devono mettere al centro "la persona e i suoi bisogni".
Mariella Enoc, soffermiamoci sul libro “Il dono e il discernimento”. Emerge un ritratto che ripercorre la sua vita, tra scelte manageriali e vie della fede. Come sono entrati in sintonia nel suo caso questi due mondi: quello aziendale e quello della fede?
Per me le scelte manageriali sono state sempre, effettivamente, alla luce di scelte su cui la fede mi ha fatto riflettere. Sono scelte di trasparenza, di eticità, di rispetto della persona. Non ho mai voluto scendere a compromessi: avere bonus per aver licenziato un certo numero di persone, aver fatto bilanci che potevano ingannare gli azionisti. Ho cercato di tenere lontano da me e dal mio modo di operare tutte queste cose.
Scelte dettate anche da precise domande. La domanda cruciale non deve riguardare i costi della medicina. Più volte, lei ha ricordato che sono altri gli interrogativi fondamentali quando si parla di salute, di relazione con il malato…
Premettendo che comunque i bilanci devono essere in ordine e le opere devono essere in sostenibilità, perché diversamente non si può fare niente, la centralità per me non è la remunerazione del capitale. È invece tutto quello che mi fa mettere al centro la persona e i suoi bisogni. Curare i malati non è come fare bulloni. È assolutamente diverso e bisogna anche prenderne coscienza. Non è che non ci debba essere remunerazione, ma non ci può essere il profitto esagerato verso cui molti stanno andando. Lo dice continuamente Papa Francesco: non è il profitto il fine della sanità.
Una domanda fondamentale può essere ad esempio: quanti malati posso curare?
Una domanda può essere questa e me la pongo se, ad esempio, investo una cifra molto importante, come è successo nel caso delle gemelline siamesi. Mi sono posta la domanda su quanti bambini avrei fatto curare. Ma la risposta me l’ha data la scienza. La scienza mi ha detto: con questo intervento non salveremo solo due bambine, ma aiuteremo il percorso della scienza. Le risposte devono essere sempre attente e razionali. Per me prima si deve guardare negli occhi la persona, capire i suoi bisogni e dare una risposta. Noi vogliamo curare anche i bambini inguaribili.
A proposito di scienza, di dono e di discernimento, cosa ci può aiutare a discernere e a quale dono ci può comunque portare questa dura e drammatica prova legata al Covid?
La prova della pandemia è stata un passaggio che ci ha fatto riflettere. Ci ha fatto anche capire quanto la scienza sia stata importante: il vaccino non è nato così velocemente da un cappello magico. C’era già tutta una ricerca in atto ed è stato possibile applicarla immediatamente al Covid-19. Adesso parliamo di medicina del territorio. Ma questo cosa vuol dire? Vuol dire medicina di prossimità. Vuol dire creare delle comunità curanti. Dobbiamo riprendere a dialogare, a parlare. Questo deve avvenire. I giovani, in questo momento, stanno soffrendo moltissimo. Il numero di suicidi, di tentati suicidi e le malattie dell’alimentazione, in così grande aumento, ne sono un segno tangibile. I giovani devono essere aiutati a sentirsi parte, anche loro, di una comunità. Non è possibile che dei giovani di un Paese civile e democratico non vadano più a votare. Questo è un gravissimo segno della mancanza, che oggi abbiamo, nella relazione, nello stare insieme, nel parlarci. Questo è da riscoprire. Nella prima fase si cantava sui balconi “Fratelli d’Italia” ed era un modo di ritrovarsi insieme. Poi naturalmente tutto passa e tutto si diluisce. Adesso stiamo tentando, di nuovo, di rinchiuderci. La pandemia ci insegni che questo non deve avvenire.
Parliamo anche di passi da compiere: è stato recentemente siglato l’accordo per l’avvio dei lavori per il Centro di cure palliative pediatriche dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Sorgerà a Passoscuro: bambini e ragazzi potranno trovare accoglienza e cure interamente dedicate. Potranno trovare cure e carezze…
Potranno trovare cure e persone che si prendono cura di loro. Sono bambini, ragazzi che per ora non sono guaribili. Ma non sono guaribili per ora. Sappiamo quali passi può compiere la scienza. Sono certamente bambini, ragazzi che possono essere curati. E devono essere presi in cura.
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